La recente ondata di violenza tra Israele e Hamas ha riportato ancora una volta il conflitto di lunga data sotto i riflettori internazionali. In mezzo al caos è stata negoziata una tregua di quattro giorni, promettendo il rilascio degli ostaggi da entrambe le parti. Tuttavia, uno sguardo più attento alla copertura mediatica rivela una forte disparità nella rappresentazione degli eventi, che riflette doppi standard profondamente radicati che perpetuano la disumanizzazione dei palestinesi in una narrativa filo-sionista e pro-apartheid. Così i “bambini” sono tali solo se israeliani, altrimenti sono “persone sotto i 18 anni”. Gli “ostaggi” sono tali sono se israeliani, altrimenti sono “prigionieri”. E ancora, le “donne” sono tali solo se israeliane, altrimenti sono “femmine” se palestinesi. Tale è la situazione della propaganda Occidentale che anche definire come Orwelliana sarebbe eufemistico. Vediamo alcuni esempi.
Doppi standard nella terminologia:
La scelta del linguaggio nei titoli dei media gioca un ruolo fondamentale nel plasmare la percezione del pubblico. Il titolo del Guardian: “Gli ostaggi da liberare sono donne e bambini, e anche i prigionieri palestinesi sono donne e persone di età pari o inferiore a 18 anni, hanno confermato entrambe le parti”, esemplifica un evidente doppio standard. Gli israeliani sono definiti “ostaggi”, invocando empatia e sottolineando la loro vulnerabilità. Al contrario, i prigionieri palestinesi, anche se detenuti ingiustamente, sono semplicemente etichettati come “persone di età pari o inferiore a 18 anni”, privandoli dei termini umanizzanti usati per le loro controparti israeliane.
Il Times of Israel non è da meno: “Israele rilascerà 150 prigionieri di sicurezza palestinesi adolescenti e femmine durante un cessate il fuoco di quattro giorni in cambio di 50 donne e bambini israeliani trattenuti da Hamas a Gaza dal 7 ottobre. ” Qui i palestinesi sono ridotti a categorie demografiche – “femmine” e “adolescenti” – prive delle connotazioni familiari legate al termine “donne e bambini” usato per gli israeliani.
Decostruire i doppi standard
L’uso selettivo di termini come “ostaggi” per gli israeliani e descrittori generici per i palestinesi sottolinea un pregiudizio sistemico che dipinge i palestinesi come entità senza volto piuttosto che come individui con famiglie, sogni e aspirazioni. Questa de-umanizzazione è uno strumento che serve a legittimare la sofferenza di un gruppo amplificando al tempo stesso il vittimismo dell’altro.
Le distinzioni di età e genere nei titoli dei giornali contribuiscono a rafforzare gli stereotipi e a perpetuare dinamiche di potere ineguali. Riferirsi ai prigionieri israeliani come “bambini” evoca empatia e istinti protettivi, mentre i palestinesi della stessa fascia di età sono relegati nella categoria impersonale di “persone di età pari o inferiore a 18 anni”. Ciò rafforza un’insidiosa gerarchia che inconsciamente influenza i lettori a percepire un gruppo come più meritevole di simpatia.
L’inquadramento del cessate il fuoco nel titolo del Times of Israel implica un atto benevolo da parte di Israele, che ha liberato i “prigionieri di sicurezza”, mentre Hamas viene descritto come detenuto “donne e bambini” dal 7 ottobre. Questa inquadratura trascura opportunamente le cause profonde del conflitto e non riesce a riconoscere le sproporzionate dinamiche di potere in gioco. Si perpetua la narrazione secondo cui le azioni di Israele sono risposte giustificabili ad un’aggressione non provocata, cementando ulteriormente il binomio vittima-aggressore.
Il pericolo della propaganda
Sotto le spoglie di un resoconto obiettivo, questi titoli fungono da strumenti di propaganda, perpetuando una narrazione in linea con un’agenda filo-sionista e pro-apartheid. Tale inquadramento non solo distorce la percezione pubblica, ma contribuisce anche alla normalizzazione delle politiche discriminatorie che sostengono lo status quo di oppressione ed emarginazione.
Il potere del linguaggio nel plasmare l’opinione pubblica non può essere sottovalutato. La responsabilità dei media di fornire una copertura imparziale e ricca di sfumature è fondamentale, soprattutto nelle situazioni di conflitto in cui sono in gioco le vite umane. I doppi standard nella definizione del conflitto Israele-Hamas, come esemplificato da The Guardian e The Times of Israel, richiedono un esame critico ed applicato anche a tutte quelle testate, incluse quelle italiane, che continuano a promuovere la propaganda israeliana in modo a-critico. Esponendo questi pregiudizi, possiamo sperare di promuovere un discorso più giusto ed informato e che apra la strada a una soluzione giusta e duratura del conflitto.