Inchiesta New York Times rivela: Israele ha usato ampiamente palestinesi come scudi umani a Gaza

La recente inchiesta pubblicata dal New York Times, firmata da Natan Odenheimer, Bilal Shbair e Patrick Kingsley, porta alla luce una pratica brutale dell’esercito israeliano durante l’assedio a Gaza. Secondo le testimonianze di ex soldati israeliani e civili palestinesi, l’esercito ha regolarmente utilizzato prigionieri palestinesi come scudi umani, obbligandoli a svolgere compiti pericolosi per proteggere le truppe israeliane. L’inchiesta, basata su interviste con 16 soldati e tre ex detenuti, offre uno sguardo dettagliato su questa strategia, evidenziando le gravi implicazioni etiche e legali che ne derivano.
Un’approfondita inchiesta del New York Times ha rivelato come l’esercito israeliano, durante le sue operazioni militari a Gaza, abbia ripetutamente utilizzato prigionieri palestinesi come scudi umani. Questa pratica, confermata da diverse testimonianze di soldati israeliani e civili palestinesi coinvolti, evidenzia il pericoloso impiego di persone inermi costrette a svolgere compiti rischiosi per proteggere i militari israeliani da possibili attacchi.

L’articolo, frutto del lavoro dei giornalisti Natan Odenheimer, Bilal Shbair e Patrick Kingsley, si basa su interviste con 16 soldati e funzionari israeliani, alcuni dei quali ancora in servizio, oltre a tre palestinesi che hanno vissuto direttamente questa esperienza. La pratica denunciata va ben oltre le semplici violazioni delle leggi internazionali di guerra, poiché i palestinesi non solo sono stati esposti a pericoli mortali, ma sono stati utilizzati come strumenti di guerra contro la loro stessa gente.

“I soldati mi hanno mandato come un cane in un appartamento pieno di trappole esplosive”, ha detto Shubeir, studente alle scuole superiori. “Pensavo che sarebbero stati gli ultimi momenti della mia vita”.

Una delle testimonianze principali è quella di Mohammed Shubeir, all’epoca dei fatti diciassettenne, che racconta di essere stato catturato insieme alla sua famiglia all’inizio di marzo. Shubeir e i suoi familiari si erano rifugiati in una casa, ma furono scoperti e trattenuti dai soldati israeliani. Durante la sua detenzione di circa 10 giorni, Shubeir racconta che i militari lo costrinsero a camminare davanti a loro, ammanettato e sotto minaccia di morte, per ispezionare tunnel sospettati di essere utilizzati da Hamas. Nonostante la gravità della situazione, Shubeir fu rilasciato senza alcuna accusa, sottolineando come queste detenzioni non fossero legate a un effettivo reato commesso, ma piuttosto a una strategia militare per minimizzare il rischio per i soldati israeliani.

Il prof. Michael N. Schmitt, studioso di West Point che nel corso degli ultimi decenni ha analizzato l’uso degli scudi umani nei conflitti armati, ha affermato di non essere a conoscenza di un altro esercito che abbia utilizzato regolarmente civili, prigionieri di guerra o terroristi catturati per missioni di ricognizione pericolose. Gli storici militari affermano che la pratica è stata utilizzata soltanto dalle forze statunitensi in Vietnam. “Nella maggior parte dei casi”, ha affermato il professor Schmitt, “ciò costituisce un crimine di guerra”.

Altri ex detenuti palestinesi hanno fornito testimonianze simili, confermando una prassi che si ripete spesso durante i conflitti nella Striscia di Gaza. I civili palestinesi vengono frequentemente sequestrati durante le operazioni militari e forzati a compiere azioni altamente pericolose, come l’ispezione di edifici sospetti o la ricerca di armi, sempre sotto la sorveglianza dei soldati israeliani.

Uno degli intervistati, un ex militare israeliano, ha ammesso che l’utilizzo di civili palestinesi come scudi umani non è raro e si ripete regolarmente in determinati contesti. Ha spiegato che queste pratiche vengono utilizzate per “prevenire perdite” tra le truppe israeliane, spingendo i prigionieri davanti ai soldati nei momenti più critici, come l’ingresso in tunnel o edifici dove potrebbero nascondersi militanti armati. Secondo l’ex soldato, questo comportamento è spesso tollerato o ignorato dai comandanti, nonostante sia formalmente vietato dal diritto internazionale e dalle stesse regole militari israeliane.

Alcuni dei soldati che hanno visto o partecipato alla pratica l’hanno trovata profondamente inquietante, fino a spingerli a correre il rischio di discutere questo segreto militare con un giornalista. Due sono entrati in contatto col Times tramite Breaking the Silence, un osservatorio indipendente che raccoglie testimonianze di soldati israeliani.

Le testimonianze dei soldati indicano che l’uso dei civili palestinesi non è limitato a casi isolati, ma è piuttosto una componente strutturale delle tattiche israeliane in alcune operazioni. Alcuni ufficiali hanno giustificato tali azioni sostenendo che, data la complessità del conflitto, le truppe devono affrontare minacce significative, come i tunnel sotterranei di Hamas, spesso armati e minati, e si sentono obbligate a prendere misure straordinarie per proteggere la propria sicurezza. Tuttavia, queste giustificazioni non alleviano le sofferenze inflitte ai civili palestinesi, che vengono messi in pericolo di vita senza alcuna colpa.

Una squadra di militari israeliani ha costretto una folla di palestinesi sfollati a camminare davanti a loro per ripararsi mentre avanzavano verso un nascondiglio di militanti nel centro di Gaza City, secondo quanto riferito da Jehad Siam, 31 anni, grafico palestinese che faceva parte del gruppo di sfollati.

L’inchiesta evidenzia anche come l’utilizzo di civili come scudi umani sia una chiara violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani e sul diritto bellico. Le Nazioni Unite e numerose organizzazioni per i diritti umani hanno più volte denunciato l’uso di civili in operazioni militari, considerandolo un crimine di guerra. Le convenzioni di Ginevra, infatti, proibiscono esplicitamente l’impiego di civili in contesti di conflitto per proteggere le forze militari. Nonostante ciò, le autorità israeliane tendono a minimizzare le accuse o a negare del tutto l’esistenza di tali pratiche, affermando che l’esercito agisce in conformità con le normative internazionali.

“Dietro di me, tre soldati mi hanno spinto in avanti con violenza”, ha ricordato al-Dalou. “Avevano paura della presenza di eventuali tunnel sottoterra o di esplosivi nascosti sotto gli oggetti”. Camminando a piedi nudi, si è tagliato i piedi con le schegge di vetro, ha detto.

Questa inchiesta ha riportato l’attenzione su uno degli aspetti meno discussi del conflitto israelo-palestinese, mostrando come le vite dei civili palestinesi siano regolarmente sacrificate o esposte a rischi enormi nell’ambito delle operazioni militari israeliane. Sebbene la retorica ufficiale del governo israeliano parli spesso di autodifesa e di protezione della sicurezza nazionale, questi episodi mettono in luce una realtà profondamente diversa, in cui il valore della vita umana varia a seconda dell’etnia e del contesto politico.

Erano tutti considerati sacrificabili, ha confessato il soldato, aggiungendo che rammenta un ufficiale quando diceva “Se il tunnel esplode, almeno morirà lui e non uno di noi”.