Il dissenso può essere zittito? Le proteste per la Palestina ed il Libano nonostante il divieto del Viminale

Nell’ultimo anno, Gaza è stata teatro di un genocidio feroce, una crisi umanitaria che si svolge sotto gli occhi del mondo. Le immagini di distruzione e sofferenza scorrono incessantemente sui social, ma nonostante la drammaticità della situazione, il silenzio, l’indifferenza e la complicità di chi dovrebbe proteggere i diritti umani prevalgono. Questo genocidio, in diretta mondiale, rappresenta non solo una violazione di ogni tipo di legge, ma anche una negazione del diritto all’esistenza dei palestinesi.

Dallo scorso ottobre, i palestinesi di Gaza vivono in condizioni disumane, assediati da attacchi militari incessanti e privati delle risorse fondamentali per la sopravvivenza. La popolazione è stata colpita da bombardamenti aerei, attacchi terrestri e una continua mancanza di accesso a cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria. Le infrastrutture sono state distrutte, e con esse, il futuro di intere generazioni. La comunità internazionale – nel frattempo – ha assistito in silenzio a questo lento e inesorabile sterminio.

Israele, attraverso la sua politica di occupazione e le sue azioni militari, ha di fatto negato ai palestinesi non solo il diritto di vivere, ma anche il diritto di esistere come popolo. Israele ha imposto da 76 anni una realtà in cui i palestinesi sono considerati umani di serie B, privati di diritti fondamentali e sottoposti a discriminazioni sistematiche.

Il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi a Gaza è in aperta violazione delle leggi internazionali, inclusi i trattati sui diritti umani e le convenzioni di Ginevra. Gli attacchi indiscriminati contro civili, i bombardamenti degli ospedali e di tende che fungono da rifugio e che rifugio non sono, le demolizioni di case, le restrizioni alla libertà di movimento e l’uso eccessivo della forza sono solo alcune delle azioni che contravvengono alle norme internazionali. 

Nonostante l’ampia documentazione delle atrocità commesse a Gaza, i dibattiti si sono spesso arenati in parole vuote e risoluzioni inefficaci, mentre il dolore e la sofferenza dei palestinesi continuano a crescere. 

 

Manifestazioni a Milano per la Palestina e la scorta mediatica di Israele in Italia

Da un anno ormai, Milano assiste a una serie di manifestazioni organizzate a sostegno della Palestina, un evento che ogni sabato crea polemica a livello mediatico. Mentre le piazze si riempiono di persone che chiedono giustizia e diritti per il popolo palestinese e di fermare il genocidio in corso, la stampa fa da scorta mediatica al genocidio in corso, fenomeno che spiega bene Raffaele Oriani nel suo libro pubblicato di recente dopo aver lasciato Repubblica.

Le manifestazioni a Milano fanno parte di un movimento globale che esprime solidarietà alla Palestina, rappresentano un richiamo alla giustizia, ai diritti umani e all’auto-determinazione dei popoli oppressi. Tuttavia, sono state spesso accompagnate da polemiche, dove i cortei a favore della Palestina sono stati frequentemente e ingiustamente accusati di sostenere e favorire il terrorismo per difendere il diritto dei palestinesi a resistere all’occupazione.

Numerosi giornali e testate nazionali hanno alimentato un clima di allerta, etichettando le manifestazioni in favore della pace e della giustizia come potenzialmente pericolose. Queste affermazioni prive di fondamento, rischiano di delegittimare il diritto di manifestare e di resistere. È importante ricordare infatti che la libertà di espressione e di assemblea è sancita dalla Costituzione italiana, e l’uso di terminologie forti senza prove concrete sta stigmatizzando un’intera comunità di attivisti confondendo il diritto alla resistenza con il terrorismo.

Il diritto a resistere contro un’occupazione militare è del resto un principio sancito dalla legge internazionale e rappresenta un aspetto cruciale nella lotta dei popoli oppressi per la loro autodeterminazione e libertà. Secondo il diritto internazionale, in particolare la Carta delle Nazioni Unite, i popoli hanno il diritto di autodeterminazione, il che implica la libertà di determinare il proprio destino politico, economico e sociale. Quando un popolo è sottoposto a occupazione militare, ha il diritto di resistere per affermare questo principio. La risoluzione 1514 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite afferma che tutti i popoli hanno il diritto di essere liberi da colonialismo e occupazione.

In contesti di occupazione, il diritto alla resistenza è ulteriormente supportato da diverse normative internazionali. La Quarta Convenzione di Ginevra, ad esempio, stabilisce protezioni per le persone che vivono sotto occupazione militare, mentre il Protocollo I del 1977, che riguarda la protezione delle vittime dei conflitti armati, riconosce il diritto dei popoli a combattere contro l’occupazione.

 

La Manifestazione a Roma: un diritto negato

Il 5 ottobre 2024, diverse realtà del territorio tra cui i giovani palestinesi d’Italia, hanno organizzato una manifestazione nazionale per chiedere di cessare il fuoco, di fermare la furia disumana e inarrestabile di Israele e di chiedere al governo italiano di bloccare gli aiuti a uno Stato che sta commettendo atrocità inenarrabili. Tuttavia, pochi giorni prima dell’evento, e per la seconda volta nel corso di quest’anno, il Viminale ha negato il permesso di manifestare, un atto che ha sollevato preoccupazioni non solo tra gli organizzatori, ma anche tra i cittadini e gli attivisti per i diritti umani.

La decisione del Viminale di negare la manifestazione si basa su ragioni di sicurezza, ma l’assenza di motivazioni chiare e valide ha alimentato il sospetto che la decisione fosse influenzata più da considerazioni politiche che da reali necessità di ordine pubblico. Il governo, infatti, non solo si è astenuto in Assemblea generale alla richiesta di fermare il genocidio a Gaza, ma è coinvolto direttamente tramite la vendita di armi ad Israele – armi che poi vengono fattualmente utilizzate per uccidere donne e bambini.

La libertà di manifestare è un diritto garantito dalla Costituzione italiana, un pilastro della democrazia che consente ai cittadini di esprimere le proprie opinioni e di lottare per le cause in cui viene violato ogni tipo di diritto umano. La negazione di questo diritto non è solo un attacco contro chi sta semplicemente chiedendo di fermare un genocidio, ma un attacco più ampio al principio stesso di partecipazione civile e di libertà di espressione.

La negazione della manifestazione a Roma rappresenta un precedente preoccupante. Il silenzio (istituzionale, ben inteso, non di certo delle masse) dell’Occidente di fronte al genocidio in atto a Gaza è il riflesso di una crisi morale collettiva, dove la difesa dei diritti umani diventa selettiva, soggetta a interessi geopolitici. La negazione del diritto a manifestare, come nel caso di Roma, segna una deriva preoccupante in cui la repressione del dissenso si intreccia con la complicità istituzionale verso l’oppressione. Oggi, in attesa di osservare come si evolverà la situazione di fronte alle proteste che intendono vietare il divieto, per chi scende in piazza non si tratta solo di solidarizzare con il popolo palestinese: si tratta di difendere la possibilità stessa di resistere all’ingiustizia e ribadire che la libertà di parola e la giustizia non possono essere piegate a logiche di potere.