L’ Imam Abdessalam Yassine è stato un influente pensatore islamico e guida spirituale, fondatore del movimento Al-Adl wal-Ihsan (Giustizia e Spiritualità). Conosciuto per le sue critiche ai regimi autoritari e per la sua visione di un Islam autentico, spirituale e impegnato nelle faccende del mondo, Yassine ha dedicato la sua vita alla promozione dei valori di spiritualità e giustizia e alla riforma sociale e politica.
Il brano tratto dal suo libro*, pubblicato in francese nel 1996 ed edito in Italia da Il Messaggio con il titolo: “Islam e modernità, per una comprensione reciproca”, discute la questione palestinese e le sofferenze inflitte alla popolazione araba dall’occupazione israeliana, descrivendo una serie di catastrofi che hanno colpito il popolo palestinese, a partire dalla Nakba del 1948, di cui ricordiamo oggi il 76º anniversario.
Yassine critica duramente l’inettitudine dei governi arabi e la protezione incondizionata che gli Stati Uniti offrono a Israele, evidenziando come questi fattori abbiano esacerbato l’oppressione di Israele sul popolo palestinese e il suo totale sfregio delle risoluzioni internazionali.
Relazionando questo brano ai fatti attuali, seguiti all’operazione “Diluvio di Al-Aqsa” dello scorso 7 ottobre, si osserva che molte delle questioni sollevate da Yassine rimangono rilevanti e attualissime. Il finanziamento e il sostegno militare a Israele da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente sono certamente una delle ragioni della crudeltà e del prolungamento del genocidio sionista a Gaza. Allo stesso tempo, il mondo arabo e musulmano continua a essere diviso in conflitti interni e regionali che ne indeboliscono la capacità di sanare la ferita palestinese e le altre questioni urgenti in modo unito e deciso.
La visione di Yassine di una rinascita umana fondata sulla spiritualità, l’unità e la giustizia è divenuta un tema centrale nel dibattito contemporaneo, con l’intifada mondiale partita dalle università d’élite americane, mentre la sua critica ai regimi arabi e all’imperialismo occidentale conferma gli elementi fondamentali da contestare e abbattere per realizzare tale rinascita, che secondo il nostro autore dovrà avere al centro l’essere umano e le sue esigenze spirituali, sociali e ambientali.
Ecco il testo in cui l’Imam Yassine affronta la questione palestinese
La questione palestinese è una serie di prove dolorose, un cammino di sofferenza disseminato di paesaggi di desolazione: disastro nel 1948, flagello nel 1956, catastrofe nel 1967, calamità nel 1973 e molti altri rovesci lungo il cammino.
Le disfatte arabe di fronte al piccolo Stato di Israele hanno messo a nudo la mortale frattura delle società arabe e l’inettitudine dei loro governi. Hanno rivelato verità molto dolorose: se non è il tradimento innominabile degli uomini al potere che, nel 1948, hanno armato i loro soldati con fucili che hanno fatto cilecca e munizioni difettose, è l’assenza dei generali egiziani, troppo occupati dalla loro depravazione per reagire durante l’attacco a sorpresa israeliano nel 1967.
La reazione ignorata da uno stato maggiore depravato era forse l’ultima possibilità per l’Egitto di combattere alla pari lo stato sionista, prima che lo zio Sam entrasse in campo con le sue risorse. Quando l’esercito egiziano, nel 1973, rinunciò alle sue parole d’ordine nazionaliste e scese in campo sotto il grido di battaglia “Allahu akbar” (Dio è grande), l’America, protettrice incondizionata di Sion, mise in piedi un ponte aereo degno della sua potenza, per inondare il campo di battaglia di aerei da guerra e carri armati.
La protezione dello Zio Sam è stata chiamata in gioco ancora una volta quando oppose il suo veto all’Onu alle decisioni contrarie ai desideri dello Stato sionista. Questi, sicuro delle sue spalle, respinse le risoluzioni del mondo come inutile carta straccia.
Bambino viziato dell’America protestante e fervente di mitologia biblica, lo Stato di Israele e il suo enorme apparato di propaganda – giornali, radio e televisioni statunitensi, in particolare – gonfiano a volontà il numero di vittime di Hitler e traggono dalle fonti bibliche comuni delle nozioni motivazionali come Esodo e Shoah.
Lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” presenta la Palestina come una terra di nessuno, un territorio abbandonato e un’eredità perduta e ritrovata del popolo eletto.
“Terra promessa” e recuperata, la Palestina non è che una testa di ponte per l’espansione verso la “Grande Israele” che, nelle mappe sioniste pubblicate, ingloba gran parte dell’Oriente arabo: Giordania, Siria, Iraq, Egitto. Israele agisce fiduciosa e sicura dei suoi alleati. Il suo principale alleato è il senso profondo di colpa alimentato dopo il cosiddetto Olocausto.
Durante la seconda guerra mondiale, il governo francese di Vichy fu coinvolto nella persecuzione degli ebrei; successivamente, la Francia fu persuasa di avere un debito storico con il popolo ebraico. Questo debito doveva essere saldato a costo di violare i principi democratici in nome dei quali i diritti umani sono difesi.
Un debito che gli arabi hanno pagato per il riscatto dell’Europa. Non soltanto le terre arabe sono state occupate e preparate per ricevere gli ebrei chiamati alla terra dei loro antenati, ma il mito stesso alla base della pretesa ebraica è preservato da ogni attacco. La legge Gayssot-Fabius, votata e promulgata in Francia nel 1990, sanziona gravemente ogni critica al credo politico sionista: mettere in dubbio la portata dell’Olocausto è un crimine, e il diffidente è perseguito penalmente.
Così, grazie alla propaganda, Hitler, il nemico del genere umano e l’istigatore di una guerra che fece cinquanta milioni di vittime, venti milioni dei quali sovietici, passerà alla storia come il boia dei soli ebrei. Gonfiare il numero delle vittime non aggiunge nulla all’orrore della carneficina hitleriana; una sola vittima innocente, ebrea o non ebrea, è già troppo secondo le nostre profonde convinzioni islamiche.
Il figlio beniamino dell’America è anche un pupillo di Hollywood: i fondi ebrei della produzione cinematografica e i talenti dei registi ebrei si coniugano per onorare uno Schindler mitico, restando sordi alle proteste della vedova che denuncia la falsificazione dei fatti.
Assistita da questi prestigiosi avvocati, la causa ebraica è onnipresente nella coscienza del mondo, mentre altre cause sono cancellate per sempre. Da nessuna parte si erigono lapidi per piangere i sessanta milioni di nativi americani sterminati dai bianchi protestanti e pionieri americani. Nessuna stele commemora i cento milioni di africani neri morti imballati nei comparti delle navi negriere. I campi di cotone dell’America non ricevevano di questo bestiame umano che uno su dieci; nove passavano oltre il regno dei vivi al momento della loro cattura, o incatenati e stipati per la traversata. Chi pensa ancora a questi? Solo lo Stato ebraico raccoglie le attenzioni e le memorie!
L’immagine di martire che gli ebrei tengono a promuovere e sfruttare non ci deve distogliere dal progetto sionista e dal discernere alcuni tratti nel carattere e qualche precedente dei protettori dello Stato sionista.
Protetti e protettori chiedono l’impossibile. Essi hanno l’audacia e l’incoscienza di lavorare perché sette milioni di ebrei, protetti per un futuro incerto, occupino le terre e l’economia di 300 milioni di arabi, che saranno sostenuti domani da un miliardo e mezzo di musulmani, che presto saranno consapevoli della posta in gioco in Palestina e saranno disposti a rispondere all’appello dei loro fratelli!
Quando si chiede l’impossibile, si scopre che è fuori portata e si possiede un arsenale nucleare, la tentazione di servirsene si rivelerà un giorno irresistibile. Si sveglierà l’umanità un giorno alla notizia di una nuova Hiroshima in qualche capitale araba?
La minaccia non sembra così incerta, a giudicare dall’arroganza, dall’irresponsabilità e dalla poca maturità dell’attuale capo del governo sionista (Netanyahu). E quando prendiamo in considerazione il dogma ebraico secondo cui i “gentili” (i non ebrei) sono buoni per lo sfruttamento, sia finanziariamente (con l’usura), sia in qualsiasi altra maniera, l’aggressione nucleare non sarà da escludere. I “gentili”, secondo l’interpretazione estremista della Bibbia ebraica, possono e devono essere sterminati se sono da intralcio al progetto del popolo eletto. Quale migliore mezzo delle armi nucleari per lo sterminio?
L’incubo non è da escludere quando si pensa che alla fine del mese di ottobre 1997, il capo dello Stato ebraico ha provocato una tempesta popolare quando ha messo in dubbio alcuni passaggi della Bibbia che minacciano i nemici di Israele di sterminio; l’estrema destra religiosa al potere, la cui ideologia poggia su tali passaggi come giustificazione dell’espansione insaziabile di Israele, ha gridato allo scandalo.
L’esistenza stessa di questo Stato artificiale è minacciata di auto-distruzione dalla sua costituzione fatta di un’accozzaglia di popolazioni eterogenee. Il pesante fardello del suo arsenale di bombe nucleari che uno sbalzo d’umore di un capo paranoico, o l’auto-eccitazione di uno stato maggiore militare potrebbe portare il governo ad attivare, concorre al disagio interno e alla nostra inquietudine.
Lo Stato che si mantiene da cinquant’anni, sostenuto dai suoi amici occidentali, è attraversato internamente da una dinamica centrifuga reale. La democrazia di facciata che ha operato finora non può tenere insieme l’edificio all’infinito: l’edificio crollerà alla fine.
Tuttavia, non bisogna sognare che il proprio aggressore cada da solo, abbattuto da qualche magia invisibile. Non bisogna sognare! Bisogna capire e agire! Bisogna capire la storia e prepararci alla promessa, alle condizioni che ci pone Dio nel Corano.
È detto nel Corano:
“Non perdetevi d’animo, non vi rattristate: se siete credenti avrete il sopravvento. Se una ferita vi affligge, simile ferita è toccata anche agli altri. Così alterniamo questi giorni (di ascesa e declino) fra gli uomini, sicché Dio possa riconoscere (dalla loro condotta) coloro che hanno creduto e scelga tra voi dei martiri – Dio non ama gli empi.”
Questi versi sono stati rivelati dopo la sconfitta dei musulmani a Uhud, ma il Corano non è un resoconto di eventi circoscritti nel tempo, esso è la Parola vivente di Dio, è insegnamento valido per tutti i “giorni”, promessa di un’alternanza e di un’ascesa dopo la decadenza.
E così, il regno di Gerusalemme fondato dai Crociati durò due secoli, dopo i Franchi ne furono cacciati. Il regime feudale dell’antico regno di Gerusalemme, benché iniquo e disumano sembrava stabile. Sebbene sotto questo regime schiavista e crudele le terre si vendevano o si ereditavano insieme ai servi sottomessi alla frusta, esso sembrava esistere per durare in eterno.
La democrazia moderna liberatrice si è dimostrata essere, in Israele, un sistema per l’assoggettamento di un popolo. Essa non durerà in eterno; essa è là per un certo tempo, è là come prova per noi, come prova per gli arabi e i musulmani. Il regno crociato antico fu rovesciato da una società musulmana unita intorno a un sultano unificatore. Saladino il curdo riunì dietro di se arabi e non arabi.
Oggi, per nostra Prova, tutto ciò sembra assai lontano; oggi le guerre etniche tra musulmani sono una ferita aperta, una lacerazione, una furia fratricida. I musulmani sono vinti e asserviti poiché piccole entità, non sono altro che afgani, turchi, arabi, berberi, ecc.
Israele, la Prova rimarrà là per qualche tempo, fino a che il miliardo e mezzo di musulmani, massa dispersa, prenda coscienza della sua vera identità. La Prova – affinché Dio riconosca i fedeli e li distingua da coloro che non lo sono – è una nozione centrale nell’islam, sulla quale ritorneremo, a Dio piacendo.
La promessa esplicita di Dio nel Sacro Libro è subordinata ad alcune condizioni: la fede, le disposizioni politiche e sociali, la resistenza e il martirio, e la preparazione di lungo respiro in vista del “giorno” dell’alternanza. La vittoria si guadagna!
Sul tema della sfida storica e della psicologia dei popoli, il fenomeno dell’alternanza delle civiltà è stato osservato con attenzione dallo storico britannico Toynbee.
La decadenza e il degrado della civiltà occidentale moderna sono difficili da ammettere da colui che è accecato da tanta forza, da tanta opulenza e da tanta capacità di sfruttare e domare la natura (distruggendola). Chi studia, invece, la psicologia dell’uomo moderno – tra cui quella dell’ebreo sionista per esempio – scopre i segni inconfutabili di una decadenza certa e inevitabile.
Detto ciò, il musulmano non è in una posizione migliore. Al cedimento morale, egli aggiunge la miseria materiale, il sottosviluppo, l’ingiustizia sociale, lo smembramento politico, e l’elenco è lungo.
L’osservazione della contingenza storica e della psicologia dei popoli ci informa che i musulmani sono dei candidati molto improbabili per giocare un ruolo onorevole sulla scena mondiale, e mette in dubbio la teoria ciclica di Toynbee.
Lasciamo gli storici ai loro freddi esami delle congiunture e passiamo in rassegna la storia dei Profeti di Dio riportata nel Corano. Ogni volta che una città ingiusta raggiunge l’apice del suo potere e si ribella a Dio, questa viene maledetta e abbattuta per lasciare spazio ad altre più giuste e meno pervertite. Questa fu la sorte di ‘Ad, il popolo del Profeta Hud, di Thamud, il popolo di Salih, di Faraone, nemico di Mosè, e di molti altri.
Le sofferenze e le prove di ieri sono le promesse della vittoria di domani, però sarebbe falso pensare che la nostra fede sia compatibile con l’attesa contemplativa e il quietismo fiducioso. La vittoria, dono di Dio, si conquista; non lo ripeteremo mai abbastanza!
*Testo tratto da Islam e modernità, per una comprensione reciproca, pp. 97-102