Voci censurate: intervista a Cecilia Parodi “Un mio scivolone emotivo ha cancellato dieci anni di lotte, e questo non è umano”

In questa intervista esclusiva, Cecilia Parodi si racconta in un momento particolarmente difficile della sua vita. Dopo la pubblicazione di un video sfogo emotivo di fronte al bagno di sangue a Gaza, le sue parole sono state oggetto di strumentalizzazioni e attacchi personali, portando conseguenze pesanti sulla sua vita professionale e personale. Parodi, attivista da oltre dieci anni per i diritti della Palestina, riflette sul peso del suo “scivolone emotivo” e sul dolore provocato dalle accuse che le sono state rivolte, nonostante il suo lungo impegno per la giustizia sociale. In questa conversazione, emergono i temi della censura, del bullismo mediatico e della sua lotta per ripristinare la propria integrità, anche di fronte alle minacce che hanno coinvolto persino la sua famiglia.

Il 3 luglio hai pubblicato un video che ha fatto molto discutere. Cosa ti ha spinta a quel gesto?

Il tre luglio ho pubblicato un video in cui, piangendo disperata, sfogavo tutta la mia rabbia e frustrazione dopo aver guardato le ennesime immagini di corpi mutilati, bruciati, e bambini morti. Come brillantemente espresso da Moni Ovadia, sono incappata in uno scivolone emotivo, mentre elencavo diverse categorie coinvolte nel genocidio, in modo più o meno diretto, e mi è sfuggita una generalizzazione purtroppo facilmente strumentalizzabile. La tattica politica, che si mette in atto per silenziare chiunque critichi il sionismo, è nota ed è stata abbondantemente studiata da grandi pensatori: si accusano gli oppositori di antisemitismo, facendo riemergere ricordi di una pagina oscura della storia europea, muovendo sensi di colpa antichi.

Pensi che ci sia una strumentalizzazione dell’Olocausto in questi contesti?

Le nostre responsabilità riguardo l’olocausto sono innegabili, e non vanno dimenticate, ma al contempo nemmeno ridicolizzate per scopi politici altrettanto ignobili. Non mi spiego come possano far loro paura i pro-Palestina, anziché l’avanzata del neonazismo e fascismo in tutta Europa, non mi spiego come possano essere consentiti rigurgiti fascisti in Italia, e non mi spiego come quel video sfogo sia potuto rimbalzare su tutti i giornali e tv nazionali, fino ad alcuni partiti politici.

Cosa rispondi a chi ti accusa di antisemitismo per quel video?

Quel video, strumentalizzato da tutti, era uno sfogo disperato. Se mi fossi espressa ripetutamente per mesi, e con assoluta lucidità, utilizzando solo parole di disprezzo e incitamento all’odio, capirei le accuse. Mi è uscita una volta, in oltre dieci anni, la parola “ebrei”, che intendevo come comunità ebraiche sioniste. In quel momento, nell’elencare tutte le categorie complici del genocidio, ho abbreviato. Dieci anni di discorsi, eventi, collaborazioni, viaggi, progetti, approfondimenti, incontri e adesso cosa resta? Quella parola. Non è corretto, non è umano. E non è nemmeno logico, la mia storia personale racconta chi sono. Sono stanca di giustificarmi, mentre sui canali mainstream persone molto autorevoli, figure politiche di estrema rilevanza, inneggiano alla morte dei neonati palestinesi e alla distruzione totale di Gaza.

Hai subito delle conseguenze personali dopo la pubblicazione del video?

In contemporanea, sul canale Telegram ‘Israele senza filtri’, già denunciato da ‘La luce’ e da ‘Al Jazeera’, organizzavano l’attacco contro di me utilizzando termini militari, minacciando di morte me e mia figlia. Ho ricevuto migliaia di insulti irripetibili e intimidazioni in poche ore, che sono proseguiti per settimane. Hanno segnalato, e ancora accade, ogni mio post e il mio profilo Instagram, mandando in tilt l’algoritmo e causandomi uno shadow ban costante dal quale non riesco a uscire. Le interazioni sono diminuite in modo esponenziale, così le restrizioni alle attività e contenuti, il mio feed che cresceva al ritmo di cento persone al giorno è ormai stabile da due mesi e mezzo. Ma non è questo l’aspetto peggiore.

Hai avuto conseguenze anche a livello lavorativo?

Sono stata sospesa dal lavoro, una precauzione che avrebbe dovuto essere momentanea e che, temo, invece di poter considerare permanente.

Le vendite del mio libro ‘Bahar Gaza’, i cui proventi sono destinati alla popolazione civile di Gaza, e che mi ha permesso di aiutare centinaia di famiglie palestinesi durante il genocidio, sono crollate. Da luglio a ottobre sono stata cancellata da numerosi eventi in presenza, questo è un danno oggettivo, chiaramente un incontro dal vivo stimola il dibattito e l’empatia, aumenta la possibilità di incuriosire i partecipanti, e costringe gli organizzatori ad acquistare un certo numero di copie. Le motivazioni degli organizzatori sono sempre state vaghe, mi riportano anche loro insulti e minacce sui social, a volte anche boicottaggio da singoli individui e organizzazioni pro-Pal che reputano la mia presenza scomoda e poco sicura. Mi sento offesa, e umiliata, da molte persone che consideravo amici, per le quali ho lavorato anche gratuitamente negli anni, colmato di favori e disponibilità, e che mi hanno voltato le spalle o addirittura accusata, avallando le calunnie nei miei confronti. Nessuno di loro ha mai preso in considerazione le possibili conseguenze su mia figlia, sulla mia famiglia, sulla mia dignità e integrità. Ho pensato alle donne vittime di revenge porn, o ai ragazzi che subiscono bullismo, a quanti di loro sono crollati psicologicamente arrivando a gesti estremi. Trovo profondamente ingiusta sia la gogna mediatica, senza alcun contraddittorio, che la disgustosa ipocrisia e vigliaccheria emerse, che hanno fatto enormi danni alla mia persona e alla causa.

Hai comunque ricevuto supporto da qualcuno in questa situazione?

Ho ricevuto moltissima solidarietà dalle persone comuni, anche se la maggior parte di loro mi conosce soltanto attraverso i social, eppure hanno compreso benissimo il significato di quel video sfogo, e non hanno esitato ad esporsi in mio sostegno. Inoltre, devo sottolinearlo, “quella parola” non ha offeso i veri ebrei, che non si sono sentiti minacciati, e questo dovrebbe bastare a chi mi lancia assurde accuse. Io sono antifascista, antirazzista e antisionista, accusarmi di nazismo è a dir poco ridicolo.

Come concili le tue convinzioni con la tua fede religiosa?

Inoltre, sono credente e praticante, non posso disprezzare alcuna forma di fede e credo religioso, perché offenderei anche me stessa. Credevo fosse ormai chiara la differenza tra l’ebraismo inteso come credo religioso, e l’ebraismo come scusante sionista per perpetrare crimini contro l’umanità, esecuzioni di bambini, espropri e tutte le violenze che conosciamo, ma evidentemente sbagliavo.

Hai avuto modo di confrontarti con qualcuno che ha vissuto una situazione simile alla tua?

Ho avuto la possibilità di confrontarmi con Giuseppe Flavio Pagano, anche lui vittima del gruppo Telegram, denunciato e indagato con accuse molto gravi. Lui continua a partecipare agli eventi, ne abbiamo dedotto entrambi che ci siano questioni di antipatie personali nei miei confronti, e forse anche fastidio per la mia raccolta fondi che è stata spesso definita come una forma di assistenzialismo inutile. Questo è un pessimo contributo alla popolazione civile di Gaza che, invece, seppur con grande imbarazzo, continua a chiedere aiuto per sopravvivere in uno scenario infernale, dove i prezzi sono ormai assurdi anche per i beni primari, dove scarseggiano acqua, medicinali, pane, assorbenti, latte per i neonati, carne, coperte, tende, e dove nessuno ha una fonte di reddito da un anno. I sionisti mi hanno causato sufficienti danni, non avrei mai creduto possibile una tale ostilità e perfidia da parte di personaggi che sfilano nei cortei e inneggiano alla Palestina libera. Affossando me, stanno affossando molti palestinesi, e questo non ha minimamente senso.

Come stai affrontando tutta la situazione a livello legale ed emotivo?

Per le questioni legali mi affido alla legge, e al mio avvocato, con assoluta serenità. Per le questioni di umanità e solidarietà sono ormai priva di riferimenti terreni, ho perso fiducia