Georges Ibrahim Abdallah: il prigioniero politico più longevo d’Europa libero dopo 40 anni di lotta per la Palestina

Il 6 dicembre segnerà la fine di una detenzione durata oltre 40 anni per Georges Ibrahim Abdallah, il più longevo prigioniero politico d’Europa. Il tribunale francese ha ordinato la sua scarcerazione, con la condizione che lasci il Paese e non faccia ritorno. Si conclude così un capitolo che ha visto un uomo lottare contro un sistema che lo ha etichettato come terrorista, ma che in molti riconoscono come un combattente per la libertà e i diritti del popolo palestinese.

Un prigioniero di coscienza

Abdallah, nato nel villaggio cristiano di Koubayat nel nord del Libano, è stato un insegnante di scuola secondaria prima di unirsi alla resistenza marxista-leninista del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), un movimento che ha condotto azioni radicali negli anni ’60 e ’70 contro l’occupazione israeliana e l’imperialismo occidentale in Medio Oriente. La sua storia è intrecciata con la lotta di un intero popolo, quello palestinese, che da decenni subisce l’occupazione e le politiche coloniali israeliane.

Condannato all’ergastolo nel 1987 per presunta complicità negli omicidi del diplomatico israeliano Yacov Barsimantov e dell’attacché militare statunitense Charles Robert Ray, Abdallah non ha mai rinnegato il suo impegno per la causa palestinese, ma ha sempre mantenuto la sua innocenza rispetto agli specifici crimini imputatigli. Il suo arresto nel 1984, in piena epoca di conflitti geopolitici in Libano, è stato visto da molti come una manovra politica, in cui la Francia ha ceduto alle pressioni degli Stati Uniti e di Israele, impegnati a contrastare il movimento di resistenza palestinese.

Quarant’anni di pressioni internazionali

Dal 1999, Georges Ibrahim Abdallah ha presentato 11 richieste di libertà condizionale, tutte respinte. Nonostante l’opinione pubblica francese sia in parte cambiata negli anni, con una crescente consapevolezza delle dinamiche oppressive del colonialismo, le pressioni di Washington hanno sistematicamente bloccato ogni tentativo di rilascio. Gli Stati Uniti, che vedono in Abdallah un “terrorista impenitente”, hanno spesso minacciato ritorsioni diplomatiche qualora venisse liberato.

Nel frattempo, il Libano ha costantemente chiesto il rilascio del suo cittadino. La sua liberazione è stata supportata da diverse campagne internazionali e da movimenti di solidarietà che vedono in lui un prigioniero di coscienza, un simbolo della lotta contro l’imperialismo e l’occupazione israeliana. La sua figura è diventata iconica per le nuove generazioni di attivisti e per chiunque combatta contro le ingiustizie perpetrate nei confronti del popolo palestinese.

Un’ingiustizia storica

Non si può ignorare il fatto che Abdallah sia stato condannato a una pena molto più severa rispetto a quanto richiesto dal pubblico ministero francese all’epoca: 10 anni di carcere. L’ergastolo, invece, è stato visto dal suo legale, Jacques Vergès – noto per aver difeso figure controverse come il venezuelano Carlos lo Sciacallo – come una vera e propria “dichiarazione di guerra”. Vergès aveva sottolineato come il processo fosse stato influenzato da considerazioni politiche piuttosto che da evidenze legali concrete.

Durante questi 40 anni di detenzione, Abdallah non ha mai espresso pentimento per le sue azioni, mantenendo fermamente la sua posizione di “combattente”, non di “criminale”. Questo atteggiamento ha alimentato sia il sostegno di chi lo vede come un eroe della resistenza, sia l’odio di chi continua a considerarlo un terrorista impenitente.

Un simbolo di lotta per la libertà

La liberazione di Georges Ibrahim Abdallah ed il suo ritorno in Libano rappresentano un segnale per il movimento di resistenza palestinese ed hanno oggi un valore simbolico innegabile. Per alcuni, Abdallah rimarrà un “terrorista”, ma per altri, e in particolare per molti palestinesi e libanesi, è un simbolo di resistenza, un prigioniero politico che ha sacrificato la sua vita per una causa più grande. La sua liberazione, seppur tardiva, rappresenta per molti un passo verso il riconoscimento delle legittime lotte dei popoli oppressi, soprattutto in un momento storico peculiare come quello attuale con il genocidio in atto a Gaza che è iniziato in seguito alla contro-offensiva del 7 ottobre da parte del movimento di resistenza Hamas.