Gli attacchi contro i leader dell’asse della resistenza, che siano palestinesi o iraniani, prefigurano situazioni pericolose che minacciano di innescare una guerra regionale.
Innanzitutto, è importante chiarire che quanto sta accadendo rappresenta un tentativo provocatorio da parte di Israele, dopo il fallimento nel raggiungere i suoi obiettivi a Gaza e il genocidio senza precedenti che ha lì perpetrato. Israele ha ampliato i suoi obiettivi cercando l’eliminazione di Hamas e la soppressione della causa palestinese attraverso l’uccisione di civili e lo sfollamento. Queste azioni da parte della leadership israeliana sembrano mirare ad ottenere la vittoria nelle prossime elezioni e riottenere il favore dell’opinione del pubblico dopo che questo ha cominciato a manifestare forte preoccupazione e insoddisfazione per i rapimenti degli israeliani il 7 ottobre.
L’apparente scelta di Netanyahu di spingere la regione verso una guerraè da interpretare dunque come un’aggiunta al suo record di sconfitte. Al contempo, gli assassini di Radhi Mousavi a Damasco e Saleh al-Arouri nella periferia di Beirut sollevano interrogativi sulla natura delle violazioni subite dall’asse iraniano con spie e agenti israeliani che sono riusciti con successo a localizzare i bersagli. La mancata reazione dell’Iran di fronte a queste operazioni potrebbe essere inserita nel contesto di una precedente tregua con Israele, durante la quale l’Iran ha ottenuto notevoli vantaggi e a cui potrebbe essere riluttante a rinunciarvi. È possibile che l’Iran stia chiudendo un occhio su questi incidenti?
Il giornalista Ahmed Hassan, esperto in relazioni turco-arabe presso il Centro dei Tre Continenti di Istanbul, ha dichiarato al quotidiano La Luce News che quello che sta accadendo dietro questa serie di omicidi simultanei a Damasco, Libano e Iran, è un segnale dell’intenzione israeliana di trascinare la regione in una guerra regionale, nella quale gli Stati Uniti siano coinvolti. Tuttavia, Ahmed Hassan ha espresso dubbi sulla possibilità che ciò possa accadere, poiché Washington non sembra intenzionato ad aprire un altro fronte di questa portata in Medio Oriente.
Inoltre, il Regno dell’Arabia Saudita – alleato USA di alta rilevanza – sta lavorando al progetto Expo 2030 e ha bisogno di godere di stabilità e sicurezza nel suo spazio geografico, libero da potenziali attacchi da parte degli Houthi e dal ritorno di controversie e conflitti con l’Iran che intanto ha firmato con successo un accordo di sicurezza sotto il patrocinio cinese, basato sulla stabilità, sulla pace e sulla riduzione del livello di tensione tra Iran e Arabia Saudita.
Tutte queste operazioni che hanno preso di mira i leader di Iran, Hezbollah e Hamas sono da considerare dunque fallimenti fin tanto che gli iraniani decideranno di non rispondere nel modo in cui gli israeliani si aspettano. Gli iraniani potrebbero però decidere di usare altri mezzi, spingendo ad esempio gli Houthi ad intensificare gli attacchi missilistici, la pirateria, il rapimento di navi israeliane e la minaccia al commercio globale. Gli attacchi degli Houthi continuerebbero dunque ad aumentare lo stato di allerta e insicurezza in Israele.
In conclusione, se da un lato è vero che la regione è entrata in una guerra di portata più ampia con i recenti attacchi in Iran e Libano, dall’altro l’asse iraniano continua a disporre di molti strumenti per rispondere minando gli obiettivi israeliani. Nonostante tutti questi fatti, i negoziati e gli investimenti politici restano i protagonisti della crisi, soprattutto in quanto gli Stati Uniti sono prossimi alle elezioni e non vogliono mettere a repentaglio la fragile tregua nel contesto della guerra civile in Yemen. Tuttavia, nessuno sa quando gli Stati Uniti decideranno di ritirare del tutto il sostegno nei confronti di Netanyahu alla luce del rischio di una guerra regionale.