Gentile prof.ssa Daniela Santus, Wa ʿalaykumu s-salām, su di lei la pace
La ringrazio per la sua lettera pubblicata su il quotidiano Il Foglio che mi dà l’opportunità di chiarire alcuni punti importanti. Prima di tutto, desidero sottolineare che il momento di preghiera congregazionale organizzato a Palazzo Nuovo lo scorso venerdì è stato voluto e organizzato dagli studenti musulmani dell’Università di Torino in accordo con le rappresentanze degli studenti che occupano la sede universitaria nell’ambito della intifada studentesca iniziata più di dieci giorni fa a Palazzo Nuovo, per chiedere lo stop agli accordi di collaborazione dell’Università di Torino con le università israeliane colluse col genocidio in corso a Gaza.
La preghiera congregazionale del venerdì, che sostituisce il giorno del venerdì la seconda orazione giornaliera del credente musulmano, consiste in un’orazione preceduta da un breve discorso di natura spirituale, etica e sociale rivolto da un Khatib (oratore) nella lingua degli oranti presenti. Mi è stato chiesto dagli studenti di fare da khatib e imam a tale preghiera e ho accettato volentieri pur non essendo un imam di ruolo in qualche moschea. Ma lei dovrebbe sapere, nell’islam può esserlo qualunque musulmano adulto, a patto che venga scelto dagli oranti.
Nel mio discorso, aperto con il ringraziamento agli studenti che si sono sollevati contro l’ingiustizia occupando un luogo di ricerca del sapere, ho cercato di sottolineare la natura benedetta della terra di Palestina e dei suoi abitanti, così come ribadito dal Corano e dalla tradizione del Profeta Muhammad, pace su di lui. La natura santa di quella terra è condivisa anche dalle altre fedi del libro, ebraismo e cristianesimo, in quanto terra di profeti e messaggeri divini. Forse proprio per questa ragione, la Palestina è una terra martoriata dalla prevaricazione e dalla sete di potere degli uomini, essa è mira di tutti i colonizzatori. Nel discorso ho fatto riferimento in particolare alle crociate che hanno preso di mira questa terra per circa 200 anni, a partire dal discorso sanguinario di papa Urbano II a Clermont del 1095: “Non siate una generazione degenere, che tutto l’odio tra di voi perisca, che abbiano termine tutti i litigi, che cessino tutte le guerre! Prendete la via del santo Sepolcro per strappare questa terra alla razza maledetta e sottomettetela a voi! Dio lo vuole!”
Ho salutato nel mio discorso la valorosa resistenza e resilienza del popolo palestinese che ha resistito per più di 90 anni, almeno dalla grande rivoluzione palestinese del 1936, ai tentativi di sterminio e pulizia etnica perpetrati dal movimento sionista, protetto dai colonizzatori inglesi, il quale ha sempre propagandato lo slogan “un popolo senza terra per una terra senza popolo”, annullando dalla storia e cercando di annullare dalla geografia il popolo palestinese.
Nel mio discorso, disponibile online in modalità integrale, ho ricordato l’invito del Profeta Muhammad, pace su di lui, a non accettare mai l’ingiustizia e il male, a rifiutarlo sempre con i nostri cuori, con la nostra parola se è possibile e con le nostre mani qualora ciò non possa creare ulteriore male. Ho specificato che con le mani si intende il livello politico e non certamente la violenza fisica, che è sempre da condannare, in particolare quando viene rivolta in maniera deliberata contro civili inermi.
Il concetto di jihad, a cui lei fa riferimento, è spesso frainteso e utilizzato in modo errato da alcuni musulmani o pseudo musulmani (la invito ad ascoltare una magistrale lezione del prof. Alessandro Barbero sul tema). Nell’islam, il jihad ha diverse dimensioni, da quella spirituale a quella sociale, economica e politica. In quest’ultima, esso implica l’impegno per promuovere la giustizia e aiutare i bisognosi. Nel mio discorso non ho parlato mai di “jihad con le mani”, come lei mi attribuisce. Quando ho parlato di “cambiare un’ingiustizia con le mani”, mi riferivo all’azione positiva per correggere le ingiustizie e sostenere gli oppressi ovunque, non certamente alla violenza fisica, che ripeto è da ripudiare. Il versetto coranico 5:32 afferma che uccidere una persona innocente è come uccidere tutta l’umanità, mentre salvare una vita è come salvare tutta l’umanità. E il Profeta, pace su di lui, disse: “Ogni volta che la violenza entra in una cosa la deturpa.”
Riguardo ai tanti versetti coranici citati, alcune volte a caso, nella sua lettera, altre volte citati in maniera imprecisa, per non dire falsa, come il versetto 17:104 della Sura al-Isra, lei lo cita così: “E in seguito abbiamo detto ai figli d’Israele: dimorate al sicuro nella Terra Promessa”, mentre nella traduzione del Corano in italiano risulta così: “Dicemmo poi ai Figli di Israele: «Abitate la terra!». Quando si compì l’ultima promessa, vi facemmo venire in massa eterogenea.” (Traduzione di Piccardo) oppure così “E dicemmo di poi ai figli di Israele: ‘Abitate questa terra; e quando si compirà la Promessa Futura vi ricondurremo tutti, a schiere.’” (Traduzione di Bausani).
Le confermo che nel Corano non c’è nessun riferimento alla terra promessa per gli ebrei come lei cerca di sostenere piegando il senso dei versetti del Corano. I versetti riconoscono certamente la storia degli Israeliti, ma non giustificano in nessun modo l’occupazione o l’ingiustizia contro altri popoli. La tradizione islamica sottolinea la necessità di giustizia e coesistenza pacifica tra tutti i popoli, escludendo ogni pretesa di superiorità di alcuni rispetto ad altri o la titolarità esclusiva di terre abitate da millenni da altre popolazioni.
In conclusione, ribadisco il mio impegno a lavorare per un mondo in cui tutti i popoli abbiano diritto alla dignità e all’autodeterminazione, a prescindere dalla loro fede, etnia, ceto sociale, genere, e così via. Un mondo in cui non sia tollerato che uno Stato, quello israeliano, riconosca l’autodeterminazione soltanto ad una parte della sua popolazione, quella ebraica, e non riconosca questo diritto basilare alle altre popolazioni che abitano su quella terra da millenni, ovvero gli arabi, cristiani e musulmani, i drusi, ecc.: “Israele è il luogo dove si realizza l’autodeterminazione degli ebrei e degli ebrei soltanto” [cfr. Legge fondamentale dello stato di Israele promulgata nel 2018].
Spero che queste parole chiariscano il mio pensiero e il mio intento. Sarò sempre disponibile al dialogo e alla collaborazione per costruire una società più libera, giusta e fraterna.