Il conflitto in corso a Gaza non è solo uno scontro tra oppressore ed oppresso. La storica resistenza palestinese contro l’occupante israeliano è anche una battaglia epica: tra chi ha i mezzi, i finanziamenti, gli armamenti, il sostegno internazionale da una parte e chi con pochi mezzi, contro tutto e tutti combatte per una causa, per un’ideale di libertà a costo della vita.
Ed è forse per questo che la guerra in corso ha profondamente risvegliato le coscienze in Occidente, smuovendole dal torpore della materialità e ricordando loro l’importanza della solidarietà, dello stare dalla parte giusta della storia, a fianco degli oppressi.
Secondo l’analisi del giornalista Zyad Majid del Quds al Arabi, la resistenza palestinese questa volta è riuscita, più di altre volte, a catalizzare la solidarietà mondiale facendo fallire il tentativo di Israele di radicalizzare lo scontro costruendo una narrazione del conflitto tra civiltà occidentale e barbarie islamica e questo. E questo fallimento si può vedere attraverso almeno quattro dinamiche
La partecipazione diffusa e la mobilitazione dal basso
Dalla Bolivia al Marocco, dall’Egitto al sud-Est asiatico e in tutta Europa milioni di persone di sono mobilitate per la causa palestinese: movimenti studenteschi e operai, gruppi femministi e centri sociali, comunità religiose ed etniche. Il conflitto ha attivato ampie fasce della popolazione che prima non erano coinvolte nelle cause politiche ed umanitarie. Una mobilitazione che ricorda i movimenti contro l’apartheid in Sud Africa e America. E anche all’interno del mondo delle aziende della logistica militare si sono registrate attività di resistenza passiva, scioperi da parte di operai addetti al trasporto di armamenti verso Israele come successo nel porto di Tacoma negli Stati Uniti ma anche nel porto di Genova e Ravenna In Italia dove attivisti hanno manifestato e cercato di bloccare l’invio di armi a Tel-Aviv. Ma la partecipazione non si è fermata qui: dalle piazze si è trasformata in boicottaggio economico verso brand, aziende e marchi che sostengono Israele.
Gli intellettuali e le ONG criticano i governi occidentali sui doppi standard a Gaza
Oltre alla mobilitazione dal basso, si è verificata anche una mobilitazione del mondo accademico: intellettuali, professori universitari, giornalisti che si sono attivati sviluppando analisi critiche e riflessioni sul conflitto in corso accusando i loro governi di ipocrisia e doppi standard sostenendo il massacro in corso a Gaza. Sostenuti anche da Ong come Medici Senza Frontiere e Amnesty International che sul campo stanno documentando una operazione organizzata di pulizia etnica e sfollamento forzato dei palestinesi. Anche qui si notano sinergie tra attori sociali differenti: studenti, docenti, giornalisti, attivisti che partecipano assieme ad una causa comune. E questo aumenta la pressione sui governi, che per essere rieletti devono godere di una base di consensi, a rischio col protrarsi del sostegno ad Israele.
Le seconde generazioni in Europa si attivano per i palestinesi
Gli eventi a Gaza sono riusciti ad attivare non solo singoli ma anche intere comunità come quelle arabe ed africane in Europa. Nei palestinesi che vengono sistematicamente discriminati e chiamati animali, le seconde generazioni hanno visto loro stessi. Hanno visto il motivo della loro fuga e hanno vissuto di nuovo un film già visto, le discriminazioni accadute a loro stesso in Europa: un motivo in più per combattere contro le ingiustizie e le discriminazioni. Gaza ha fatto da collante per le battaglie per i diritti umani, politici, sociali e religiosi.
Le personalità pubbliche e il ruolo dei media e social nel sostegno a Gaza
Gaza è stato ed è uno spartiacque: c’è chi sostiene Israele come il mondo dei media mainstream e della politica e chi la Palestina come alcuni paesi come Irlanda e Spagna e nel sud-America. Può sembrare un sostegno di nicchia quello per i palestinesi ma in realtà è una breccia molto importante, una crepa nell’egemonia pro-Israele. Ed è una crepa che si allarga grazie ai social che più dei mezzi tradizionali, permettono la circolazione di informazioni non censurate sul conflitto in corso. Fonti da cui attingono la maggior parte delle giovani generazioni.
Inoltre il ban e la censura attiva sui social su parole come Palestina e affini non ha fatto altro che aumentare la curiosità online, alla ricerca di informazioni non confezionate, di prima mano e reali che spesso vengono promosse da personalità pubbliche palestinesi come cantanti e professori, comici e accademici che sul web hanno spazio per esprimersi liberamente. Ma non sono solo personalità pubbliche palestinesi ad esprimersi e a rompere il silenzio, ci sono anche figure politiche di primo piano come il segretario delle Nazioni Unite Gueterres che chiede costantemente un cessate il fuoco e parla di catastrofe umanitaria in corso, dichiarazioni che hanno suscitato l’ira di Israele che tanto teme il giudizio pubblico più di quanto non lo dia a vedere.
Queste dinamiche non è certo che siano determinanti nell’esito del conflitto in corso ma sicuramente rappresentano un aiuti senza precedenti alla rappresentazione della causa palestinese affinché venga raccontata e narrata, per evitare che cada nell’oblio e relegata ad auna guerra regionale. La memoria è fondamentale per rendere vivo il passato e alimentare le battaglie del presente e Gaza lo sta dimostrando.