Il governo espelle Zulfiqar Khan all’indomani del 7 ottobre per farsi bello con Israele e i sionisti italiani


L’espulsione di Zulfiqar Khan è una chiara violazione diritti umani fondamentali e il provvedimento del Ministero dell’Interno risulta di natura squisitamente politica nonché un colpo ad orologeria che giunge all’indomani del 7 ottobre, probabilmente per farsi belli agli occhi di Israele e dei sionisti italiani. Il decreto, che lo dipinge come una minaccia per la sicurezza dello Stato italiano ma in realtà la questione della sicurezza nazionale viene utilizzata come giustificazione per limitare il diritto alla libertà di espressione e per colpire persone che contestano il genocidio.

Il decreto accusa Khan di aver sostenuto Hamas in realtà ha semplicemente espresso sostegno alla legittimità della lotta di resistenza condotta da Hamas contro l’occupazione israeliana, ma non vi è alcuna accusa di supporto materiale a tale organizzazione. Questa distinzione è fondamentale: la semplice opinione che riconosce la legittimità della resistenza di un popolo contro un’occupazione non può essere criminalizzata, in quanto trova fondamento nel diritto internazionale.

L’occupazione di Gaza da parte di Israele è considerata illegale secondo diverse risoluzioni delle Nazioni Unite e secondo il diritto internazionale. Sostenere la resistenza contro questa occupazione è un’opinione legittima e non può essere automaticamente equiparata al sostegno del terrorismo. Definire “terrorismo” la resistenza armata è una questione politica, non giuridica, e se si applicasse la stessa logica a chi sostiene Israele, si dovrebbe allora sanzionare chi giustifica le azioni israeliane, alcune delle quali sono sotto inchiesta presso la Corte Penale Internazionale per crimini come genocidio. Questa doppia morale giuridica mette in luce l’inconsistenza delle accuse contro Khan, trasformando un giudizio politico in una condanna morale.

L’integrazione non significa uniformarsi ai cosiddetti “valori occidentali”

L’espulsione di Zulfiqar Khan è motivato anche dall’accusa di non essersi integrato perché i suoi discorsi contravvengono ai “valori occidentali”. Tuttavia, il concetto di “valori occidentali” non è stabilito ufficialmente in modo univoco, grazie a Dio aggiungo,  e secondo il nostro ordinamento l’unico dovere di ogni residente è il rispetto della legge. Che cosa siano questi valori e se siano davvero condivisi nel nostro Paese è una questione che merita una riflessione approfondita. Lo stesso governo Meloni, attraverso molti suoi esponenti, è stato accusato di avversare valori considerati costituzionali o democratici. Se un imam viene accusato di omofobia, come in questo caso, lo stesso tipo di accusa viene spesso rivolto anche a membri della maggioranza governativa ma la stessa accusa recentemente è stata rivolta anche al Papa o ad altri esponenti della Chiesa. 

Sul tema dell’integrazione, una persona con tre figli italiani, senza precedenti penali, che rispetta la legge, parla bene l’italiano e partecipa attivamente alla vita economica e sociale della sua comunità, può davvero essere considerata “non integrata”? Il concetto di integrazione non significa annullare il dissenso o l’originalità culturale, ma rispettare la legalità. Anche se fosse italiano, Khan e si chiamasse Mario Rossi, avrebbe o meno il diritto di non sentirsi integrato, di non essere allineato o conforme? In una democrazia, l’individuo ha il diritto di contestare pacificamente valori e norme dominanti, senza per questo essere espulso o perseguitato.

Un provvedimento islamofobo e filo-sionista

Il decreto fa riferimento a sermoni in cui Khan avrebbe criticato valori occidentali e appoggiato visioni conservatrici. Ma la libertà di espressione include anche il diritto di criticare la società in cui si vive, inclusi i suoi valori e le sue istituzioni. In un contesto democratico, tali opinioni non possono essere considerate una minaccia alla sicurezza dello Stato a meno che non incitino direttamente alla violenza. Non è stato dimostrato che le parole di Khan abbiano portato a un rischio concreto e immediato per l’Italia e questo non potrà mai essere dimostrato in quanto si è scelto appositamente di non processarlo per evitare di trovarsi di fronte all’inconsistenza delle accuse, l’espulsione ovvia a questo inconveniente negando di fatto all’accusato il diritto di difendersi.  

L’accusa di “non integrazione” è spesso utilizzata per giustificare misure repressive contro individui che hanno visioni differenti rispetto a quelle dominanti. Tuttavia, la pluralità di idee e il dissenso sono il fondamento di una democrazia sana. Se l’Italia, come affermato nel decreto, sostiene davvero i suoi principi democratici e di libertà, deve allora tutelare anche le opinioni minoritarie, compreso il diritto di criticare i cosiddetti valori occidentali. L’espulsione di una persona sulla base di opinioni e dichiarazioni, senza prove concrete di un coinvolgimento attivo in atti terroristici, rappresenta un pericoloso precedente in cui convergono islamofobia ed asservimento alla politica coloniale di Israele.