Credito fotografico: Antonietta Chiodo
Il regista palestinese e attivista per i diritti umani Mohammed Alatar fa un cinema di resistenza per la lotta del popolo palestinese e contro il genocidio. Da tre settimane sta viaggiando in Italia per far conoscere al pubblico il suo ultimo lavoro, prendendo parte anche alle manifestazioni delle piazze italiane che chiedono il cessate il fuoco su Gaza.
Mohammed Alatar implora, letteralmente, i popoli occidentali di prendere coscienza su quanto accade in Gaza, di informarsi davvero, di non bersi il veleno e le bugie della propaganda islamofobica e fare quanto è più possibile per mettere i governi del resto del mondo di fronte alle loro responsabilità e alla loro collusione ipocrita.
E’ un lavoro enormemente rilevante e capillare quello che sta facendo Mohammed Alatar, incontra gruppi di persone, anche piccoli gruppi e, presentando il suo documentario, informa l’opinione pubblica sulla reale condizione di apartheid in cui vive il popolo palestinese.
Il pubblico è impietrito, sentire dalla viva voce di chi resiste nei territori occupati sotto i bombardamenti degli israeliani quello che certamente non viene detto nei telegiornali nazionali, è scioccante.
Mohammed Alatar porta la sua sofferenza e la sua rabbia con indicibile dignità, a guardarlo, nonostante il dolore, ti trasmette pace, serenità. Ti trasmette che la tradizione umana è una, viene prima dell’identità culturale e che è trasversale al tempo e alla geografia.
Il cinema palestinese è un cinema di resistenza, nasce con la Nakba, e tutto il lavoro di Mohammed Alatar è cinema di resistenza.
IL MURO DI FERRO, del 2006, sulla costruzione del muro israeliano in Cisgiordania, sulla costituzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania, seguendone la cronologia e analizzandone l’effetto sul processo di pace. Il film mostra come gli insediamenti sono l’aspetto visibile di una strategia per l’occupazione permanente del territorio. Jimmy Carter ha definito questo film: “La migliore descrizione della barriera, del suo percorso e del suo impatto.”
JERUSALEM THE EAST SIDE, del 2008, informa sulle ingiustizie e le conseguenze dei 42 anni di occupazione israeliana di Gerusalemme Est. E’ uno dei documentari politici più visti in Palestina.
BROKEN, del 2018, un impegno a spiegare perché nulla è stato fatto per impedire a Israele di continuare a costruire il Muro e perché, dopo che la Corte Internazionale di Giustizia lo ha dichiarato illegale nel 2004, non è ancora stato smantellato.
THE PEOPLE’S PATRIARCH, del 2021, un documentario su Michel Sabbah, un arabo palestinese cristiano di Nazareth, che Papa Giovanni Paolo II ha nominato patriarca latino di Gerusalemme nel 1987, il cui impegno rappresenta una pietra miliare nella battaglia contro l’ingiustizia e l’oppressione che il popolo palestinese subisce.
Grazie Mohammed per il tuo viaggio in Italia, portando ogni singola persona che incontri a toccare il tuo impegno. Questo documentario sul patriarca Michel Sabbah, pur restando intimamente un lavoro di resistenza per la lotta palestinese, è un film diverso rispetto ai tuoi altri, mi sembra che qui ci sia qualcosa di più, e di nuovo.
“Sì è vero, in questo film c’è qualcosa di nuovo rispetto agli altri miei lavori” (fa una pausa densa) “Il motivo? Ho conosciuto Michel Sabbah. E ne sono rimasto incantato. Letteralmente incantato dalla bellezza della sua anima. E’ un uomo in lotta e emana amore, e ti dice: Noi dobbiamo combattere l’occupazione con l’Amore.
E detto da lui, un religioso impegnato sul piano civile, ossessionato dall’obiettivo di raggiungere la giustizia in Terra Santa, allora non puoi non chiederti come? Io voglio provare a mettermi sotto ingaggio, accetto la sua offerta.
Per cercare di capire cosa il Patriarca Michel Sabbah vuole comunicarci in questa lunga intervista, noi dobbiamo andare oltre quello che sta succedendo, al momento non c’è alcuna logica che possa far capire che cosa sta succedendo in Gaza.
E quindi, come umani, dobbiamo cercare altri strumenti per riuscire a capire. Ho letto un passaggio da Socrate l’altro giorno: prima che tu vai per la vendetta del tuo nemico, tu devi considerare due cose, quello che questo significa per te e quello che significa per l’altro.
A me interessa ricercare i valori del bene in qualsiasi persona, al di fuori della sua religione.
Questo film sul Patriarca Emerito di Gerusalemme mi ha insegnato a fare un passo indietro rispetto alle mie idee, alla mia rabbia, al mio bisogno di giustizia, e guardare diversamente da come sarei portato a fare.
In questo senso, l’incontro con Sabbah è stato un incontro speciale, mi ha toccato profondamente, ha toccato il mio essere in profondità.
In tutti gli altri miei film, in tutti, c’era sempre una distanza professionale ed emotiva, tra me e il soggetto, ma qui non ho potuto opporre resistenza, mi ha toccato definitivamente nel profondo. E quindi mi ha cambiato.”
Al punto in cui siamo sembra davvero difficile per chiunque immaginare una soluzione che metta fine alla determinazione di Israele di distruggere i Gazawi, come è possibile! E’ evidente che ormai la soluzione, falsa e ipocrita, due stati per due popoli, non è più praticabile, e la realtà di fatto ci dice che nemmeno quella di uno stato solo per entrambi è ipotizzabile.
“La soluzione?! Non lo so, onestamente non lo so. L’unica cosa certa di cui sono sicuro è che non c’è occupazione che può durare per sempre. Ci sarà il giorno della fine per tutte queste atrocità. La domanda è quante altre vite dovranno estinguersi prima di arrivare alla fine.
Io sono un geek, cerco notizie ossessivamente, però ora, sono arrivato a un punto in cui non posso più vedere tutte quelle morti, tutta quella malvagità, ferocia brutale, è tutto troppo! E mi chiedo se davvero gli Israeliani ci finiscono tutti, poi cosa avranno conquistato, arrivando alla fine del loro piano cosa avranno conquistato?
Io non capisco come un popolo che ha vissuto l’olocausto possa vivere in pace con se stesso continuando a perpetrare morte e atrocità.
In una guerra così, nessuno può vincere, anche chi crede di vincere è un perdente.
No, lo stato per due popoli non può essere una seria ipotesi. Non lo è. Come potrebbe esserlo?!
Israele non riconosce alcun pari. Questa è la tragedia della mentalità sionista che vuole uno stato ebraico puro. Hanno fatto anche la legge. Il sionismo considera il giudaismo come la definizione di popolo.
Quindi anche i cosidetti arabo israeliani, cioè i palestinesi che vivono a Gerusalemme, che hanno il passaporto israeliano, non sono cittadini come sono cittadini gli israeliani ebrei.
E’ evidente che questa non è una soluzione fattibile. Questa soluzione implica uguaglianza di diritti per arabi e israeliani, ma per la mentalità sionista non è accettabile.
Bisogna distinguere, perché non tutti gli ebrei sono sionisti.
La convinzione di essere il popolo eletto, prescelto e superiore, è la giustificazione a ogni loro azione inumana, le radici profondamente razziste del sionismo hanno perpetrato l’apartheid in cui i palestinesi sopravvivono e resistono.
Come puoi convivere con qualcuno che crede fermamente che lui è speciale per Dio, che Dio ha fatto speciale proprio lui. Che per Dio lui è sopra a tutti gli altri.
Non possono fare pace con te se non ti considerano un pari, un uguale, non possono rispettarti, né convivere con te se non ti vedono come un essere umano.
Il sionismo li ha convinti che sono essere umani superiori a ogni altro popolo.
Noi musulmani rispettiamo tutti i Profeti e i Santi di ogni tradizione e quando pronunciamo il nome di Isa, o di Musa, o di Ibrahim, diciamo sui loro nomi alayhi ṣ-ṣalātu wa-s-salām.
Gli ebrei sionisti invece quando nominano il nostro Profeta Mohammed (saaws) lo insultano nei modi più ignominiosi. Non rispettano lo stato di essere umano degli altri. Lo sterminio che sta avvenendo in Gaza sotto gli occhi di tutti ne è la prova.
Anche noi arabi siamo semiti, ma chiamano antisemiti anche noi. Israele non ha occupato soltanto le nostre terre, ha occupato anche il linguaggio condiviso.”
Oggi, nel tempo ipertecnologizzato delle piattaforme e dei social media e tutto il resto, chi vuole può trovare facilmente le informazioni. Rimanere attivamente ignoranti, oggi, è una scelta. E dobbiamo scuoterla, ma come?
“ Io non mai pensato di poter cambiare la mente delle persone, ma mi pongo sempre come obiettivo quello di far nascere domande nella mente delle persone che guardano il mio lavoro.
L’Italia, purtroppo, annega nella disinformazione e nella propaganda instancabile del mainstream , è una pseudo informazione completamente asimmetrica.
Intanto che si parla ininterrottamente dei 200 ostaggi israeliani, nemmeno una parola viene pronunciata sugli 8000 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, di cui 400 sono donne e 260 giovani ragazzi tra i 12-14 anni! Ma chi ne sa qualcosa? Nessuno sente la coscienza di occuparsi anche di loro.
Delle donne sistematicamente stuprate in carcere, torturate, umiliate. Molti di questi bambini vengono tenuti in isolamento in piccolissimi cubicoli, ho visto video-testimonianze dei sopravvissuti a questo stato di abuso, quando ne escono sono profondamente traumatizzati, parlano delle torture e delle mortificazioni psichiche e fisiche che hanno subito.
Molti dei prigionieri sono stati carcerati per la legge della detenzione amministrativa, qualcosa di inconcepibile, chiunque può essere sbattuto in prigione solo perché la sua faccia non piace al poliziotto, al militare che incrocia. Finiscono in prigione a tempo indeterminato, dimenticati, senza un’accusa, né una condanna, non hanno accesso alla famiglia, né all’avvocato.
Ogni colono può uccidere i palestinesi, e non ha né processi, né condanne.
Noi palestinesi sopravvivremo. Siamo sopravvissuti ai romani, ai mamelucchi, agli ottomani, ai britannici, sopravvivremo anche al sionismo israeliano.
Solo che è un passaggio durissimo. Quello che accade a Gaza non è una guerra, la guerra ha regole, e a Gaza non ci sono. Quasi il 70% delle persone uccise a Gaza sono semplicemente donne e bambini. A Gaza non c’è la guerra, c’è solo sterminio pianificato.
Il progetto è iniziato da molto lontano e è quello di riorganizzare il Medioriente sulle spalle dei palestinesi.
Ho chiesto al Patriarca Sabbah la sua opinione su Hamas, mi ha detto: “Sono uomini che combattono per i propri diritti, per la propria libertà.”
Dobbiamo essere realisti su questa realtà. Cosa possiamo fare? Avere piccoli obiettivi e fare il possibile per raggiungerli.
Usate questo film. Usatelo, fatelo vedere. Voglio che il Papa veda questo film.
Noi palestinesi non ci arrendiamo. Mai.”