Il 7 maggio la Camera dei Deputati ha approvato una legge anti-moschee che ora è al vaglio del Senato. I numeri e le intenzioni dell’attuale maggioranza di governo potrebbero a approvarla definitivamente a breve.
Esistono diversi progetti di legge in chiave anti-islamica presentanti in Parlamento, anche ripresentati in più legislature, ma quello che colpisce di più sono le relazioni che li accompagnano, tutte impregnate di pregiudizio e disinformazione e dove spesso scarseggia (leggasi: è assente) l’orizzonte costituzionale in materia di libertà religiosa.
La proposta di legge in questione è quella di «Modifica dell’art. 71 del codice del Terzo settore… in materia di compatibilità urbanistica dell’uso delle sedi e dei locali impiegate dalle associazioni…» presentata alla Camera dei deputati il 17 marzo 2023 con primo firmatario l’On. Foti (FdI).
Già dall’apertura, la relazione di presentazione è indicativa del target che la proposta intende colpire:
Onorevoli Colleghi! Nell’ultimo decennio si è registrata nel nostro Paese una diffusa proliferazione di associazioni di promozione sociale (APS) che, di fatto, però, hanno come funzione esclusiva o prevalente quella di gestire luoghi di culto per le comunità islamiche… la legge… è diventata ben presto grimaldello utilizzato dalle comunità islamiche per insediarsi nel territorio italiano creando moschee e madrase.
Il riferimento normativo è all’art. 71 del Codice del Terzo Settore (CTS), che ricalca l’art.32 della legge 383/2000 (quella che introduceva le APS), il quale prevede che le attività degli Enti del Terzo Settore (ETS) sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso delle loro sedi. La proposta di legge chiedeva inizialmente che questa condizione di favore non si applicasse «alle APS che svolgono, anche occasionalmente, attività di culto di confessioni religiose…» non concordatarie.
Il testo che poi è arrivato in aula parlamentare ha subito, durante l’iter in commissione, sostanziali modifiche formali che però non hanno mutato la natura della proposta. Si è passati dal «non si applicano alle APS che svolgono…attività di culto» al «si applicano alle APS che svolgono attività di culto» riuscendo comunque a mantenere inalterata l’impostazione secondo la quale la preghiera senza concordato sarebbe un’attività umana da attenzionare sempre e comunque per cui (nel nuovo testo) questa può essere consentita: nel rispetto dei criteri… individuati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’interno e con il Ministero della salute… previa intesa in sede di Conferenza unificata…
Non è peregrino aspettarsi che non sarebbe quasi mai consentita.
Tra gli interventi nelle audizioni alla Camera del preventivo iter in commissione (quindi sul testo originale) c’è stata la relazione del prof. Pierluigi Consorti, sintetica quanto omnicomprensiva e che in un mondo ideale avrebbe potuto mettere una pietra tombale sull’iniziativa che invece è arrivata in aula alla Camera dove, il 7 maggio 2024, è stata approvata con ulteriori emendamenti di maggioranza.
La terza formulazione del testo è ora all’esame del Senato. Tornando alle osservazioni di Consorti, tra criticità ed incostituzionalità dell’iniziativa, abbiamo che: la proposta stravolge lo spirito della normativa del Terzo Settore, e della sua evoluzione storica, che tende a «limitare la potestà pubblica di governo del territorio» in favore di specifici enti privati (la modifica proposta tende invece ad accrescere smisuratamente e selettivamente questa potestà); nell’intervenire su un singolo articolo del CTS (art. 71), considerando il culto come attività da escludere (in assenza di «concordato» o fuori da inimmaginabili decreti ministeriali), si va in contraddizione con l’articolo che invece consente le «attività diverse» da quelle «istituzionali» (art. 6).
Si creerebbe una discriminazione palese e inammissibile tra le APS o tra gli ETS in base alle attività (comunque lecite) svolte; si infrangerebbe la particolare tutela anti-discriminatoria che l’art. 20 della Costituzione prevede per le associazioni con «fine di religione» che non possono essere oggetto di «speciali limitazioni legislative»; la discriminazione tra confessioni concordatarie e non, dopo decenni di pronunciamenti della Corte Costituzionale che «liberano» la libertà religiosa dai concordati, è difficilmente digeribile e sarebbe oltremodo superfluo parlarne. Però, di fatto, alla discriminazione tra culti ammessi e culti non ammessi si sostituisce quella tra confessioni con intesa e confessioni senza. Con buona pace della Corte costituzionale!
Tra gli interventi delle opposizioni su questa proposta di legge si distingue quello in aula dell’On. Rachele Scarpa (PD) la quale afferma che: Il nostro compito, dunque, sarebbe quello di vedere il vulnus che effettivamente esiste nella normativa attuale e chiederci come possiamo risolverlo e dovremmo farlo consapevoli dei tempi in cui viviamo.
Sempre dalle fila del PD è arrivata in parlamento la presa di posizione dell’On. Ouidad Bakkali: “… Sostenere che i luoghi di culto siano un grimaldello utilizzato dalle comunità islamiche per insediarsi nel territorio italiano è qualcosa davvero di aberrante, perché non sono le comunità musulmane che si insediano nel territorio italiano. Sono cittadini, cittadine, sono lavoratori, sono lavoratrici come quelli di Monfalcone a cui viene chiesto di andare a pregare in mezzo a un parcheggio senza servizi igienici e con neanche un palo della luce…”
Peccato manchi del tutto l’autocritica nei confronti del PD e del centro-sinistra che negli ultimi decenni hanno tanto governato senza dare la benché minima rilevanza al tema della libertà religiosa e alla necessità di superare il vulnus normativo vigente (nonostante le tante proposte di legge che sono state presentate).