Svolte importanti nell’ambito delle trattative su Gaza e sulla situazione in Palestina in generale.
Ismail Haniyeh, capo dell’ufficio politico di Hamas, è attualmente in Egitto per discutere un nuovo accordo, dopo un incontro a Doha con il ministro degli Esteri iraniano Hossein Aunmir Abdollahian.
La sua visita al Cairo ha inaugurato a serie di colloqui con i capi dell’intelligence egiziana, che, secondo fonti vicine, avrebbero l’intenzione di sollecitare Israele a un cessate il fuoco per prevenire un collasso umanitario. Al centro delle trattative anche la questione degli ostaggi e un’accordo per la liberazione di leader di primo piano della resistenza palestinese, tra i quali il leader di Fatah Marwan Barghouti.
Dal fronte
La tensione è palpabile anche tra le forze israeliane, con la 101a Brigata di paracadutisti che si ritira dalla Striscia di Gaza per la prima volta dal 7 ottobre e voci di una possibile dimissione del capo di stato maggiore a seguito di un presunto fallimento militare.
Intelligence reports confermano che Muhammad al-Deif, comandante delle Brigate al-Qassam, è in buone condizioni e attivo, contrariamente a quanto precedentemente stimato. Questo potrebbe indicare una resistenza più forte del previsto da parte delle forze di Hamas.
Le fonti informate suggeriscono che Israele potrebbe essere disposto a pagare un prezzo elevato per ottenere una svolta nei negoziati per lo scambio di prigionieri. La situazione logistica è altrettanto tesa, con nessun container di merci che è arrivato via mare in Israele per due settimane e previsioni di continuità di questa interruzione.
Nel frattempo però l’esercito israeliano che ha demolito 56 edifici alla periferia del quartiere di Shujaiya nella Striscia di Gaza, un’area di recenti e violenti scontri che hanno provocato numerose vittime tra i soldati israeliani.
Crisi interna a Israele
Nel frattempo, l’ex primo ministro israeliano Ehud Barak ha espresso preoccupazione per il destino degli ostaggi, sottolineando l’urgenza del loro rilascio e la necessità di azioni più incisive da parte delle autorità politiche fin dall’inizio del conflitto.
Critiche severe emergono anche all’interno di Israele, dove si accusa il portavoce dell’esercito di diffondere menzogne per mantenere l’illusione di una vittoria tra la popolazione.
Allargamento del conflitto
Dal fronte internazionale, la Malaysia ha preso una posizione decisa contro Israele, con il primo ministro Anwar Ibrahim che annuncia il divieto per le navi israeliane di attraccare nei porti malesi. Questo si aggiunge alla minaccia Houthi, che ha causato la chiusura quasi totale delle attività economiche nel porto di Eilat, con conseguenze negative per l’economia locale.
Le tensioni quindi si estendono oltre i confini del Medio Oriente. La presenza di navi da guerra cinesi nella regione e la loro mancata risposta alle chiamate di navi attaccate dallo Yemen nel Mar Rosso sollevano preoccupazioni per la sicurezza marittima. Inoltre, un consigliere senior di Biden per il Medio Oriente ha espresso timori che l’area sia sull’orlo di un conflitto regionale più ampio, seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre.
Questi sviluppi sottolineano la complessità e la volatilità della situazione in Medio Oriente, dove la diplomazia e le operazioni militari procedono su binari paralleli, con il rischio costante che uno scontro possa sfociare in un conflitto di proporzioni maggiori.