Human Rights Watch, l’organizzazione per i diritti umani con sede a New York, ha pubblicato un rapporto giovedì accusando Meta, il conglomerato dietro Facebook e Instagram, di censurare i contenuti a sostegno dei palestinesi. L’accusa arriva in un contesto già teso, segnato dall’escalation del conflitto tra Israele e Palestina.
Il rapporto di Human Rights Watch sostiene che le politiche e le pratiche di Meta hanno portato a una “intensificata censura sui social media”, mettendo a tacere le voci che sostengono la Palestina e i diritti umani dei palestinesi. Deborah Brown, direttrice ad interim della Divisione Tecnologia e Diritti Umani dell’organizzazione, ha dichiarato che la censura di Meta peggiora la situazione in un momento in cui i palestinesi sono già oppressi da “indicibili atrocità”.
Il comitato di sorveglianza indipendente di Meta ha espresso critiche martedì scorso, rimproverando la società per la rimozione di post che documentavano le sofferenze umane causate dalla guerra. Queste azioni sono state messe in atto mentre Israele rispondeva a un attacco di Hamas del 7 ottobre, un conflitto che ha provocato la morte di circa 1.140 persone, la maggior parte dei quali civili, comprese donne e bambini, secondo un censimento dell’Agence France-Presse basato su dati ufficiali israeliani. Dall’altra parte, l’autorità sanitaria palestinese ha riportato 20.000 morti, nella quasi totalità civili.
Meta ha risposto all’attacco del 7 ottobre rafforzando il controllo dei contenuti sulle sue piattaforme, in particolare Facebook, rimuovendo centinaia di migliaia di messaggi dall’inizio della guerra. La società ha creato un’unità dedicata con personale che parla arabo ed ebraico, con l’obiettivo di eliminare più rapidamente i contenuti che violano le sue politiche contro la disinformazione.
Le restrizioni imposte da Meta riguardano contenuti di natura violenta, scioccante e che incita all’odio. Tuttavia, Human Rights Watch ha denunciato una “censura sistematica online” e ha esaminato oltre 1.050 casi di “rimozioni e altre forme di soppressione di contenuti” su Instagram e Facebook, provenienti da più di 60 paesi nei mesi di ottobre e novembre. Secondo l’organizzazione, la maggior parte dei contenuti censurati proveniva da palestinesi e loro sostenitori e riguardava violazioni dei diritti umani.
Il rapporto aggiunge che, nonostante questa possa essere la più grande ondata di repressione di contenuti legati alla Palestina fino ad oggi, la pratica da parte di Meta non è nuova. Human Rights Watch continua a ricevere segnalazioni di censura, il che indica che il numero totale di casi è ben superiore ai 1.050 esaminati.
Di questi casi, 1.049 riguardavano contenuti pacifici a sostegno della Palestina che sono stati ingiustamente bloccati o soppressi, mentre un solo caso riguardava la rimozione di contenuti a sostegno di Israele. La censura includeva la rimozione di post e commenti, la sospensione o la disattivazione degli account, la limitazione della capacità degli utenti di interagire con i post o di seguire determinati account, e la riduzione della visibilità dei contenuti.
Human Rights Watch ha anche riferito che le proprie pubblicazioni erano soggette a restrizioni, con decine di utenti che hanno segnalato di non essere in grado di ripubblicare, mettere mi piace o commentare un loro post che “richiedeva di fornire prove di censura su Internet”.
L’organizzazione ha esortato Meta a consentire un’espressione protetta sulle sue piattaforme, inclusi i contenuti relativi alle violazioni dei diritti umani e ai movimenti politici. La questione solleva preoccupazioni significative riguardo alla libertà di espressione online e al ruolo delle piattaforme di social media nel moderare i contenuti in tempi di conflitto.
Credito immagine: Bloomberg