Il prodromo
Il 25 luglio del 1943, con un colpo di Stato, Benito Mussolini, capo del fascismo e capo del governo italiano, dopo essere stato messo in minoranza sull’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, durante la riunione del Gran Consiglio del Fascismo, viene deposto e, in mattinata, convocato dal re, viene arrestato dai carabinieri-corpo militare tradizionalmente fedele alla monarchia- e messo su un’ambulanza. Poi, per sottrarlo al molto probabile tentativo dei tedeschi di liberarlo, viene nascosto e spostato in varie località; dapprima Ponza, poi la Maddalena, infine il Gran Sasso. Sarà poi liberato dai paracadutisti tedeschi con un’azione di commando da manuale a Campo Imperatore sul Gran Sasso il 12 settembre.
Il 25 luglio è il prodromo di quanto avverrà poco più di un mese dopo, l’otto settembre del 43.
Il governo italiano, presieduto dal generale Pietro Badoglio, uomo legato alla monarchia, ma che come tutta la classe dirigente dell’epoca, col re in testa, era fortemente compromesso col regime fascista, dichiara che la guerra continua a fianco dell’alleato germanico.
In realtà il governo italiano e la monarchia consci dell’inevitabile sconfitta, stanno cercando disperatamente una via d’uscita. E mentono. Mentono spudoratamente all’alleato tedesco e a tutti gli italiani.
È soprattutto il re, Vittorio Emanuele III che, avendo ben chiaro che la sconfitta militare dell’Italia comporterà inevitabilmente la fine della monarchia sabauda, non vedendo alternative, manovra perché si abbandonino i tedeschi, e con un salto della quaglia, unico forse in tutta la storia umana, ci si schieri con i vincitori che in quel momento hanno da poco conquistato la Sicilia e stanno risalendo la penisola bombardando pesantemente e senza pietà, con la loro strapotente forza aerea, le povere città italiane.
L’otto settembre, gli alleati anglo-americani annunciano via radio nella notte da Algeri l’avvenuta resa dell’Italia, obbligando così Badoglio, che avrebbe preferito attendere, a dare a sua volta l’annuncio ufficiale della fine delle ostilità.
L’accordo, firmato il 3 settembre a Cassibile nei pressi di Siracusa dal generale Castellano, prevedeva una resa senza condizioni dell’Italia e la fine di ogni collaborazione politico-militare con la Germania.
Il re con tutta la sua corte abbandona precipitosamente Roma, lasciando le forze armate italiane senza ordini e in balia di se stesse, per raggiungere Pescara da dove si imbarcherà sul cacciatorpediniere Baionetta e da lì raggiungerà Brindisi per consegnarsi agli alleati e mettersi sotto la loro protezione.
L’otto settembre, al di là del giudizio politico che si può dare su quell’avvenimento cruciale, e su eventuali simpatie di parte, è la data della morte della patria italiana.
I militari di tutte le armi, lasciati senza ordini si sbandano, abbandonano le caserme e le loro postazioni, fuggono come mosche impazzite cercando la via di casa, finendo quasi sempre in mano ai tedeschi che, pur minoritari rispetto agli italiani, perfettamente organizzati e preparati dal 25 luglio alla probabile eventualità di una resa italiana, hanno buon gioco a catturare in massa i soldati del nostro esercito allo sbando. Tutto sommato rari gli episodi di resistenza italiana ai tedeschi.
I tedeschi inferociti da quello che considerano, non del tutto a torto, una pugnalata alle spalle, si lasciano andare alla ferocia e, nei giorni seguenti, a Cefalonia saranno migliaia i soldati italiani che, rei di aver resistito in armi alla Wermacht, verranno trucidati senza pietà.
In quel giorno l’Italia semplicemente cessa di esistere; tutto si disfa, smette di funzionare. Lo Stato italiano non esiste più; non esistono più le forze armate, non esiste più un’amministrazione, un sistema giudiziario. Solo due entità continueranno a essere presenti e a funzionare: la cellula di base della società, e cioè la famiglia, e la chiesa cattolica.
Sebbene l’otto settembre del 43 sia nel nostro paese una data sulla quale si preferisce sorvolare, difficilmente oggi i nostri media ricorderanno quel giorno fatidico, quegli avvenimenti segnarono profondamente la storia italiana, e la nostra stessa anima nazionale.
Il 13 ottobre dello stesso anno, il governo italiano del sud, con a capo Badoglio dichiara guerra alla Germania, e gli alleati, magnanimi, concederanno all’Italia lo status di cobelligerante.
Nel territorio italiano ancora in mano ai tedeschi, Benito Mussolini fonda la Repubblica Sociale, che resterà al fianco della Germania fino all’inevitabile catastrofe finale dell’aprile del 45.
In quell’anno e mezzo circa, che divide la resa senza condizioni italiana agli anglo-americani fino al crollo militare dei tedeschi e della Repubblica di Mussolini, avrà luogo nei territori non ancora in mano agli alleati vittoriosi una guerra civile feroce e spietata, che comporterà inaudite sofferenze per le popolazioni civili sottoposte a massicci bombardamenti aerei alleati e ad atroci episodi di uccisione di civili innocenti operati dalle forze armate germaniche. Tuttavia non mancheranno atrocità anche da parte antifascista, soprattutto dopo la resa delle forze fedeli a Mussolini nell’aprile del 45. Il nord Italia in quei giorni di fine aprile, fino praticamente a tutto il 45, sarà un autentico mattatoio.
L’Italia che esce da quella guerra rovinosa ed infausta saprà risollevarsi sul piano economico e civile con un’opera straordinaria di ricostruzione industriale e col boom economico degli anni sessanta del secolo scorso.
Da un punto di vista politico il nostro paese entrerà a far parte organica di quell’anglosfera dominante in occidente che ne determinerà sempre le scelte politiche di fondo, soprattutto relativamente alla politica estera.
Tuttavia la ferita di quell’ormai remoto giorno di settembre rimarrà impressa profondamente nell’anima nazionale e resterà sempre un vulnus irrisolto nonostante ogni tentativo di rimozione e ogni narrazione retorica e celebrativa di quel tragico periodo della storia italiana.