Nella narrazione romanticizzata e mitologica della fondazione di Israele, i kibbutz rappresentano il simbolo di pacifici paradisi socialisti dove fioriscono la vita collettiva e il lavoro agricolo. Così i kibbutzim ci sono stati presentati dopo il 7 ottobre: giardini dell’Eden deturpati dal Diavolo-Hamas. Tuttavia, rimuovendo gli strati di propaganda si rivela una verità molto più oscura: una realtà intrisa di brutalità ed espropriazione colonialista.
Il mito dei kibbutzim come bastioni di pace, uguaglianza e giustizia crolla di fronte ai crudi fatti storici messi a nudo nell’esplorazione di storici come Ilan Pappe e altri sulla pulizia etnica della Palestina. Contrariamente alla falsa immagine idealizzata, questi insediamenti ”socialisti” furono complici di alcuni dei più eclatanti furti di terre e proprietà e dell’espulsione dei palestinesi indigeni.
Dopo il 1948, con la scusa di una ”tutela logisticamente necessaria” delle terre e delle proprietà dei palestinesi, il neo-governo israeliano facilitò l’espropriazione totale delle terre palestinesi. Il cosiddetto sistema “Custode” fungeva da cortina di fumo (il-)legale, consentendo al regime sionista di vendere le proprietà confiscate dei palestinesi a gruppi e individui ebrei, il tutto sostenendo falsamente che non erano state avanzate rivendicazioni legittime da parte dei proprietari palestinesi. Questo furto gettò le basi per l’espansione dei kibbutz e di altri movimenti di coloni, perpetuando un ciclo di espropriazione ed esclusione.
La complicità dei movimenti socialisti dei kibbutz – come ad esempio Hashomer Ha-Tza’ir – in questo furto di terre è particolarmente dannosa. Non contenti di espropriare terre ai palestinesi già espulsi, questi movimenti secolari di sinistra cercarono di sfollare anche coloro che erano riusciti a restare. La loro insaziabile avidità – per citare Pappe – non conosceva limiti, poiché si impadronivano di terre e proprietà ignorando qualsiasi diritto del popolo palestinese.
La collusione tra il governo israeliano, l’esercito e i kibbutz socialisti nella colonizzazione della Palestina è ulteriormente sottolineata dalla creazione di basi militari e insediamenti sulle rovine dei villaggi palestinesi. Il paesaggio della Palestina fu forzatamente trasformato, con nuovi insediamenti che assomigliavano a fortificazioni militari piuttosto che a presunti centri di coesistenza pacifica.
Ancora oggi, le cicatrici di questa violenza coloniale sono visibili nel rifiuto dell’accesso alle moschee e alle chiese , relegati in enclavi inaccessibili circondate da fattorie sioniste. La deliberata cancellazione della storia e della cultura palestinese è esemplificata dalla manipolazione linguistica impiegata dal Fondo Nazionale Ebraico (JNF), che si riferisce ai kibbutz come semplici “villaggi” mentre da sempre ha nascosto l’esistenza dei Villaggi palestinesi rasi al suolo su cui questi paradisi infernali furono costruiti.
Non è un caso dunque che i Kibbutzim attaccati da Hamas nella controffensiva del 7 ottobre hanno radici storiche brutali e coloniali. Fra i più menzionati dal 7 ottobre abbiamo, ad esempio, il kibbutz Be’eri fondato come insediamento sul luogo di un furto di terre iniziato da parte di coloni sionisti già nella notte del 6 ottobre 1946 da parte del movimento sionista Ha-No’ar ha-Oved. Il Kibbutz Be’eri fu consolidato nelle operazioni militari del 1948 quando le forze sioniste israeliane espulsero gli abitanti indigeni palestinesi.
Vi è anche il Kibbutz Re’im. Ex membri del Palmach (sezione paramilitare dell’organizzazione terroristica sionista Hagana, poi divenuta a sua volta l’IDF e cioè l’odierno esercito israeliano) fondarono il kibbutz sul sito nel 1949. L’esercito israeliano ha mantenuto negli anni una base vicino al kibbutz. Prima del “disimpegno” dei coloni israeliani da Gaza nel 2005 dovuto alle azioni di resistenza armata di Hamas, la base veniva utilizzata come campo di evacuazione militare per le truppe israeliane. Successivamente, Re’im è diventato il bersaglio militare dei razzi al-Qassam lanciati dalla Striscia di Gaza.
La storia dei kibbutzim e lo sfruttamento e la distruzione del patrimonio palestinese, esemplificati dalla profanazione delle moschee e dall’appropriazione delle sorgenti dei villaggi, mettono a nudo la vera natura del colonialismo sionista. Gli ideali di socialismo e giustizia abbracciati dai movimenti di kibbutzim erano mere facciate che nascondevano un sistema costruito sull’espropriazione e sulla sottomissione del popolo palestinese la cui crudeltà superava anche le politiche già brutali del JNF.
Il mito dei kibbutzim come paradisi utopici in questo modo crolla obbligandoci ad affrontare la scomoda verità della loro complicità nell’oppressione storica del popolo palestinese.
Crediti immagine copertina: American Enterprise Institute