L’uomo, scriveva Jung, non impara niente dalla storia: oggi più che mai questa constatazione è evidente. Se si pensava che dopo la Seconda guerra mondiale non ci sarebbero più state altre guerre atroci né genocidi, questa illusione è stata subito smentita dalla Guerra fredda e da un massacro che ha gettato nuovi spettri sull’Europa, che credeva di aver fatto pace con il suo passato.
A quasi 30 anni di distanza dal genocidio di Srebrenica, in Bosnia ed Erzegovina, si è tornati a parlare di genocidio a seguito dei massacri perpetuati da Israele nei confronti della popolazione palestinese della Striscia di Gaza e della Cisgiordania.
Per questo motivo, è importante utilizzare la terminologia corretta per non disumanizzare né dimenticare le vittime di ieri e quelle di oggi: genocidio e pulizia etnica.
Da oggi per gli anni a venire, l’11 luglio è la “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio del 1995 a Srebrenica”, come stabilito dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 23 maggio 2024, passata con 84 voti a favore, 19 contrari e 68 Stati astenuti.
Numeri che si ripetono nello scacchiere internazionale, che a seconda dello stato oggetto della risoluzione, si decide da che parte della storia stare. E lo si è visto negli ultimi mesi quando si è trattato di votare una tregua umanitaria nella Striscia di Gaza, spesso osteggiata dalle grandi potenze occidentali, in particolare dagli USA che a lungo hanno posto il veto alle risoluzioni in favore della popolazione palestinese nel Consiglio di Sicurezza Onu.
Il massacro di Srebrenica è passato alla storia come l’ultimo genocidio del XX secolo, perpetuato nei confronti dei bosgnacchi (i bosniaci di fede musulmana) ad opera dei serbi bosniaci durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, all’interno della più ampia cornice di conflitti che hanno incendiato la Ex-Jugoslavia negli anni Novanta.
Tale genocidio si colloca storicamente tra il 6 e il 25 luglio 1995: dopo alcuni giorni di assedio della città di Srebrenica, dichiarata zona protetta dalle Nazioni Unite per ospitare migliaia di rifugiati dalle città limitrofe, e presidiata da un contingente di caschi blu olandesi, l’11 luglio l’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, sotto il comando del generale Ratko Mladić, riuscì ad entrare nella città e a mettere in atto il piano di pulizia etnica nei confronti della popolazione musulmana.
Almeno 8.372 uomini e giovani di Srebrenica furono rastrellati dai soldati e condotti a loro insaputa verso il luogo designato per la fucilazione, poi sepolti in fosse comuni, mentre 20 mila persone (donne, bambini e anziani), furono deportate forzatamente verso altre città, distruggendo per sempre una comunità intera che ancora oggi fatica a dimenticare il trauma vissuto.
Quando si entra nella città di Srebrenica, nella parte orientale della Bosnia ed Erzegovina, l’atmosfera è spettrale, si percepisce sin da subito che lì è avvenuta una tragedia indimenticabile, di cui si fatica a parlare, un dramma che tuttavia non è riconosciuto da tutte le realtà locali serbe, che negano la definizione di “genocidio”.
Molte delle donne costrette a lasciare la città, dopo la guerra sono tornate a reclamare i corpi dei loro cari uccisi nel luglio del ’95: negli anni, più di 6 mila salme sono state trovate e identificate nelle fosse comuni grazie ad oggetti personali e all’uso del DNA, per la prima volta utilizzato come strumento per identificare le vittime di guerra. Ad oggi, però, migliaia di uomini uccisi e scomparsi restano dispersi.
Fare un parallelismo tra i genocidi del passato e quelli contemporanei dovrebbe aiutarci a capire da che parte della storia vorremmo stare: dalla parte di chi difende ogni popolo oppresso da una potenza militare, o di chi nega che vi sia in atto il massacro di una popolazione intera, discriminata per l’etnia e la religione, e rinnega ogni responsabilità dell’Occidente?
Il massacro di Srebrenica è potuto accadere perché la comunità internazionale non ha fatto pressione sulla Serbia, all’epoca sostenitrice dell’esercito serbo-bosniaco contro gli indipendentisti. Allo stesso modo, oggi la passività allarmante della maggior parte delle potenze mondiali permette che venga perpetuato il massacro nella Striscia di Gaza, che dal 7 ottobre ha causato oltre 38 mila vittime secondo le autorità palestinesi, mentre la rivista scientifica The Lancet recentemente stima che le vittime dirette del conflitto in Medioriente superano le 50 mila, e quelle indirette oltre 186 mila.
A Srebrenica vale la pena visitare il Memoriale e il cimitero per le vittime del genocidio del 1995, perché davanti a una tale desolazione spettrale non si può che imparare dalla storia per chiedere “Mai più un tale massacro”.