Il popolo palestinese affronta da circa un secolo, se sommiamo la fase del colonialismo inglese, un’occupazione brutale, mirata a estrometterlo dalla sua terra. In questo articolo esploro il diritto alla resistenza, sancito a livello internazionale ma spesso negato ai palestinesi. La loro lotta per la liberazione è spesso etichettata come terrorismo dal colonizzatore, dai suoi complici, e persino da chi dovrebbe difendere i loro diritti.
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli è uno dei pilastri fondamentali del diritto internazionale, sancito nella Carta delle Nazioni Unite. Questo principio afferma che ogni popolo ha il diritto di determinare autonomamente il proprio status politico, economico e culturale, senza interferenze esterne. Secondo l’Articolo 1 della Carta ONU, l’obiettivo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite è promuovere “relazioni amichevoli tra le nazioni basate sul rispetto del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli”. Questo principio si è rivelato centrale nella decolonizzazione del XX secolo e continua a essere rilevante per i popoli oppressi che cercano di liberarsi da occupazioni o regimi autoritari.
Resistenza pacifica o armata: Un dilemma storico
Nel corso della storia, molti movimenti di liberazione hanno cercato di ottenere l’indipendenza e l’autodeterminazione attraverso mezzi pacifici. Il caso emblematico di questo approccio è quello dell’India sotto la guida di Mahatma Gandhi, dove la resistenza non armata ha portato alla fine del dominio coloniale britannico. Tuttavia, sebbene la resistenza pacifica abbia ottenuto successi in alcuni contesti, in molti altri casi la lotta armata è stata vista come l’unica via per ottenere la libertà.
Movimenti come quelli in Italia durante la Resistenza partigiana contro il fascismo, in Algeria contro il colonialismo francese, in Vietnam contro l’occupazione straniera francese poi americana e in Sudafrica contro l’apartheid, dimostrano come la resistenza armata sia stata spesso necessaria per liberare il proprio popolo da occupazioni oppressive.
Nelson Mandela, leader della lotta anti-apartheid in Sudafrica, disse: è il colonizzatore a stabilire le armi con cui il colonizzato lo può combattere.
Questo concetto suggerisce che, quando i mezzi pacifici vengono repressi o ignorati, la resistenza armata diventa una legittima risposta alle condizioni imposte dall’oppressore.
La comunità internazionale, attraverso diverse risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha riconosciuto in alcuni contesti la legittimità della lotta armata per l’autodeterminazione. Un esempio cruciale è la Risoluzione 37/43, adottata il 3 dicembre 1982, la quale afferma: “Riconosce la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dall’occupazione coloniale e straniera e dai regimi razzisti con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata“. Questa risoluzione conferma che, in contesti di occupazione e oppressione, i popoli hanno il diritto di utilizzare ogni mezzo a loro disposizione, inclusa la resistenza armata, per raggiungere la libertà e l’indipendenza.
Il colonialismo sionista e la questione palestinese
Un esempio contemporaneo di una lotta per l’autodeterminazione è la questione palestinese. Il colonialismo sionista è un progetto di insediamento volto a strappare la terra ai palestinesi per sostituirli con coloni, come affermano tutti i suoi documenti fondativi. A seguito della creazione ex-novo dello stato sionista nel 1948, circa 700 mila palestinesi sono stati espulsi dalle loro terre, una realtà che persiste ancora oggi. Il numero di rifugiati palestinesi, sia all’interno che all’esterno della Palestina storica, è enorme, e il loro diritto al ritorno è uno dei punti centrali della loro lotta per l’autodeterminazione.
Nel corso degli anni, i tentativi di resistenza pacifica da parte dei palestinesi sono stati brutalmente repressi. Gli attacchi ai villaggi pacifici in Cisgiordania da parte dei militari e delle milizie dei coloni o la repressione violenta delle cosiddette marce del ritorno a Gaza nel 2018 sono esempi di come la resistenza non armata sia stata spesso soffocata con la forza. Di fronte a queste circostanze, molti palestinesi vedono la resistenza armata come una legittima risposta all’occupazione secolare israeliana.
La resistenza armata palestinese e il ruolo di Hamas
La resistenza armata è quindi un diritto del popolo palestinese, che la esercita nelle forme che ritiene opportune, a partire dalle condizioni che l’occupante stabilisce. Quindi se per il popolo palestinese Hamas, acronimo arabo di Movimento della Resistenza Islamica, è un movimento di resistenza, noi non possiamo che prenderne atto, poiché spetta ai popoli oppressi decidere i mezzi attraverso i quali perseguire la loro libertà.
Tuttavia, qualsiasi resistenza che si dichiara islamica deve rispettare i valori e i principi etici dell’Islam. L’Islam impone rigide regole etiche anche in tempo di guerra, vietando la violenza indiscriminata e proteggendo i non combattenti. Il Corano e la Sunna del Profeta Muhammad (pbsl) forniscono chiare direttive etiche per la condotta in guerra.
Nel Corano (Sura Al-Baqara, 2:190) si afferma: “Combattete sulla Via di Dio contro coloro che vi combattono, ma non trasgredite i limiti; Dio non ama i trasgressori”. Questo versetto stabilisce chiaramente che, anche durante il conflitto armato, i musulmani devono rispettare certi limiti e non possono superare i confini imposti dalla morale e dalla giustizia.
Allo stesso modo, il Profeta Muhammad (pbsl) ha sottolineato l’importanza di rispettare certi valori, dicendo ai suoi comandanti impegnati nel jihad militare in difesa della nascente comunità islamica: “Non tradite, non ingannate, non mutilate i morti e non uccidete i bambini, le donne e gli anziani. Non abbattete gli alberi da frutto, non distruggete edifici e non uccidete gli animali, tranne quelli che vi servono per nutrirvi” (Sunan Abu Dawud, 2614).
Questi principi indicano che la resistenza armata, se intrapresa, deve sempre essere condotta nel rispetto dell’etica islamica, che è ancor più “garantista” del diritto internazionale umanitario.
Il diritto all’autodeterminazione è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale, e in molti casi, la resistenza armata è stata considerata una risposta legittima alle oppressioni coloniali e alle occupazioni straniere. Tuttavia, anche la resistenza armata deve essere regolata da principi etici e giuridici che tutelino i diritti umani e proteggano i non combattenti. L’Islam, attraverso il Corano e gli Hadith, fornisce un quadro chiaro per l’etica della guerra, che dovrebbe sempre guidare coloro che intraprendono la resistenza armata.