In che modo il genocidio israeliano a Gaza ha rivelato l’inganno liberale dell’Occidente


Editoriale di Christian Henderson pubblicato su Middle East Eye con traduzione a cura di Aisha Tiziana Bravi

A livello globale, il sostegno all’insediamento di coloni violenti è un anacronismo. I paesi occidentali che proteggono Israele in base ai loro valori universali sono ormai un’enclave in declino

Una questione che potrebbe confondere gli storici che in futuro esamineranno la congiuntura attuale e i motivi per cui le democrazie occidentali non abbiano fatto nulla per impedire a Israele di commettere un genocidio a Gaza.

Potrebbero trovare sconcertante la loro inazione, poiché il linguaggio dei diritti umani è stato un fondamento per gli Stati Uniti e i suoi alleati e una caratteristica essenziale dell’egemonia occidentale. È stato a lungo uno strumento di soft power e che ha giustificato spesso, e tuttora giustifica, l’uso della forza militare.

Perché, allora, hanno rischiato questa preziosa reputazione sostenendo i crimini di guerra di Israele a Gaza?

Gli Stati Uniti e i suoi alleati europei, come Germania, Regno Unito e Paesi Bassi, sono stati parte integrante dell’assalto di Israele. Hanno trasportato armi quotidianamente, hanno tentato di proteggere i leader israeliani dai procedimenti penali e non hanno fatto nulla per fermare gli attacchi criminali contro i civili palestinesi.

Sostanzialmente, la spiegazione di questa complicità riguarda due diversi argomenti. Uno sostiene che la lobby israeliana ha sfruttato il processo decisionale occidentale per garantire che Israele goda di impunità e sostegno. L’altro sostiene che gli Stati Uniti ritengono Israele una parte essenziale della propria strategia imperialista in una regione ricca di petrolio, ritenendo quindi la sua sopravvivenza essenziale per i propri interessi.

Ma c’è anche un’altra spiegazione che non riguarda tanto Israele ma che ha più a che fare con il modo in cui l’Occidente considera se stesso e il proprio ruolo nel mondo globale.

Egemonia liberale

Dalla fine della Guerra Fredda, il liberalismo ha dominato la politica estera occidentale. Questo è ciò che studiosi pragmatici di relazioni internazionali, tra cui John Mearsheimer e Stephen Walt, descrivono come “egemonia liberale”.

La politica estera degli Stati Uniti e dei suoi principali alleati occidentali presuppone che le democrazie liberali e i liberi mercati siano gli strumenti migliori per raggiungere stabilità e pace.

Questo assioma affonda le sue radici nel concetto di “Fine della storia” del politologo Francis Fukayama, col quale proclamava che la fine della Guerra Fredda e il trionfo dell’Occidente avrebbero portato all'”universalizzazione della democrazia liberale occidentale come forma finale di governo umano”.

Il linguaggio del liberalismo è stato una costante nella politica estera statunitense ed europea sin dal 1945 ed è stato adottato in tutto lo scenario politico.

L’impero statunitense ha agito da vigilante notturno dei valori liberali per trasformare altre società in democrazie e con mercati aperti. L’imperialismo ha utilizzato il linguaggio dei diritti per giustificare gli interventi militari: nel caso dell’Afghanistan, l’intervento si basava sui diritti delle donne, mentre per l’Iraq si basava sui diritti umani.

La convinzione che la politica statunitense e occidentale sia liberale è molto radicata e comporta due risultati: in primo luogo, gli stati e gli attori considerati avversari dell’Occidente vengono classificati come moralmente difettosi.

A causa dei precedenti in materia di diritti umani e dei comportamenti antidemocratici, questi paesi sono delegittimati all’interno del sistema internazionale. Non sono considerati attori razionali con legittimi interessi economici e di sicurezza, ma vengono liquidati come immorali e subdoli.

L'”Asse del Male”, il termine col quale l’amministrazione Bush ha definito Iran, Iraq e Corea del Nord, ne è un esempio, ma anche Russia e Cina ricevono lo stesso trattamento, diventando un dogma per le élite occidentali.

Invece di riconoscere il fatto che i paesi che sfidano l’Occidente potrebbero avere alcune considerazioni razionali che meriterebbero di essere discusse, vengono esclusi sulla base del fatto che non sono democrazie liberali.

Si tratta ormai di una consuetudine tra i professionisti della politica estera, il mondo accademico e i media, mentre le voci dissenzienti sono rare, anche a causa della grande industria formatasi attorno a questa convinzione e delle opportunità di carriera che ha presentato. Secondo Stephen Walt, “l’egemonia liberale, in breve, era una politica di piena occupazione per l’élite della politica estera”.

Il secondo risultato riguarda la genuina convinzione delle élite occidentali di avere una superiorità morale e l’uso del liberalismo per sorvegliare il mondo.

Questo sistema di credenze profondamente radicato è sopravvissuto nonostante i numerosi esempi che contraddicono la nozione di una politica estera morale dell’Occidente. L’invasione e l’occupazione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito sono un chiaro esempio in cui la diffusione della democrazia liberale è stata utilizzata per legittimare interessi personali in un modo estremamente dannoso per la vita degli iracheni.

Tuttavia, i liberali sono rimasti impassibili, per nulla scoraggiati.

La questione della Palestina

Nel 2021, dopo la sconfitta di Donald Trump da parte del presidente Joe Biden (probabilmente l’unico presidente recente degli Stati Uniti che non aderisce a questa visione liberale), la sua amministrazione ha sostenuto che la comunità internazionale era felice di vedere il ritorno degli Stati Uniti nel mondo.

Secondo il segretario di stato di Biden, Anthony Blinken, “L’America al suo massimo ha una capacità maggiore di qualsiasi altro paese sulla terra di mobilitare gli altri per il bene comune e per il bene del nostro popolo”.

In che modo questa egemonia liberale gestisce la questione della Palestina?

Questo caso pone un problema perché Israele, stretto alleato occidentale, non è una democrazia liberale, né è governato da democratici liberali.

È un insediamento di coloni che, sin dal suo inizio, ha avuto l’intento di sostituirsi alla popolazione indigena. È responsabile di una delle più lunghe occupazioni militari della storia moderna e utilizza un sistema di apartheid per segregare e controllare i palestinesi.

Per la politica estera occidentale, la risposta è la negazione di questa realtà definendo il proprio ruolo come un intervento in un conflitto tra due parti uguali, una delle quali è “l’unica democrazia del Medio Oriente”.

Utilizzando il marchio “conflitto israelo-palestinese”, che l’interminabile processo di pace sta tentando di risolvere, diventa possibile concepire il ruolo dell’Occidente come positivo, razionale e benefico piuttosto che complice del violento colonialismo dei sionisti.

Il processo di Oslo è praticamente morto. È diventato uno zombie ma rimane un comodo strumento di inganno. Fornisce all’Occidente la possibilità di abbellire il sistema di apartheid e occupazione imposto ai palestinesi.

Così facendo, Israele può essere presentato come una democrazia accettabile e un partner adatto per il progetto liberale. Invece di dover richiamare Israele a causa della sua occupazione militare, l’Occidente potrebbe quindi affidarsi alla chimera di un accordo che porterebbe concordia e stabilità.

“Delirio liberale”

Gaza ha rivelato la reale portata del delirio liberale e la sua incapacità di confrontarsi con la realtà.

La striscia di territorio sul Mediterraneo è stata a lungo considerata un campo di concentramento, in cui la maggior parte dei residenti sono rifugiati, fuggiti dalle precedenti campagne sioniste di pulizia etnica del 1967 e del 1948.

Dal 2007 il territorio è sotto assedio, il che significa che i suoi residenti non hanno avuto libertà di movimento, nessun accesso ai mercati e sono stati soggetti a continui attacchi militari israeliani.

Contrariamente a quanto affermato dagli israeliani, il loro ritiro da Gaza nel 2005 non ha posto fine all’occupazione e i palestinesi non hanno ottenuto la sovranità sui confini, sullo spazio aereo o nel mare della striscia. La popolazione di Gaza è stata sostanzialmente lasciata in rovina, confinata dietro il filo spinato e dimenticata.

I governi occidentali hanno ignorato questa realtà. Il governo di Hamas, eletto democraticamente nel 2006, è diventato un comodo capro espiatorio per la miseria che i palestinesi hanno dovuto affrontare a Gaza. Un’ipotesi comune era che la fonte dei problemi del territorio di Gaza non fosse l’occupazione militare e lo stato di incarcerazione, ma la cattiva amministrazione di Hamas.

Alcuni arrivano ad affermare che, se non fosse stato per la presenza di Hamas, il territorio sarebbe potuto diventare un florido centro di commercio simile a Dubai o Singapore, smentendo la teoria secondo cui, al contrario, l’economia determina la politica, una risposta tipicamente liberale.

La situazione a Gaza era insostenibile, ma l’obiezione palestinese, pacifica o meno, non ha avuto nessuna possibilità di essere ascoltata.

Nel marzo 2018 hanno avuto inizio le proteste note come la Grande Marcia del Ritorno che si sono tenute presso la barriera di confine tra Gaza e il resto della Palestina storica.

Un tentativo pacifico di rompere l’assedio, ma le dimostrazioni sono state brutalmente represse da Israele. I cecchini dell’esercito hanno ucciso 226 persone e ne hanno ferite 9000. Più di 150 persone hanno avuto arti amputati a seguito dei colpi di arma da fuoco. Nonostante la brutalità, le proteste sono continuate fino a dicembre 2019.

Per molti, a Gaza, le condizioni erano diventate talmente miserabili e disumanizzanti da far prevalere la sensazione che ormai non ci fosse più nulla da perdere.

Un attivista di Gaza che ha contribuito a organizzare le proteste ha detto: “[Siamo] un popolo che vuole vivere e niente di più. Niente può ritardare questa idea se non le catene delle nostre illusioni. Stiamo morendo in questo luogo ristretto assediato, quindi perché non scappare prima che il coltello raggiunga le nostre gole?”. Invece di interpretare queste proteste e la brutale risposta di Israele come un segnale di avvertimento, l’Occidente è rimasto indifferente.

Le proteste hanno ricevuto poca copertura mediatica e i governi occidentali hanno incolpato i palestinesi per la violenza messa in atto da Israele: “La responsabilità di queste tragiche morti ricade interamente su Hamas. Hamas sta provocando intenzionalmente e cinicamente questa risposta e, come ha detto il segretario di stato, Israele ha il diritto di difendersi”, aveva affermato un portavoce della Casa Bianca.

Poi la situazione è esplosa. Il 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato un attacco devastante contro l’esercito israeliano e i civili nelle colonie che circondano Gaza. Col senno di poi, la realtà insostenibile di Gaza ha reso inevitabile tale esplosione.

Secondo un membro di alto rango di Hamas “La gente di Gaza aveva due scelte: o morire per l’assedio, malnutrizione, fame, mancanza di medicine e mancanza di cure all’estero, o morire per un razzo. Non abbiamo altra scelta”.

Ma il 7 ottobre è stato uno sconvolgimento enorme per Israele e il mondo occidentale. L’immagine infallibile di Israele è stata distrutta, e con essa, tutte le radicate convinzioni sulla strategia geopolitica dell’Occidente nella regione.

E il fatto che nessuno in Occidente abbia osato suggerire che questo attacco avrebbe potuto essere razionale, è segno del potere e della forza dell’illusione liberale. Non c’era dubbio che la sovranità, la sicurezza e la liberazione potessero aver provocato l’assalto. Il credo liberale era così forte che ci si aspettava che Hamas e i palestinesi fossero un’eccezione nel corso della storia umana.

Il bisogno ontologico di sicurezza, il diritto universale all’autodifesa e la legge storica della resistenza al colonialismo sono stati tutti negati.

Invece di riconoscere che l’occupazione e l’apartheid di Israele erano insostenibili e sono responsabili di questa esplosione di violenza, è stato più facile per l’establishment della politica estera occidentale dipingere Hamas, un gruppo “terrorista” designato nel Regno Unito e in altri paesi, come fanatici irrazionali e immorali.

Negare la realtà

Il rifiuto di concepire la razionalità è stata la musica di sottofondo per l’incitamento al genocidio che ha travolto il mondo occidentale nelle settimane successive al 7 ottobre.

La macchina della propaganda è andata in funzione al massimo, in overdrive.

Il primo ministro israeliano ha definito i palestinesi “figli delle tenebre” e altri funzionari governativi hanno fatto commenti simili.

I politici e i media occidentali non hanno fatto nulla per contrastare queste accuse e hanno ripetuto la propaganda del governo israeliano senza farsi domande. Le storie non confermate su Hamas che bruciava vivi i bambini e organizzava stupri di massa sono state via via ripetute dai leader occidentali. Invece dell’autodifesa e della resistenza, il movente di Hamas e dei palestinesi è stato vilipeso definendolo come violenza nichilista, odiosa e lussuriosa.

L’incitamento all’odio ha avuto conseguenze genocide. Ora la realtà a Gaza è talmente orribile che è addirittura difficile da comprendere.

Per oltre 11 mesi Israele ha condotto una guerra barbara contro i palestinesi. Donne, bambini e famiglie sono direttamente presi di mira. Più di 16.000 bambini sono stati uccisi, mentre altri 22.000 sono dispersi. Più di 40.000 palestinesi sono stati uccisi, ma il numero totale di morti, sia quelli uccisi direttamente che quelli uccisi indirettamente dalla distruzione delle infrastrutture civili, è stimato in 186.000.

Gli stessi crimini di guerra che gli Stati Uniti hanno condannato in altri conflitti, sono stati perpetrati anche dal suo alleato Israele. Eppure, nonostante la dissonanza tra questa realtà e l’auto-percezione liberale, le élite occidentali hanno concesso poco. Le armi e gli aiuti a Israele continuano senza sosta, la crisi umanitaria è ampiamente ignorata e il movimento di solidarietà palestinese all’interno dell’Occidente deve affrontare crescenti livelli di repressione.

Sono possibili diversi esiti per questo stato di negazione. Uno è che l’illusione tra le élite della politica estera è diventata così radicata che è diventato impossibile immaginare che sia sbagliata.

Infatti, i liberali sono fervidamente consumati dal loro dogma e non riescono più ad interpretare o comprendere il mondo. Questa auto-illusione crea una soggettività che impedisce all’Occidente di confrontarsi con la realtà e di percepire correttamente se stesso, i limiti del suo potere e le esigenze e i diritti degli altri.

Qualsiasi ammissione di complicità nel genocidio sarebbe terribilmente dannosa per i principi guida dell’autocompiacimento e della moralità, che potrebbe far crollare l’intero edificio. Data l’importanza del discorso morale nelle sue relazioni con paesi rivali come Russia e Cina, non si può permettere che ciò accada.

Questo sforzo crea una crescente dissonanza tra le élite della politica estera in Occidente e la realtà del mondo. È una contraddizione che mina la pretesa di razionalismo che era insita nel telos (scopo, fine) della forma universale di governo all’interno del concetto di “Fine della Storia” di Fukuyama.

Sempre più spesso, i funzionari governativi, i professionisti dei media e molti accademici in Occidente sembrano essere del tutto soggettivi e irrazionali quando si tratta della Palestina o di altri paesi considerati “moralmente inaccettabili”.

Invece dell’universalità, i paesi occidentali decisi a sostenere Israele sono in disaccordo col resto del mondo, in particolare con quelle società che hanno sperimentato la colonizzazione europea e ritengono che la lotta palestinese rispecchi la loro storia e realtà.

A livello globale, l’organizzazione di un insediamento di coloni violenti è un anacronismo. Invece di incarnare uno spirito universale, i paesi occidentali che sono impegnati con Israele nella sua forma attuale sono un’enclave in declino.

Un’altra possibilità è che Gaza possa essere il capolinea dell’egemonia liberale. La Palestina non è il primo caso in cui si è creata una contraddizione clamorosa tra discorso liberale e realtà. Un esempio è la guerra al terrore e le invasioni di Iraq e Afghanistan. Tuttavia, la differenza principale tra quel periodo e l’epoca attuale è che gli Stati Uniti non sono più l’unica potenza globale.

Il passaggio ad un mondo multipolare, come risultato dell’ascesa della Cina e della ricomparsa della Russia, potrebbe significare che ci saranno visioni contrastanti che hanno un concetto più realistico di stabilità. La politica statunitense in Palestina sta destabilizzando il Medio Oriente e il focolaio sta mettendo a rischio le forniture energetiche e le rotte logistiche della Cina. Ad un certo punto, potrebbe essere necessario per la Cina e altre potenze emergenti imporre una visione alternativa, più pragmatica, sulla regione.

Inoltre, gli Stati Uniti ora sono in una posizione in cui il loro sostegno a Israele sta danneggiando le stesse istituzioni su cui si basa l’egemonia liberale. I loro attacchi alla Corte Internazionale di Giustizia e alla Corte Penale Internazionale ne sono un esempio.

La vergogna di Gaza dovrebbe rendere l’attuale egemonia screditata e ineleggibile, in modo permanente.

Qualunque cosa riservi il futuro, si può solo sperare che la realtà palestinese venga finalmente riconosciuta. Come ogni popolo colonizzato, i palestinesi scriveranno la loro storia, ma la negazione e l’inganno che hanno dovuto affrontare avranno un costo terribile.