A un anno dal 7 ottobre, il destino di Gaza è segnato da una carneficina incessante e dall’oppressione dell’entità sionista, assetata di vendetta per l’affronto subito. La Palestina, già in grave arretramento nelle sue prospettive di liberazione, sembrava completamente assorbita dall’occupante israeliano prima di questa data fatidica.
La situazione era già critica prima del 7 ottobre, con gli Accordi di Abramo che avevano ratificato la normalizzazione delle relazioni tra alcune monarchie del Golfo, il Marocco e Israele. La comunità internazionale, per lo più silenziosa, aveva osservato passivamente le guerre di Israele con Gaza e l’embargo feroce imposto a Gaza, dove Hamas era al potere dal 2007. Prima dell’attacco, l’80% dei Gazawi dipendeva dagli aiuti umanitari, mentre i palestinesi erano martirizzati in silenzio in Cisgiordania e nelle carceri israeliane.
L’operazione “Diluvio di Al Aqsa” del 7 ottobre ha spezzato diverse certezze nel cuore degli abitanti di Israele. Nessuno si aspettava una vittoria militare così significativa, orchestrata da 15 diverse organizzazioni della Resistenza, da quelle religiose a quelle laiche, che riuscirono a superare le barriere che dividevano Gaza dall’entità sionista, catturando centinaia di ostaggi.
Questo evento ha rimesso al centro delle attenzioni globali la questione palestinese, in un periodo già turbolento a causa dell’intervento di Putin in Ucraina. Mediaticamente, i palestinesi hanno riscosso un grande successo, attirando l’attenzione di una nuova generazione precedentemente disinteressata ai conflitti sociali.
Il mondo sta iniziando a rifiutare l’ordine mondiale unipolare, a favore di un sistema multipolare dove ogni nazione può governarsi rispettando la propria identità culturale e religiosa. In questo scenario, la Resistenza palestinese e altri popoli del Sud del mondo vedono in alcuni paesi non occidentali nuovi alleati contro il dominio anglosassone.
Tuttavia, la reazione violenta di Israele all’operazione “Diluvio di Al Aqsa” ha drasticamente cambiato la percezione occidentale di Israele, da “unica democrazia del Medio Oriente” a simbolo di paura e insicurezza. Le atrocità commesse hanno sollevato indignazione globale, rafforzando la campagna BDS e unendo molte voci internazionali intorno alla causa palestinese.
In conclusione, Israele si trova di fronte a un’immagine deteriorata e a sfide interne crescenti, con Netanyahu che, nonostante i tentativi di espandere il suo potere, si trova di fronte a fallimenti sia militari che politici. La resistenza di Gaza continua a dimostrare la possibilità di un cambiamento significativo nella regione, sostenuta da una solidarietà internazionale sempre più forte.