La recente scoperta del corpo di un giovane palestinese, trovato legato mani e piedi in un parco di Anversa, ha aperto una ferita profonda e sollevato interrogativi che vanno ben oltre i confini della città belga. Nonostante l’autopsia debba ancora chiarire i dettagli sulle cause della morte, il contesto e le modalità del ritrovamento suggeriscono prima facie elementi inquietanti. Il fatto che il giovane è stato ritrovato legato, i segni di una possibile aggressione e l’assenza di testimoni in un’area così sorvegliata fanno pensare che ci sia di più dietro questo tragico episodio.
Anversa ospita una delle più grandi comunità ebraiche d’Europa, e questo delitto si inserisce in un quadro globale caratterizzato da crescenti tensioni e violenze legate al conflitto israelo-palestinese. Mentre Israele continua il massacro contro Gaza, descritto da molti analisti come un’azione di pulizia etnica e genocida, il rischio che l’odio verso il popolo palestinese possa manifestarsi anche al di fuori del Medio Oriente è reale. Se questo crimine si confermerà essere un atto di violenza mirata, esso rifletterà un clima di impunità e fanatismo crescente, alimentato dalla retorica sionista più estrema.
Le autorità belghe, finora, mantengono aperte tutte le ipotesi, compresa quella di un suicidio. Ma l’idea che un uomo possa togliersi la vita legato mani e piedi in uno dei parchi più sorvegliati del paese appare difficile da sostenere. L’assenza di testimoni e l’incertezza sulle dinamiche, in una zona così attentamente monitorata, sollevano legittime preoccupazioni su come le indagini stiano procedendo anche alla luce di possibili ripercussioni sulla comunità ebraica e questo in un contesto in cui i palestinesi vengono sempre più spesso percepiti come bersagli legittimi da parte di alcune frange estremiste, come anche dimostrato di recente nell’inchiesta del nostro quotidiano sul gruppo social italiano “Israele senza filtri” che di recente ha teorizzato assassini contro attivisti propal.
In Europa, episodi di violenza politica non sono certo nuovi, e atti come questo sembrano inserirsi in un quadro più ampio, in cui il sionismo radicale non solo legittima la narrazione della violenza contro i palestinesi, ma la esporta anche fuori dai confini israeliani. La crescente ostilità verso la causa palestinese, favorita da decenni di politiche israeliane di oppressione e da una propaganda sempre più aggressiva, potrebbe aver trovato in questo modo eco anche in Belgio. Il silenzio che circonda il caso rischia di minare ulteriormente la fiducia nella giustizia.
Questo crimine potrebbe essere l’ennesima manifestazione di una violenza che, pur lontana geograficamente dai teatri di guerra, è alimentata da un conflitto che ormai permea la coscienza collettiva. Se le autorità non riusciranno a fare piena luce su quanto accaduto, il rischio è quello di perpetuare un clima di sospetto e impunità, in cui atti di violenza contro i palestinesi rimangono impuniti, e il loro valore come esseri umani continua a essere sminuito.
Il giovane sarà sepolto domani, ma la sua morte rischia di non essere un caso isolato se le indagini non proseguiranno con la massima trasparenza prendendo seriamente in considerazione la possibilità di un atto mosso dall’odio.