“La storia, Dio, non accettano la scena muta. Cessate il fuoco.” (Dargen)
E anche quest’anno il festival di Sanremo se l’è sfangata, nonostante il look da esibizione canora dei paesi dell’Est, e soprattutto l’apatia, il contegno adiaforo rispetto alle drammatiche urgenze dell’attualità, è riuscito ad incassarsi una media, tra la prima e la seconda parte, di 10 milioni di spettatori. Forse, grazie alla potenza statuaria di Ibrahimović.
Nelle 2 edizioni precedenti Sanremo aveva imbracciato vistosamente le cause del momento e aperto larghi spazi a lunghe dichiarazioni, monologhi, performance, dalla questione evergreen sulle donne, a quelle lgbt, sul lavoro, sulla guerra in Ucraina, e a sciorinar memoria.
Il Sanremo di quest’anno, tanto povero sia nell’immagine che nell’empatia, non ha trovato due parole da spendere sul genocidio di palestinesi, la pulizia etnica, lo sterminio di bambini perpetrato dall’entità sionista da oltre 75 anni e che negli ultimi 4 mesi sta divorando terra e persone sotto i nostri occhi.
E’ stato il festival del necrologio quello di quest’anno. Tutto il nostro rispetto e sentimento alle vittime ricordate, ma come al solito, il mainstream ha una sensibilità telecomandata e schizofrenica.
Si sono distinte, uniche due voci indipendenti, quella di Ghali con Casa mia e quella di Dargen D’Amico, che ha portato la canzone Onda Alta, un testo che non vuole far finta che va tutto bene, che mette il dito nella piaga dell’informazione iniqua: “basta un titolo per far odiare un intero popolo“; non sta parlando della storia di cento anni fa’, ma della storia dei nostri giorni.
Ghali nella sua “Casa mia” canta: “Di alzare un polverone non mi va (va) Ma, come fate a dire che qui è tutto normale, Per tracciare un confine Con linee immaginarie bombardate un ospedale, Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane…”
Questa strofa ha suscitato gli strali della Comunità Ebraica milanese che ha subito accusato il cantante di fare “un’inaccettabile propaganda anti-israeliana”.
Il pezzo di Dargen D’Amico invece parla della tragedia dei oggi, “ehi bambino, alla contraerea sopra un palloncino“, quella che ci costringe a scavare nella miniera del linguaggio per cercare le parole adatte a descrivere cosa accade a Gaza, oggi, e l’ indifferenza del resto del mondo colluso e complice dello sterminio chiaramente annunciato da Netanyahu e dai macellai ai vertici del suo governo e da tutti gli estremisti fautori dell’escalation: lo sterminio di tutto il popolo Palestinese, di tutta la gente Palestinese. Fino a distruggere, a cancellare anche il concetto di Palestinità.
Dobbiamo forzarci oltre le parole che usavamo per provare a dire di questo morbo demoniaco, dell’ossessiva malvagità, non ci siamo mai trovati di fronte a tanta crudeltà, non avevamo il linguaggio per questo.
“Il nostro silenzio è co-responsabilità. La storia, Dio, non accettano la scena muta.
Cessate il fuoco“, dice Dargen, in chiusura.