Saifuddine Maaroufi è l’imam della moschea al Ghroufran di Lecce, oltre alla laurea in medicina, realizzato un percorso tradizionale di studi islamici con i sapienti dell’università Islamica Zaytuna di Tunisi ed attualmente sta studiando sociologia. Maaroufi tiene regolarmente lezioni molto seguite in italiano sull’Islam suoi suoi canali social. In questi ultimi giorni è entrato nell’occhio del ciclone dei media italiani principalmente per due motivi: perché ha difeso l’attivista Brahim Baya ma anche perché da subito ha preso posizione contro il genocidio a Gaza ed è a favore dei diritti umani della popolazione palestinese vittima di questo genocidio. Lo abbiamo intervistato.
Come leggi questi attacchi congiunti contro di te, contro i musulmani che prendono posizione?
Innanzitutto ringrazio il quotidiano La Luce per l’opportunità di illuminare i nostri lettori su quella che è la situazione. In questo caso mi trovo come personaggio pubblico sotto i proiettori, non è una cosa che ho cercato ma era da aspettarselo dato il periodo: siamo sotto elezioni, nell’ultima settimana di campagna elettorale ed ormai non si parla più all’intelletto delle persone ma alle loro pance. Si desidera fomentare la paura nella gente con il solito nemico già rodato che fa evidentemente effetto in periodo elettorale: lo straniero o il musulmano e se sono insieme è un colpo doppio. Credo che in questi casi si sia voluto spaventare un certo tipo di elettorato per spingerlo a votare in una certa direzione. Ho preso le difese del fratello Brahim Baya pur non conoscendolo personalmente, ma conoscendo la persona attraverso le sue azioni ed attività in favore del dialogo interreligioso e dell’apertura della comunità musulmana di Torino. Brahim attraverso le sue azioni e parole ha dimostrato di essere una persona limpida, corretta, moderata e perciò ha diritto ad esprimere il suo pensiero e di rivolgersi alla comunità di credenti nel modo che reputa corretto. Cercare di demonizzarlo è una cosa orrenda e per questo meritava il mio sostegno. Si chiede alla giustizia di intervenire contro una persona che ha espresso il suo parere: non mi sembra un comportamento corretto e democratico. Una persona in un paese libero dovrebbe potersi esprimere liberamente (nei limiti del rispetto e delle leggi) e la giustizia non dovrebbe essere sotto il controllo della politica. Tra l’altro nella politica stessa ci sono delle cose sbagliate di cui si sta occupando la giustizia.
Una cosa in comune tra il tuo caso e quello di Brahim Baya è che avete affrontato un argomento intoccabile, un tabu della politica italiana: la critica ad Israele e la condanna del genocidio del popolo palestinese a Gaza. Come altri personaggi politici o accademici che hanno espresso le stesse posizioni siete entrati nel mirino dei media mainstream che hanno iniziato ad attaccare anche voi. Secondo te è solo una questione di politica e di elezioni oppure c’è anche la proibizione di criticare Israele che hanno influito nella scelta dei media di prendervi come bersagli dei loro attacchi?
Nell’ambito dell’attività del dialogo interreligioso nel territorio salentino e pugliese, mi confronto spesso con membri e rappresentanti della comunità ebraica, professori, avvocati con i quali ho sempre avuto un ottimo rapporto e continuo ad averlo perché faccio differenza in modo chiara e netta tra la religione, la fede di persone che credono in un Dio unico e che vivono la loro religione come lo reputano corretto e la politica di un governo specifico che commette atti di guerra e di genocidio (come definiti dal TPI e da altri esperti).
C’è una differenza assoluta tra condannare qualcosa di sbagliato come uccidere innocenti civili procurando sofferenze immani ed invece stigmatizzare una religione verso la quale nutriamo profondo rispetto. Il dialogo con gli ebrei è continuato anche in questo periodo dopo lo scoppio della guerra, abbiamo partecipato insieme ad eventi e non c’è stato nessun diverbio né conflitto perché le persone che si conoscono sanno che la condanna dei crimini commessi da un governo non è una dimostrazione di odio verso gli ebrei o una forma di antisemitismo.
Antisemitismo che ormai è diventata un’accusa usata ed abusata contro chi critica questa situazione orrenda. Purtroppo i nostri concittadini italiani non sono consapevoli di quello che sta succedendo in Palestina perché i media tendono a nascondere la verità, quindi chi ha la possibilità di informarsi ha il dovere di farlo ed il mio ruolo è anche quello di informare la gente e denunciare il male che vedo. Probabilmente questo non piace a tutti e può provocare delle conseguenze. Per esempio quando Ghali ha detto stop al genocidio questo ha provocato una bufera politica con attacchi da parte di politici, e questo solo per aver chiesto di non uccidere, perché oggi si demonizza anche la pace.
Hai fatto bene a sottolineare la differenziazione tra politica e religione, ma è un dato di fatto che in Italia oggi i rappresentanti di determinate comunità religiose siano diventati i portavoce di un governo straniero. Tu e Ibrahim siete dei personaggi che si sono spesi molto per il dialogo interreligioso, per l’apertura della comunità verso istituzioni e società. Ricordo che hai anche partecipato ad un evento a favore delle donne iraniane che molti musulmani hanno letto come un attacco alla repubblica islamica dell’Iran sebbene tu in quell’incontro ti sia limitato a difendere e chiarire la posizione della donna nell’Islam. Hai partecipato ai corsi per Imam organizzati dall’Università di Padova, vieni regolarmente invitato da scuole ed istituzioni politiche e religiose…
Voi due siete stati per molti anni considerati “i musulmani buoni” con cui si dialoga, invitati da tutti ma poi all’improvviso siete stati trasformati in dei demoni, degli integralisti religiosi che non possono neanche tornare al loro paese, come ti spieghi questo improvviso cambiamento?
Questo è un sintomo di memoria corta e non vorrei parlare di disonestà intellettuale. Ho dimostrato nel mio lungo percorso di vita, di attività sociale, comunitaria di essere una persona moderata, di promuovere la convivenza pacifica, di cercare il bene di tutti noi cittadini di questo paese e di questo mondo, ma poi, quando ho espresso un’opinione non condivisa dai media dominanti, c’è stata una reazione violenta, una demonizzazione della persona. Se non mi sbaglio siamo in una democrazia e tutti questi intellettuali, giornalisti passano tutto il tempo a condannare la mancanza di democrazia negli altri paesi ma quando nel loro paese si esprime un parere diverso reagiscono con intolleranza, rifiuto, attaccando violentemente chi non la pensa come loro. Dove va a finire la democrazia qui?
Nessuno di noi sta promuovendo attacchi contro ebrei o la comunità ebraica qui in Italia, si sta parlando solo di una guerra dove migliaia di innocenti donne e bambini vengono uccisi quotidianamente e si sta chiedendo che questo massacro si fermi, come fanno anche molto enti internazionali. Come mai tutto cambia all’improvviso? Perché probabilmente ci sono delle lobby che spingono ed impongono la condanna di tutte le opinioni contrarie alla guerra e favorevoli alla pace. Questo dispiace perché la nostra costituzione è contraria alla guerra e chi promuove la costituzione dovrebbe essere sostenuto non attaccato. Sono stato attaccato anche perché nei miei discorsi ho incoraggiato i miei concittadini ad esercitare un loro diritto costituzionale e dovere civico andando a votare, interessandosi ed impegnandosi alla vita politica del paese in cui vivono. Questo significa che si cerca di demonizzare anche le cose positive. Un Imam dovrebbe essere un educatore, una guida della sua comunità ma probabilmente si vuole perpetrare quell’immagine del musulmano o dell’immigrato che cammina con la testa bassa, sfiorando i muri, disinteressato alla vita del paese in cui vive.
Dopo quello che è successo a Chef Rubio, personaggio famoso che ha preso posizione contro la guerra in Palestina, prima minacciato da un leader di una comunità religiosa e poi picchiato a sangue e quasi ucciso da una banda di criminali di cui si sospetta l’appartenenza ma di cui non si sa nulla, dopo che lo stesso stava per accadere ad un altro blogger italo-palestinese, tu hai paura per la tua incolumità e la tua famiglia?
Da noi a Lecce, in Puglia non abbiamo mai avuto episodi del genere. Sono delle azioni che considero mafiose, la mafia agisce in questo modo. Fortunatamente da noi non abbiamo mai avuto tensioni e minacce fisiche, io personalmente non ho mai ricevuto minacce del genere e vorrei togliere dalla mia mente questo pensiero. La mia famiglia e la mia vita privata li ho sempre tenuti separati dalla mia vita pubblica, per rispettare la privacy e per non coinvolgerli in qualcosa che potrebbe un giorno diventare pericoloso. Ho più paura sinceramente per la mia vita professionale, per i miei rapporti sociali e con le istituzioni.
Quando un giornale come il Secolo d’Italia mi descrive come un personaggio pericoloso, un estremista islamico che non può tornare nel suo paese di origine, mi danneggia dal punto di vista sociale, familiare e professionale perché queste false accuse potrebbero essere prese per vere dai miei interlocutori che ricordo sono le scuole, i giovani, la gente comune, le istituzioni e le organizzazioni locali e nazionali.
Questo mi preoccupa di più della mia incolumità fisica ed infatti ho detto e scritto che mi riservo di agire per vie legali contro queste calunnie anche se un po’ di preoccupazione generale questo clima persecutorio la desta.
Come si sono comportate nei tuoi confronti le organizzazioni islamiche in Italia, i personaggi pubblici e che rivestono un ruolo? Ti hanno difeso pubblicamente? Ti hanno dato solidarietà personalmente?
Sono stato molto contento di aver ricevuto tantissimi messaggi di solidarietà e tante chiamate. Il fratello Davide Piccardo, lo stesso Brahim Baya come anche Yassine Lafram dell’Ucoii o Hamza Piccardo mi hanno detto che mi sostengono e mi dimostrano il loro affetto, la loro vicinanza e questo mi è sufficiente perché non sto cercando di ingigantire ed aggravare la situazione. Sentirsi sostenuti è molto positivo ed abbiamo anche la certezza che la comunità islamica italiana non è così divisa come la si vuole dipingere: nei momenti importanti ci siamo gli uni per gli altri.
Ma questa solidarietà è avvenuta a livello personale o di organizzazioni islamiche?
Il caso è talmente fresco, solo pochi giorni e quindi non ci sono state azioni a livello di organizzazioni ma non ne vedo la necessità perché come ho detto tutti questi attacchi sono funzionali ad un progetto di scontro per avere più voti quindi dare peso e reagire in modo eccessivo a questi attacchi può essere controproducente.
Riguardo a questa vicenda ancora in corso, che consiglio hai da dare ai nostri fratelli in Italia che rivestono vari ruoli, dal normale praticante all’Imam?
Questa piccola esperienza ci fa capire che in questa società non sono abituati a vedere il musulmano che esprime pensieri ed opinioni in modo corretto, non sono abituati a vedere il musulmano che partecipa alla vita sociale e politica di questo paese. La partecipazione dovrebbe essere la norma, non l’eccezione. Se questo fosse la norma non ci sarebbero delle reazioni cosi violente quando un musulmano esprime opinioni ed idee, quando un Imam invita i fedeli ad usufruire del diritto di voto costituzionalmente garantito. Quindi dovremmo essere più coinvolti nella vita sociale e politica del paese dove viviamo, in modo corretto, educato, civile, perché sono questi i valori della nostra fede.