Oltre a Gaza anche la Cisgiordania: Israele inizia aggressione su larga scala provocando morti e feriti

Negli ultimi giorni, la Cisgiordania è stata teatro di un’aggressione militare israeliana di larga portata. Le aggressioni, che hanno colpito particolarmente le aree di Jenin, Tulkarem e il campo profughi di Far’a, hanno provocato la morte di almeno 18 palestinesi, oltre a numerosi feriti. Si tratta di uno degli attacchi più estesi degli ultimi vent’anni nei territori occupati, ufficialmente giustificati come una risposta al “terrorismo”, sebbene molti osservatori lo interpretino come parte di una strategia di controllo sempre più aggressiva.

Le incursioni militari israeliane nella Cisgiordania occupata si sono intensificate a partire dall’ottobre 2024, dopo l’Operazione Al-Aqsa Flood lanciata da Hamas. Se da una parte l’operazione del movimento di resistenza Hamas ha inflitto pesanti perdite a Israele, la risposta israeliana ha colpito duramente le aree palestinesi, con un bilancio umano devastante: oltre 40.000 morti a Gaza (numero che eleva a circa 200.000 contando i morti indiretti stimati da The Lancet) e centinaia di vittime in Cisgiordania. 

La realtà sul terreno è caratterizzata da una crescente militarizzazione. I giovani palestinesi, ormai disillusi dalla mancanza di risultati concreti da parte dell’Autorità Palestinese, stanno emergendo come nuovi protagonisti della resistenza, organizzandosi autonomamente anche in Cisgiordania. Questi nuovi gruppi non hanno necessariamente legami esterni significativi, nonostante le frequenti accuse di Israele su presunte influenze iraniane, che gli analisti giudicano marginali.

Il governo del regime israeliano, dominato da forze politiche di estrema destra, sta consolidando il suo controllo sulla Cisgiordania. Esponenti di spicco come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich hanno apertamente sostenuto l’annessione dei territori e lo spostamento forzato della popolazione palestinese. Le operazioni militari in corso sembrano riflettere questa visione politica, che mira a rafforzare l’occupazione israeliana e a ridurre la capacità di resistenza palestinese.

Nella gestione del conflitto, si nota una continuità tra le tattiche adottate in Cisgiordania e quelle genocide utilizzate a Gaza, con attacchi che spesso colpiscono infrastrutture civili e ospedali. Diverse organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, hanno espresso preoccupazione per l’uso della forza eccessiva e per le limitazioni imposte ai servizi di emergenza nei territori occupati. Nonostante le condanne internazionali, le operazioni israeliane proseguono senza ostacoli significativi.

In parallelo, le tensioni lungo il confine con il Libano, dove Israele e Hezbollah si scambiano regolarmente attacchi, sembrano essersi temporaneamente attenuate. Tuttavia, l’attenzione si è spostata sulla Cisgiordania, dove le operazioni militari israeliane sono sempre più frequenti e distruttive.

Le dinamiche interne alla politica israeliana complicano ulteriormente la situazione. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, pur sotto pressione per via delle proteste interne e delle critiche riguardanti la gestione dei prigionieri israeliani nelle mani di Hamas, continua a mantenere il potere grazie al sostegno della destra estrema. Questo appoggio ha portato a un’intensificazione delle politiche repressive nei confronti dei palestinesi, in linea con le aspirazioni annessioniste espresse dal regime sionista e che oggi sembra tradursi nell’inizio di un nuovo sanguinoso capitolo con l’inizio delle aggressioni in Cisgiordania.

Crediti immagine copertina: Jaafar Ashtiyeh/AFP