Domenica pomeriggio, Aaron Bushnell – un aviere dell’aeronautica militare statunitense – si presenta in divisa di fronte all’ambasciata israeliana di Washington. Passa inosservato, nessuno fa caso a lui. Porta con sé una borraccia. Si ferma e si cosparge gli abiti col liquido contenuto nella borraccia; poi estrae dalla tasca dei calzoni uno zippo, un accendino classico, a pietra focaia, quel particolare accendino tante volte visto all’opera nei film americani, ma non si accende una sigaretta come Humphrey Bogart in Casablanca. Con lo zippo Aaron dà fuoco ai suoi vestiti.
Passano pochi attimi e questo ragazzo di appena venticinque anni si trasforma in una torcia umana. Pare che prima di urlare di dolore, abbia gridato ”Palestina libera” più volte. La sua divisa gli aveva permesso di avvicinarsi all’ambasciata senza suscitare sospetti, senza essere notato.
Ora però Aaron non è più un innocuo soldatino, ora è fuoco. Fuoco acceso di fronte ad un luogo sensibile, molto sensibile, l’ambasciata di un paese – Israele – impegnato a bombardare senza misericordia a Gaza centinaia di migliaia di esseri umani colpevoli solo di essere palestinesi, colpevoli di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per questo pare che i soccorritori, ancor prima di agire, gli abbiano più volte gridato di stendersi a terra timorosi che quell’uomo in fiamme potesse nascondere chissà quale minaccia. Ma l’aviere non è una minaccia per nessuno, almeno fisicamente. La sua tragica fine, se non una minaccia, può però essere una notizia sgradevole per “l’unica democrazia del Medio Oriente”, per il suo principale partner mondiale – gli Stati Uniti – e per tutti quei paesi, il nostro in prima fila, che giustificano l’orrore di Gaza schierandosi senza se e senza ma a fianco di Israele.
Finalmente la torcia umana crolla a terra e, finalmente, in qualche modo le fiamme vengono spente. Aaron Bushnell, orrendamente ustionato, viene portato in ospedale dove la sua giovane vita si spegnerà qualche ora dopo. Di questo suo gesto estremo i media di tutto il mondo, e ovviamente quelli di casa nostra, danno la notizia piuttosto rapidamente, senza commenti, si direbbe distrattamente.
Nessun maître à penser nostrano, nessun Paolo Mieli, nessun Antonio Polito, Maurizio Molinari, Michele Serra, Massimo Gramellini, Aldo Cazzullo ecc … dedica al fatto una di quelle solite profonde e ponzate riflessioni che si usa dedicare a fatti e avvenimenti giudicati importanti.
In Italia si stanno svolgendo le elezioni regionali in Sardegna, e tutti i telegiornali e i principali quotidiani sono totalmente assorbiti a narrare e a commentare questo fondamentale avvenimento nostrano.
La candidata del centro-sinistra, tale Alessandra Todde, giovane e virtuosa ingegnera, l’ha spuntata per una manciata di voti al foto-finish sul candidato del centro-destra. E non si parla d’altro.
I talk show sono tutti dedicati a questo importante, forse fondamentale, fatto della vita nazionale. Beh, no. Non è del tutto vero. Le vicissitudini sentimentali e matrimoniali della coppia Chiara Ferragni-Federico Lucia, detto Fedez, magari un po’ più defilati che nei giorni precedenti tengono sempre banco. Sul sito web del Corriere della Sera di oggi, così come di altri importanti quotidiani, la notizia di quello che è accaduto a Washington, se mai c’è stata, ora non c’è più.
Insomma il gesto di Aaron ha avuto l’eco mediatico che può avere un avvenimento lontano, un fatto di cronaca tutto sommato ininfluente. Come se quello che è avvenuto domenica a Washington fosse solo il gesto di uno squilibrato, un depresso che ha scelto un modo eclatante di togliersi la vita.
Non lo crediamo. Non si sceglie di morire in quel modo, a soli venticinque anni, quando ancora nella tua vita deve succedere tutto, se non si sente dentro un dolore profondo, un’indignazione radicale, di fronte all’infinita tragedia di decine di migliaia di esseri umani, gran parte dei quali bambini innocenti, massacrati.
Non diversamente da Aaron Bushnell morì a Praga, il 16 gennaio del 1969, un certo Jan Palach, giovane studente che immolò la sua vita nel fuoco perché il mondo conoscesse la tragedia del suo paese invaso e calpestato dai carri russi. Il chirurgo che operandolo cercò invano di salvarlo, Jaroslava Moserova, dichiarò: .”sapeva che stava per morire, e voleva che la gente capisse il motivo del suo gesto: scuotere le coscienze per mettere fine alla loro arrendevolezza verso un regime insopportabile“.
Dobbiamo però amaramente constatare che il gesto di Aaron Bushnell, fatto per scuotere le coscienze di fronte all’orrore ed un gesto così tragico e così terribilmente simile a quello compiuto da Jan Palach, a differenza di quanto successe a Praga in quel lontano 1969, è avvenuto nell’indifferenza colpevole di un sistema mediatico quasi totalmente asservito agli interessi di chi di quell’orrore è l’imperdonabile responsabile.
L’Islam non ammette il suicidio, nemmeno quello che il grande sociologo e filosofo Emile Durkheim definiva, nella sua opera fondamentale sull’argomento, suicidio altruistico, e cioè quel suicidio motivato dal desiderio di immolarsi per il bene di altri esseri umani. Ma solo Dio l’Altissimo è giudice delle nostre azioni, e soprattutto delle nostre intenzioni.
Crediti immagine copertina: Reuters