Le Olimpiadi offrono molto più di competizioni atletiche e questo è risaputo. Non è un eccezione il match di pugilato nell’edizione di quest’anno a Parigi tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khalif, rappresentando un complesso intreccio di filosofia, storia e identità.
Imane Khalif, definita erroneamente da molti media come uomo e trans, è al centro di un dibattito acceso. La sua identità è diventata un simbolo di contestazione e revisione delle percezioni tradizionali dei musulmani. Questa rivisitazione richiama alla mente la storica “mostrificazione” del musulmano, una narrativa antica che ha dipinto il musulmano come l’altro minaccioso, l’incomprensibile e di cui ha parlato di recente anche la teologa Francesca Bocca in un recente video pubblicato sui social.
Dal punto di vista storico, i musulmani hanno attraversato secoli di stereotipi e pregiudizi, dalla minaccia saracena del Medioevo fino ai migranti moderni. Khalif, con la sua condizione naturale di testosterone elevato, sfida queste narrazioni. La sua partecipazione mette in crisi sia gli slogan ultraprogressisti sull’inclusione sia i discorsi conservatori sulla purezza biologica e lo sviluppo naturale senza modifiche artificiali.
Questa complessità fa emergere una verità scomoda: il musulmano saraceno, oggi come ieri, continua a essere sfigurato e reinterpretato secondo le paure e i pregiudizi del momento. La questione di Khalif dimostra come le vecchie narrative di “mostrificazione” si adattino ai nuovi contesti, trovando sempre modi per marginalizzare e distorcere l’identità dell’altro. La sua identità viene manipolata e strumentalizzata da entrambi gli schieramenti: salvo rare eccezioni, da una parte, i conservatori la etichettano forzatamente come trans e uomo per alimentare una narrativa di alterità e minaccia; dall’altra, i progressisti, optano per un omertoso silenzio oppure issano la bandiera colonizzatrice della pseudo-inclusività, per appiattire l’umanità di Khelif e obbligarla ad un ruolo di paladina trans che non le appartiene.
Da un lato troviamo il razzismo nascosto dietro l’apparente difesa dei valori naturali e biologici che vengono qui negati ad hoc; dall’altro, troviamo un progressismo secolare che, nel tentativo di essere inclusivo, propone nuove forme di marginalizzazione. Entrambi gli approcci falliscono nel riconoscere Khalif per ciò che è realmente: una donna.