L’Islam italiano di fronte al genocidio: tra silenzio e “sionismo islamico”

“O voi che credete! Siate costanti nell’affermare la giustizia, testimoni davanti a Dio” (Corano, 4:135).

Da oltre un anno, i palestinesi sono vittime di una rinnovata campagna di violenza e distruzione sistematica, che si è estesa anche al Libano, preannunciando una possibile guerra regionale ancora più devastante. Di fronte a questa tragedia, le comunità islamiche italiane, che contano circa 3 milioni di persone, hanno reagito in modi diversi. Tuttavia, la risposta, per molti aspetti, è risultata inadeguata rispetto alla gravità della situazione. Nonostante l’enorme valore spirituale e storico che la Palestina riveste nella coscienza islamica, e l’imperativo morale di promuovere il bene e combattere il male, la reazione delle comunità islamiche organizzate è rimasta tiepida e frammentata. In molti casi, la mobilitazione dei musulmani in Italia è stata inferiore rispetto a quella di altre componenti del movimento italiano contro il genocidio.

Le comunità islamiche tra assuefazione e riscattabilità

Nelle prime settimane del genocidio in Palestina, i musulmani d’Italia hanno partecipato in modo discreto alle manifestazioni di solidarietà. Tuttavia, con il passare del tempo, si è assistito a un calo progressivo della partecipazione, segnale di una crescente assuefazione agli orrendi massacri quotidiani e di una normalizzazione della violenza subita dai palestinesi.

Un aspetto fondamentale da considerare per comprendere la scarsa partecipazione dei musulmani alle iniziative di solidarietà è il pregiudizio diffuso nei confronti della contestazione politica. Molti musulmani, in particolare quelli di prima generazione, provengono da paesi governati da regimi dittatoriali, dove il dissenso viene punito severamente. Contestare apertamente le scelte del governo italiano appare pericoloso per alcuni di loro, poiché temono di subire conseguenze anche gravi. Questo timore è ulteriormente rafforzato dall’abuso che il governo fa della legislazione antiterrorismo, il quale ha portato all’espulsione, senza processo, di 94 cittadini stranieri per non identificati motivi di sicurezza nazionale soltanto dal 7 ottobre 2023 ad oggi. Di fronte a questo clima di “ricattabilità” molti musulmani, senza o anche con cittadinanza italiana, preferiscono non esprimere liberamente le proprie opinioni politiche, specialmente su temi delicati come la questione palestinese.

La leadership islamica italiana: dal sostegno alla resistenza popolare al sostegno al carnefice

La leadership musulmana in Italia, composta da persone e organizzazioni con un seguito reale o presunto, ha adottato posizioni diverse riguardo alla crisi palestinese, spaziando dal sostegno attivo alla resistenza del popolo palestinese fino alla difesa dell’occupazione israeliana e alla condanna dei palestinesi. Possiamo distinguere quattro principali categorie di posizioni:

  • La promozione attiva:
    Il primo gruppo è formato da personalità e organizzazioni che non solo hanno condannato apertamente il genocidio, ma si sono anche impegnate attivamente a promuovere la sensibilizzazione e l’azione. Spesso in collaborazione con movimenti studenteschi, politici e della società civile, questi leader hanno promosso manifestazioni, eventi e dibattiti pubblici, e sono molto attivi sui social network per mantenere viva l’attenzione sul genocidio in corso.
  • La solidarietà timida:
    Il secondo gruppo è costituito da organizzazioni di rappresentanza, anche di rilievo, che, pur avendo inizialmente condannato i crimini contro i palestinesi, non sono andate oltre tali dichiarazioni. Non hanno promosso iniziative concrete per sensibilizzare sul genocidio né all’interno delle loro comunità né nel contesto più ampio. Questa inerzia è spesso legata alla riscattabilità politica e al timore che prese di posizione più nette possano compromettere i loro rapporti con le istituzioni italiane, nazionali o locali, o con altri attori religiosi o della società civile.
  • Il silenzio totale:
    Un altro elemento preoccupante è rappresentato dal silenzio di alcune organizzazioni legate ai paesi arabi. Le moschee e le associazioni legate ai governi di paesi come il Marocco o l’Arabia Saudita hanno scelto di mantenere un silenzio pressoché totale riguardo agli eventi di Gaza. I finanziamenti ricevuti da questi regimi, spesso in rapporti stretti con Israele, hanno impedito a tali organizzazioni di assumere posizioni critiche.
  • Il sostegno al genocida:
    Il gruppo più controverso è composto da quei leader e organizzazioni che si sono apertamente schierati dalla parte del carnefice, adottando la narrazione dell’occupazione sionista. Un associazione islamica italiana, i cui membri, per statuto, sono tutti italiani autoctoni, ad esempio, ha espresso solidarietà a Israele, condannando esclusivamente la resistenza palestinese. Nei loro comunicati, hanno descritto il genocidio in corso come una risposta legittima al terrorismo palestinese e hanno considerato le vittime palestinesi come “danni collaterali”, di cui l’unico responsabile è Hamas, accusata di usare i civili come “scudi umani”. Il suo rappresentante ha anche elogiato il “modello di cittadinanza plurale” israeliano, ignorando il regime di apartheid in vigore nei confronti dei palestinesi musulmani e cristiani. Questa componente è un esempio di ciò che possiamo definire “sionismo islamico”, un fenomeno simile al sionismo cristiano evangelico negli Stati Uniti o a quelli che nel mondo arabo vengono chiamati “sionisti arabi”.

Recuperare coraggio e credibilità morale

La frammentazione e la debolezza della leadership islamica riflettono una crisi strutturale più ampia all’interno delle comunità islamiche in Italia. Di fronte al dramma in corso, la comunità musulmana si trova a un bivio: o recupera il coraggio di riaffermare i propri principi di giustizia e difesa dei diritti umani, o rischia di perdere la sua credibilità morale. È essenziale unirsi alle persone di buona volontà in Italia per denunciare la complicità del governo italiano nel genocidio in corso, in totale violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana, che ripudia la guerra come strumento di offesa e promuove la pace e la giustizia tra le nazioni. Solo così sarà possibile alleviare, nei limiti del possibile, la sofferenza dei nostri fratelli e sorelle palestinesi e riaffermare l’integrità morale della comunità musulmana in Italia.