La nostra Redazione ha ricevuto la seguente questa testimonianza diretta da una persona che si trova attualmente a Gaza che ci offre una preziosa testimonianza da una prospettiva interna. Questa testimonianza è stata raccolta da una fonte affidabile in seguito ai recenti massacri a Gaza Nord mentre la situazione evolve rapidamente.
Di Alaa Ahmed, da Gaza
Devo parlare con chiarezza della situazione qui a Gaza, e delle soluzioni suggerite dai leader di un mondo brutale. Oggi gli israeliani propongono chiaramente due possibili percorsi per risolvere la “questione” di Gaza.
La loro prima proposta suggerisce un trasferimento forzato, ma affinché questo sia realizzabile dovrebbero esserci altri paesi disposti ad accogliere i palestinesi, con tutto il loro carico di sofferenza, rabbia e sete di vendetta.
Escludo che possa accadere, a meno che lo Stato egiziano non venga costretto a concederci un pezzo di terra nel deserto del Sinai. Ma anche questa non sarebbe una soluzione al conflitto. In breve tempo i palestinesi tornerebbero a manifestare rifiuto e resistenza contro il nemico israeliano, con il quale continuerebbero a essere confinanti. L’idea non farebbe altro che spostare il confronto dai palestinesi di Gaza a quelli del Sinai: certo sarebbe un modo per guadagnare tempo, ma non potrebbe eliminare il rischio di ulteriori scontri.
La seconda proposta prevede un’occupazione permanente, e l’imposizione dell’amministrazione militare israeliana su Gaza. Lo Stato israeliano si ritroverebbe subito sfinito, e costretto a confrontarsi quotidianamente contro il nostro popolo, anche se disarmato. La loro amministrazione non otterrebbe mai alcuna legittimità, rendendo i costi di gestione elevati per Israele sia in termini economici, che politici e umani, e non potrebbe spegnere le fiamme del conflitto in corso.
Lo Stato israeliano spera di logorare la resistenza, ma il vero problema, che paradossalmente Israele conosce bene, è che la resistenza si rinnova attraverso il perdurare della sofferenza. Anche in caso di risorse molto scarse, la resistenza è in grado di sopravvivere per anni. A differenza di Israele, che teme per la stabilità economica delle proprie istituzioni, la resistenza non ha una base economica vulnerabile al collasso.
Israele, inoltre, si illude di poter mettere pressione su Hamas intensificando la sofferenza del popolo di Gaza, ma anche questa strategia non funziona nel nostro contesto di guerra. Non ha alcun effetto sui gazawi per molteplici ragioni.
La guerra è legata alla paura, e costringe la popolazione di Gaza a pensare costantemente alla sopravvivenza: tutti ritengono che la morte sia ciò che li attende, e questo timore scatena reazioni creative.
Moltissimi gazawi hanno già perso la loro casa a causa della distruzione massiccia, eppure si sono adattati a vivere nelle tende come alternativa, sia che la guerra continui o che finisca.
La ricostruzione richiederà molto tempo, ma i palestinesi hanno già esperienza dei lunghi processi di ricostruzione. Hanno pazienza. Riguardo la sofferenza inflitta tramite fame e malattie, questo anno appena trascorso ha portato tutti a una sorta di abitudine, a un adattamento dei corpi e delle menti.
Esiste una sola e unica soluzione: terminare il massacro e ritirarsi da Gaza, fornendo gli aiuti necessari attraverso un accordo tra Gaza, israeliani e governi del mondo. Gli abitanti di Gaza devono poter decidere il proprio destino, e la struttura della loro vita politica, liberandosi dall’influenza di agende esterne come quella dell’Iran o altri.
Non sono un traditore, e non propongo una soluzione che soddisfi soltanto me in quanto palestinese, altrimenti sceglierei di porre fine immediatamente all’occupazione e punire Israele per i suoi crimini. Sto parlando di una soluzione che potrebbe porre fine a questo infinito conflitto, in grado di preparare il terreno per una Palestina libera dalla minaccia di guerre o battaglie future.