Nel corso della I guerra detta mondiale, in date non meglio precisate del 1915 e 1916, il nobile hashemita al-Husayn ibnʿAlī, detto lo “Sceriffo della Mecca” s’incontrò con Sir Henry McMahon, alto commissario britannico al Cairo, e stipularono uno sciagurato accordo che prevedeva un attivo sostegno arabo contro l’impero Ottomano in cambio di una parte importante dei territori mediorientali governati dai turchi su cui stabilire uno Stato indipendente.
Sempre nel corso di quella guerra, nel novembre 1917 viene pubblicata una lettera ufficiale a firma Lord Arthur J. Balfour, ministro degli esteri di H.M. Giorgio V, indirizzata ad altro Lord,e probabilmente confratello di Loggia massonica, Lionel Walter Rothschild nella quale si diceva che:
«Il governo di Sua Maestà vede con benevolenza l’istituzione in Palestina di una National Home per il popolo ebraico e farà del suo meglio perché tale fine possa essere raggiunto, rimanendo chiaro che niente deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni.»
Quello che questa famigerata dichiarazione implementò è storia tragica per il popolo palestinese e la cronaca non è purtroppo da meno.
Un passaggio cruciale, rimanendo chiaro che niente deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, informò per taluni aspetti il comportamento delle autorità mandatarie britanniche in seguito alle veementi proteste dei musulmani di Gerusalemme per l’invadenza ebraica verso il Muro di Al-Buraq che essi sostengono essere vestigia del Tempio di Salomone.
Conseguenza delle proteste il 13 settembre 1929, il Segretario coloniale britannico nominò un comitato noto come Commissione Shaw con il compito di indagare sulle cause immediate della rivolta e di sviluppare misure per prevenirne il ripetersi, tra cui la definizione di diritti e prerogative per evitare il verificarsi di altri moti.
Meno di un anno dopo il governo britannico propose al Consiglio della Società delle Nazioni di formare un comitato internazionale a questo scopo, e il Consiglio ne approvò la formazione il 15 maggio 1930. Era guidato dall’ex ministro degli Affari esteri del governo svedese in qualità di presidente, ed era composto dal vicepresidente della Corte di giustizia di Ginevra, dal presidente della Corte arbitrale mista austro-rumena, dall’ex governatore della costa orientale dell’isola di Sumatra e da un membro del Parlamento dei Paesi Bassi.
Un comitato internazionale imparziale al massimo livello giudiziario e arbitrale.
Il comitato arrivò a Gerusalemme il 19 giugno 1930, dove rimase per un mese intero e tenne 23 sessioni. Ascoltò la testimonianza di 52 persone, inclusi 21 rabbini ebrei, 30 studiosi musulmani e un esperto britannico. Le due parti presentarono al comitato 61 documenti, trentacinque da parte ebraica e ventisei islamica.
Delegazioni da tutto il mondo islamico si recarono a Gerusalemme per difendere la causa e dichiarare l’adesione dei musulmani alla proprietà del muro arrivarono eminenti personalità e sapienti musulmani dall’Egitto, dall’Iraq, dal Libano, Iran, Afghanistan, Indonesia, dall’India, il mufti della Polonia, dall’ Algeria, Libia, Marocco, Siria e Giordania orientale.
I musulmani argomentarono presso la Corte internazionale dimostrando che l’intera area circostante il Muro era un patrimonio islamico secondo i documenti e gli atti della Corte della Sharia, e che i testi del Corano e le tradizioni dell’Islam affermano chiaramente la santità del luogo.
Sostennero che la visita degli ebrei al Muro non era un loro diritto, ma piuttosto una concessione specifica al tempo dell’Impero Ottomano e in quello del dominio egiziano del Levante, ed era solo una risposta alle ripetute richieste di visitare il luogo e senza tuttavia consentire loro di eseguire rituali di preghiera in quel luogo se non senza alcun suono, nessun disturbo, senza posti a sedere o tende. Tutto ciò è stata una cortesia da parte dei governi musulmani, una forma di tolleranza religiosa (e non un diritto storico, religioso o immobiliare)!
La decisione della Corte arrivò più di cinque mesi dopo l’inizio delle sessioni del Comitato Internazionale a Gerusalemme. Dopo aver ascoltato i rappresentanti arabi musulmani e gli ebrei, esaminati tutti i documenti presentati dalle due parti e visitato tutti i luoghi santi in Palestina, il comitato tenne la sua sessione finale a Parigi dal 28 novembre al I dicembre 1930, avendo raggiunto unanimemente questa decisione:
“La proprietà del Muro del Pianto appartiene solo ai musulmani, e solo loro ne hanno il vero diritto perché costituisce parte integrante dell’area del Nobile Santuario, che fa parte della proprietà del Wakf. I musulmani possiedono anche la proprietà del marciapiede situato di fronte al Muro e di fronte all’area conosciuta come quartiere Al-Magharibi perché anch’esso un wakf secondo le disposizioni della legge islamica.”
Prescriveva inoltre: “Gli strumenti di culto e gli altri strumenti che gli ebrei portano e collocano vicino al muro non possono, in nessun caso, essere considerati o avere l’effetto di creare alcun diritto reale per gli ebrei sul muro o sul marciapiede adiacente ad esso.”
La decisione comprendeva una serie di altri punti, i più importanti dei quali erano: “Proibire di portare sedili, simboli, stuoie, sedie, tende, transenne e tende, e non permettere agli ebrei di suonare la tromba vicino al muro”. Le disposizioni di questo ordine furono rese esecutive l’8 giugno 1931 e il governo britannico pubblicò un libro bianco sull’argomento che riconosceva la proprietà musulmana del luogo e la loro autorità su di esso. Sia la sentenza internazionale che il Libro bianco costrinsero gli ebrei a restare entro i loro confini.