Il termine “Nakba” in riferimento alla pulizia etnica della Palestina del 1948, che spesso viene tradotto come “disastro” o “catastrofe”, implica un senso di impersonalità, simile a una calamità naturale, un evento incontrollabile della natura. Tuttavia, gli eventi che descrive—ovvero lo spostamento forzato di circa 750.000 palestinesi da parte dei sionisti—non erano affatto impersonali o incontrollabili. Il lavoro dello storico Ilan Pappe, in particolare la sua critica del termine “Nakba” esposta anche nella recente intervista con Middle East Eye, evidenzia la distinzione critica tra una tragedia accidentale e un atto calcolato di pulizia etnica. La sua analisi getta luce su una narrazione storica che richiede una rivalutazione sotto l’ottica dell’intenzionalità e della colpevolezza, piuttosto che come una sfortuna inevitabile.
La prospettiva di Pappe è fondamentale per comprendere gli eventi del 1948. Egli sostiene che la parola “Nakba” sia fuorviante perché nasconde la pianificazione sistematica e l’esecuzione da parte dei movimenti coloniali sionisti per rimuovere i palestinesi dalle loro case e dalle loro terre. Non si trattava di un evento disorganizzato, ma di una strategia mirata a stabilire uno Stato omogeneo. L’uso del termine “Nakba” contribuirebbe quindi a depoliticizzare un atto profondamente politico, aggressivo e di rimozione e cancellazione.
La distinzione non è solo semantica, ma profondamente storica e politica. Riconoscere la Nakba come disastro naturalizza la sofferenza dei palestinesi, assolvendo in qualche modo gli architetti della pulizia etnica dalle loro responsabilità morali e legali. È imperativo riconoscere che dietro questa “catastrofe” c’erano persone con nomi e posizioni di potere, con decisioni prese in stanze piene di mappe e grafici demografici. Questi individui hanno orchestrato una campagna di terrore e spostamento che era tanto intenzionale quanto brutale.
Inoltre, l’analisi di Pappe si basa su una ricchezza di documenti desecretati, resoconti di prima mano, e il suo stesso rigoroso impegno con il materiale storico. Le sue conclusioni sono tratte da un esame critico degli archivi e degli ordini militari del regime israeliano, che dettagliano come i villaggi fossero presi di mira, la distruzione sistematica delle case, gli stermini come quello di Deir Yassin, e la pianificazione strategica coinvolta nello spostare centinaia di migliaia di persone. Le prove sono schiaccianti e dipingono un quadro di violenza premeditata e strategica mirata a raggiungere uno specifico risultato politico: la creazione di un nuovo Stato sulle rovine delle case di un altro popolo.
Il lavoro di Pappe, specialmente come presentato nel suo libro “La Pulizia Etnica della Palestina”, è un’accusa devastante della narrativa ufficiale israeliana del 1948 come una guerra eroica e difensiva contro gli ”aggressori arabi”. Sfida la comunità globale a riconsiderare le storie che vengono raccontate su Nazione e liberazione, storie che spesso vengono raccontate a spese della distruzione di un’altra nazione. La narrazione di Pappe è un invito a riconoscere il pieno peso delle ingiustizie storiche e i modi in cui queste plasmano i conflitti attuali.
L’importanza di rinominare la “Nakba” risiede non solo nell’accuratezza storica, ma nella giustizia e nella riconciliazione. Riconoscere l’evento come un atto di pulizia etnica piuttosto che come una vaga catastrofe potrebbe aprire la strada ad un ulteriore riconoscimento della sofferenza palestinese e alla validazione delle loro richieste di risarcimento e riconoscimento. Questo cambiamento terminologico non riguarda solo la correzione dei registri storici; riguarda il ripristino dell’umanità a un popolo la cui sofferenza è stata troppo spesso ridotta ad una nota a piè di pagina nella storia della formazione dell’entita’ territoriale di Israele.