Pochi giorni fa sulla rivista The Psycologist organo di informazione della British Psychological Society è stato pubblicato una lavoro del dottor Junaid Shabir dal titolo MURAQABAH: come ho adattato il lavoro di mindfulness per i pazienti musulmani.
Con Mindfulness si intendono una serie di tecniche psicologiche sviluppate per stimolare l’attenzione e la consapevolezza nel momento presente allo scopo di attenuare e prevenire numerosi disturbi psichici, in Italia queste tecniche vengono indicate spesso come pratiche meditative. Muraqabah deriva dalla radice triconsonantica della lingua araba رق ب che significa guardare, contemplare. La muraqaba è uno stile di meditazione noto soprattutto all’interno del mondo del sufismo, una forma di introspezione e un modo per estraniarsi dal mondo ed andare oltre i limiti del pensiero.
L’autore esprime il disagio vissuto, come musulmano, nella pratica della mindfulness, scrive come trova in essa “qualcosa di alieno se visto da una prospettiva religiosa”. I musulmani sanno infatti che una corretta pratica religiosa contiene ogni possibile cura psicologica per cui trovano sempre difficile introdurre, nella propria esistenza, pratiche che coinvolgano la vita interiore e che siano, al contempo, estranee agli insegnamenti islamici. L’autore descrive quindi due interessanti casi dove l’introduzione della Muraqabah nelle tecniche psicologiche di mindfulness sia stata efficace e aggiunge: “sento che fornire la Muraqabah come tecnica alternativa di mindfulness ha aumentato il generale coinvolgimento dei pazienti musulmani negli interventi psicologici, facendoli sentire più a loro agio nell’esprimere la loro religione nel contesto della cura”. Lo stesso continua sottolineando come questo tipo di intervento costituisca un modo per adattare i trattamenti psicologici al contesto culturale dei pazienti musulmani.
La felice intuizione del dottor Shabir trova un suo antesignano nello Shaikh Al-Tariqa Hazrat Azad Rasul le cui parole segnano il giusto corollario e definiscono i limiti di questa esperienza. Lo Shaikh sollecitato sul tema del rapporto tra psicologia e Muraqabah sottolinea come questa non possa essere vista semplicemente come una forma di psicologia “religiosa”. Lo shaikh dice: “La psicoterapia profana punta a ristabilire l’armonia interiore e rendere gli individui capaci di agire serenamente nella famiglia e nella società, con libertà. La pratica religiosa non solo reintegra le componenti psichiche di un individuo, ma collega la persona con il suo creatore.”
Parlando delle tecniche psicologiche di mindfulness, “credo che tali tecniche potrebbero aiutare qualche persona, ma la loro utilità per i cercatori spirituali è limitata. Certamente, i tipi di seminari e di gruppi che menzionate possono avere effetti costruttivi. Il mio timore è che gli effetti possano essere di breve durata, perché la formazione che danno solitamente non modifica i condizionamenti culturali e psicologici insidiati in profondità nei loro partecipanti. Inoltre, piuttosto che vedere questi programmi come metodi di trasformazione, potremmo meglio descriverli come mezzi per una riorganizzazione dell’io, focalizzati frequentemente sul superamento di disturbi della personalità, difficoltà nelle relazioni e problemi di autostima. Essendo basati su una certa cultura (nella maggio parte dei casi), non vanno oltre le limitazioni loro inerenti nel dare un indirizzo al potenziale spirituale dell’essere umano o ai problemi globali con i quali ci confrontiamo oggi.”
L’impressione che si ricava è che ancora una volta, ricercando nella tradizione islamica, scopriamo strumenti utili per affrontare le sfide del mondo moderno ma al contempo anche come la comunità musulmana odierna sia incapace di attingervi a piene mani ma sempre in modo troppo limitato. Siamo forse come colui che vive di stenti sopra un tesoro?