Prezzo del petrolio salito del dodici percento: la causa è il timore di una rappresaglia contro l’Iran

Il prezzo del petrolio è aumentato del 12,8% in appena tre giorni, tra il minimo toccato il primo ottobre e la chiusura del Brent, riferimento europeo per il greggio, il 4 ottobre. Questo rialzo non è dovuto tanto alla domanda globale, che rimane bassa a causa della recessione o stagnazione in mercati chiave come Europa e Asia, né a nuovi tagli di produzione dell’OPEC, il consorzio dei principali paesi produttori.

L’aumento è stato piuttosto causato dai timori di possibili rappresaglie israeliane contro l’Iran, che potrebbero compromettere le infrastrutture di esportazione del petrolio persiano, fondamentale per l’economia dell’Iran.

Un attacco al terminal petrolifero iraniano sull’isola di Kharg, situata nel Golfo Persico, potrebbe infatti bloccare gran parte dell’export iraniano, che ammonta a 1,7 milioni di barili al giorno. In risposta, l’Iran potrebbe attaccare le petroliere e le gasiere saudite ed emiratine che attraversano lo stretto di Hormuz, da cui transita un quinto dell’energia globale consumata.

Un tale scenario potrebbe portare il prezzo del petrolio a salire fino a 150 dollari al barile o anche oltre. Le incertezze del mercato sono state ulteriormente alimentate dall’esitazione del presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, che, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca il 3 ottobre, non ha smentito l’ipotesi che gli Stati Uniti stiano valutando con Israele un possibile attacco agli impianti petroliferi iraniani.

Un aumento così rapido del prezzo del greggio avrà sicuramente un impatto significativo sull’economia globale, vista l’importanza che il petrolio riveste in numerosi settori. In primo luogo, questo comporterà un aumento dei costi per il carburante e per la produzione di beni, poiché molti processi industriali e il trasporto mondiale dipendono ancora in gran parte dai combustibili fossili. Tale incremento porterà a maggiori costi di produzione, che spesso si tradurranno in prezzi più elevati per i consumatori, alimentando così l’inflazione.

Il risultato sarà un aumento del costo della vita e una conseguente diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Inoltre, molte aziende dovranno affrontare costi operativi più alti, con conseguente riduzione dei margini di profitto e una possibile diminuzione della produzione.

Questo contesto porterà anche a una riduzione degli investimenti, con un probabile rallentamento economico come conseguenza. Infine, l’incertezza e l’aumento dei costi dell’energia influenzeranno negativamente i mercati finanziari. Gli investitori percepiranno un rischio maggiore, il che potrebbe indurli a ridurre gli investimenti nei settori più esposti al rincaro dell’energia, preferendo investimenti più sicuri, come obbligazioni o altri beni rifugio.

Questo orientamento avrà un effetto negativo sui mercati azionari e su settori che consumano molta energia, come i trasporti e le materie prime. Un impatto simile potrebbe mettere in seria difficoltà l’economia globale, già duramente provata dagli aumenti dei prezzi del gas nel 2022, in seguito alla guerra tra Russia e Ucraina che ha colpito in modo significativo l’Europa”.