Articolo di David Hearst* pubblicato su Middle East Eye
Gli attacchi recenti hanno dimostrato che Israele ha bisogno di altri paesi per difendersi e non è libero di scegliere in che modo contrattaccare
Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sapeva esattamente cosa stava facendo quando, due settimane fa, ha ordinato l’attacco al consolato iraniano a Damasco, uccidendo il generale di brigata Mohammad Reza Zahedi, oltre agli altri comandanti del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC).
Questo attacco è andato ben oltre le solite tattiche messe in campo che cercano di limitare il flusso di armi a Hezbollah, il movimento libanese, o di respingere dal confine settentrionale i gruppi sostenuti dall’Iran.
Si trattava di un chiaro tentativo di eliminare la leadership iraniana in Siria.
Dopo sei mesi, la guerra a Gaza sta andando male. Le forze di terra israeliane stanno affrontando un’ostinata resistenza palestinese che non mostra alcun segno di resa o di fuga, tra la distruzione di dimensioni bibliche e le reali sofferenze della popolazione.
Anzi, l’umore dei combattenti di Hamas si è addirittura temprato. Sentono di essere sopravvissuti al peggio e di non avere nulla da perdere. La popolazione di Gaza non si è rivoltata contro di loro e l’occupazione di Rafah, sostengono, non farebbe alcuna differenza per loro. Si prendono gioco di Israele che conta la forza di Hamas in battaglioni, non realizzando che, dopo un tale assalto, ora hanno una riserva illimitata di reclute e armi.
Molteplici messaggi
Mentre l’offensiva israeliana a Gaza è in una fase di stallo, l’opposizione alla leadership di Netanyahu sta aumentando e c’è una reale pressione per trovare un accordo che possa restituire gli ostaggi ancora vivi.
Le divergenze con il suo principale sostenitore, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, sono ormai palesi e Netanyahu sta rapidamente perdendo l’appoggio dell’opinione pubblica mondiale. Israele, con la guida di Netanyahu, è diventato uno Stato paria.
Ancora una volta, Israele aveva bisogno di fare la vittima per sostenere il mito secondo cui sta combattendo per la propria esistenza. Quale momento migliore per Netanyahu, il giocatore d’azzardo, per lanciare i dadi e attaccare un consolato iraniano, sapendo bene cosa avrebbe provocato?
Anche gli Stati Uniti sapevano cosa stava facendo Netanyahu, ovvero cercare di trascinare l’America in un attacco diretto contro l’Iran, e si tratta già della terza volta in 14 anni. Ecco perché gli Stati Uniti hanno detto direttamente agli iraniani che non avevano nulla a che fare con l’attacco e che ne erano venuti a conoscenza solo quando ormai gli aerei erano in volo.
L’Iran intanto ha preso tempo. Ha visto cosa è successo nel Consiglio di Sicurezza, quando una dichiarazione presentata dalla Russia, che condannava l’attacco al consolato iraniano, ha subito il veto di Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Ha poi dichiarato che non avrebbe colpito Israele se ci fosse stato un cessate il fuoco a Gaza, ma anche questo è stato ignorato. Quindi, tutti i Paesi occidentali hanno detto all’Iran di non colpire Israele. Biden ha dato un consiglio all’Iran: “Non farlo”.
Quando è arrivato, l’attacco è stato accuratamente coreografato per trasmettere una serie di messaggi agli Stati Uniti, a Israele e a tutta la regione araba.
Teheran voleva stabilire un precedente: dimostrare che poteva colpire direttamente Israele senza però scatenare una guerra su larga scala. Voleva avvisare Israele che poteva colpirlo. Voleva dire agli Stati Uniti che l’Iran è una potenza del Golfo destinata a rimanere tale e che ha il controllo sullo Stretto di Hormuz. Voleva dire a tutti i regimi arabi che si inchinano a Israele che la stessa cosa poteva accadere a loro.
Soltanto pochi razzi hanno raggiunto l’obiettivo, ma ogni messaggio inviato è stato recapitato. L’attacco è stato quindi un successo strategico e una battuta d’arresto per la reputazione di Israele in quanto “capo dei bulli” del blocco occidentale.
L’invio di questi numerosi messaggi era iniziato col sequestro da parte delle Guardie rivoluzionarie iraniane di una nave porta-container battente bandiera portoghese, la MSC Aries che, secondo l’agenzia di stampa statale (IRNA), è gestita da una società il cui presidente è il miliardario di origine israeliana Eyal Ofer.
L’Iran ha quindi lanciato sciami di droni poco costosi contro Israele, comunicando a tutti che avrebbero avuto otto ore per prepararsi all’attacco. L’attivazione dei sistemi di difesa aerea è costata a Israele più di un miliardo di dollari, ha dichiarato a Ynet il generale di brigata Reem Aminoach.
Ma è probabile che questa sia la parte meno dispendiosa del costo totale.
Si sa che almeno quattro Paesi hanno aiutato Israele ad abbattere i droni: Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania. Un quinto paese è stato molto probabilmente l’Arabia Saudita, poiché si trovava sulla rotta di volo dall’Iraq meridionale a Israele, mentre il sesto potrebbe essere l’Egitto.
Si è trattato di uno sforzo aereo difensivo importante che, come hanno amaramente fatto notare alcuni ucraini il giorno seguente, gli stessi Paesi stanno scegliendo di non fornire al paese in guerra contro la Russia. D’altronde, questo costo non può essere certo sostenuto in modo costante.
Al contrario, l’Iran ha utilizzato 170 droni a basso costo, e 25 dei 30 missili da crociera lanciati sono stati abbattuti da Israele. Ma si trattava di un’esca. Le vere armi erano costituite dai missili balistici e infatti un piccolo numero di questi ha superato le difese israeliane colpendo la base aerea di Nevatim, nel sud di Israele.
Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha dichiarato che quei missili hanno causato lievi danni strutturali. La verità probabilmente non la sapremo mai, ma a Israele è stato recapitato il messaggio: l’Iran ha la capacità di colpirlo e di colpire i suoi obiettivi a distanza, senza dover ricorrere a Hezbollah, Ansar Allah dello Yemen o ai suoi alleati in Iraq.
Le armi utilizzate erano soltanto un assaggio della sua reale potenza di fuoco. Dopo l’attacco, l’Iran ha avvertito gli Stati Uniti che se Israele dovesse rispondere a tono, le loro basi al di là del Golfo e in tutto l’Iraq diventerebbero bersagli, come avvenuto nel 2020 dopo l’assassinio di Qassem Soleimani, il capo delle Quds Force.
Il messaggio fatto pervenire agli Stati Uniti è altrettanto forte: l’Iran è pronto ad attaccare Israele con missili balistici e a sfidare l’Occidente, con un avvertimento diretto a Biden. Potrebbe fare lo stesso contro qualsiasi alleato degli Stati Uniti nella regione del Golfo. L’Iran non vuole una guerra, ma è in grado di rispondere.
Quindi, se non vuole una guerra, il messaggio agli Stati Uniti è che devono frenare il loro figlio adolescente e testardo, Israele, il bambino che è stato coccolato dal suo genitore per così tanto tempo da pensare di poter fare nella regione tutto ciò che vuole.
Le gaffe in politica estera
Netanyahu si trova ora in un dilemma. Potrebbe scegliere di soddisfare le richieste dell’estrema destra sferrando un duro contrattacco all’Iran, ma non avrebbe l’aiuto dell’America per farlo e, in questo caso, lo spazio aereo tra Tel Aviv e Teheran potrebbe essere un po’ più difficile da percorrere.
Se Netanyahu attaccasse l’Iran, le sue relazioni vacillanti con gli Stati Uniti andrebbero di male in peggio. Inoltre, lancerebbe un grave attacco contro la reale opposizione dell’establishment della difesa e della sicurezza, che gli aveva impedito di fare una cosa simile già nel 2010.
Se non fa nulla, appare ancora più debole di quanto non sia già e cederebbe il terreno a Benny Gantz, leader dell’opposizione e collega del gabinetto di guerra che, il giorno successivo alla risposta iraniana, ha parlato di un’offensiva diplomatica contro Teheran, esattamente la stessa formula che gli Stati arabi hanno usato ogni volta che hanno ricevuto una schiacciante sconfitta militare da parte di Israele.
Anche gli Stati Uniti stanno scoprendo che, per la quinta volta in tre decenni, un importante pilastro della politica estera si sta sgretolando nelle loro mani.
La decisione di rovesciare i Talebani in Afghanistan, l’invasione dell’Iraq, il rovesciamento di Muammar Gheddafi in Libia, il tentativo di rovesciare Bashar al-Assad. A tutti questi disastri nella politica estera statunitense, se ne aggiunge ora un quinto: la decisione di sostenere l’invasione di Gaza da parte di Israele.
Chiaramente, il governo USA si è reso conto tardivamente della gravità dell’errore di valutazione commesso nel sostenere Israele a spada tratta dopo l’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas. Ma, d’altronde, ci è voluto parecchio tempo anche per rendersi conto della portata dell’errore commesso nell’invasione dell’Iraq.
La testimonianza del Segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin al Congresso, secondo cui gli Stati Uniti non hanno alcuna prova che Israele abbia commesso un genocidio a Gaza, ricorda in modo inquietante il discorso di Colin Powell alle Nazioni Unite in cui affermava di avere le prove delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Il discorso di Powell del 2003 è stato un momento fondamentale nella perdita di credibilità internazionale degli Stati Uniti. E da allora, anno dopo anno, la credibilità degli Stati Uniti è affondata sempre più rapidamente.
Powell in seguito si è pentito di ciò che ha detto. Austin è destinato, col senno di poi, a fare lo stesso.
Un vortice infernale
Israele ha ora condotto i suoi sostenitori in un vortice infernale in cui non c’è pace o prospettiva di pace, non c’è la sconfitta di Hamas, non c’è la prospettiva di un governo post-bellico, la deterrenza per tutti gli altri gruppi armati della regione si sta riducendo e c’è la prospettiva di una simultanea guerra regionale di basso livello su tutte le frontiere di Israele.
Forse la cosa più stupida che le fonti della sicurezza israeliana hanno fatto dopo la risposta dell’Iran è stata quella di vantarsi pubblicamente della cooperazione ottenuta dall’aviazione giordana, dichiarando che li ha aiutati ad abbattere i droni e i missili da crociera.
Le fonti israeliane si sono vantate del fatto che i missili diretti a Gerusalemme sono stati intercettati sul lato della Valle del Giordano e che altri sono stati intercettati vicino al confine siriano.
Il messaggio che Israele voleva trasmettere era che, nonostante le apparenze, Israele ha alleati nella regione e che questi alleati sono pronti a difenderlo.
Ma si è trattato di un atteggiamento stupido visto che Israele vuole preservare una monarchia giordana criticamente debole che sta combattendo contro una vasta opinione pubblica che vuole invece prendere d’assalto il confine.
Probabilmente in passato la Giordania è stata anche doppiogiochista e re Hussein ha passato informazioni al suo amico fumatore di sigari, il defunto ex primo ministro Yitzhak Rabin.
Ma questa è la prima volta, secondo quanto ricordo, che l’esercito giordano, che porta ancora il suo nome originale dal tempo della liberazione dall’Impero Ottomano come Esercito Arabo, si è effettivamente unito in combattimento per proteggere i confini di Israele.
E ha commesso un errore madornale.
Mentre la popolazione della Giordania, sia palestinese che della Cisgiordania, si felicitava per quei missili lanciati verso i loro obiettivi, l’esercito giordano li abbatteva per conto di Israele.
Israele ha rapporti solo con i leader arabi che sfidano la volontà del loro popolo e gli impongono il loro governo corrotto. L’azione della Giordania può aver dato un aiuto a breve termine a Israele, ma a lungo termine significa problemi sul confine più lungo di Israele.
Israele può anche festeggiare il fatto di avere dei veri alleati, ma così facendo sta fatalmente minando la legittimità dei suoi amici.
L’Iran ha fatto valere le proprie ragioni e di conseguenza Israele è più debole.
È la prima volta che viene attaccato direttamente dall’Iran che, come Hamas, ha dato l’impressione di non essere interessato alla guerra. È anche la prima volta che a Israele è stato detto da Biden di non rispondere o reagire. Dopo un attacco del genere, l’immagine è pessima: Israele ha bisogno di altri paesi per difendersi e non è libero di scegliere come e quando contrattaccare.
L’attacco ha costretto il suo protettore, gli Stati Uniti, a ricercare nuove opzioni politiche.
Ma tutte, al momento, sembrano inutili e inefficaci.
* Direttore di Middle East Eye