Trump vuole “comprare” Gaza: una provocazione che infiamma il Medio Oriente

Le recenti mosse del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, stanno minando la fragile tregua tra Israele e Hamas, alimentando nuove tensioni in un Medio Oriente già devastato da mesi di conflitto. Le loro dichiarazioni e strategie politiche, anziché favorire un percorso di pace, sembrano orientate a destabilizzare ulteriormente la regione, compromettendo gli sforzi diplomatici in corso.

Durante un’intervista a bordo dell’Air Force One, Donald Trump ha avanzato una proposta shock: “acquistare e possedere” la Striscia di Gaza, devastata dai recenti conflitti. L’idea prevede la ricostruzione del territorio sotto la supervisione americana, con la collaborazione di alcuni Stati del Medio Oriente, e la trasformazione di Gaza in una sorta di “Riviera del Medio Oriente”. Come parte del piano, Trump ha anche suggerito la possibilità di accogliere alcuni rifugiati palestinesi negli Stati Uniti, con una valutazione caso per caso.

La reazione palestinese non si è fatta attendere. Le autorità locali hanno definito la proposta di Trump “offensiva e inaccettabile”, sottolineando che “Gaza non è una proprietà da vendere e comprare, è parte integrante della terra palestinese occupata”. La proposta americana è stata percepita come un ulteriore tentativo di espropriare i palestinesi della loro terra e della loro identità.

Anche i Paesi arabi hanno respinto con fermezza il piano di Trump. Il re di Giordania, Abdallah II, ha dichiarato che la proposta rappresenta “una ricetta per il radicalismo”, mentre l’Egitto ha categoricamente rifiutato l’idea di accogliere rifugiati palestinesi, denunciando il rischio di una deportazione mascherata. L’Arabia Saudita, dal canto suo, ha respinto sia il piano americano sia l’idea di Netanyahu di creare uno Stato palestinese in territorio saudita, definendo entrambe le proposte come “irrealistiche e destabilizzanti”.

La Lega Araba ha convocato un vertice straordinario per il 27 febbraio, con l’obiettivo di discutere il provocatorio piano americano e la tenuta della tregua. In una nota ufficiale, l’organizzazione ha condannato le proposte di Trump e Netanyahu, affermando che “riflettono un completo distacco dalla realtà e ignorano i diritti inalienabili del popolo palestinese”.

Netanyahu alza la posta: condizioni impossibili e negoziati bloccati

Parallelamente, Netanyahu ha adottato una linea altrettanto provocatoria. Dopo una settimana di colloqui negli Stati Uniti, il premier israeliano è tornato a Tel Aviv con l’intenzione di sabotare i negoziati di pace. Nonostante il ritiro simbolico delle truppe israeliane dal corridoio di Netzarim, Netanyahu ha posto nuove condizioni per il proseguimento della tregua, tra cui l’espulsione dei leader di Hamas da Gaza, una richiesta che ha suscitato critiche sia in Israele che all’estero.

A Doha, i negoziati per la seconda fase della tregua sono in stallo. La delegazione israeliana è arrivata con una settimana di ritardo e, secondo fonti governative citate da Haaretz, non ha alcun mandato per negoziare seriamente. L’obiettivo di Netanyahu sembra essere quello di prolungare il conflitto, contando sul supporto politico e militare dell’amministrazione Trump.

In un’intervista a Fox News, Netanyahu ha definito il piano di Trump per Gaza “la prima idea nuova da anni”, respingendo le accuse di deportazione e pulizia etnica. Ha affermato che i gazawi “potranno tornare nelle loro case dopo la ricostruzione, a patto che rinneghino il terrorismo”. Tuttavia, le sue dichiarazioni sono state percepite come un ulteriore tentativo di legittimare l’occupazione israeliana e di evitare concessioni significative nei negoziati.

La tregua in bilico: tra illusioni di pace e rischi di escalation

La tregua, siglata il 19 gennaio 2025, aveva portato a un fragile cessate il fuoco e a uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. Tuttavia, le condizioni imposte da Netanyahu e le dichiarazioni provocatorie di Trump stanno mettendo seriamente a rischio la tenuta dell’accordo. La seconda fase della tregua, che prevede il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza e il ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia, appare sempre più lontana.

La situazione umanitaria a Gaza è drammatica. In 15 mesi di conflitto, le vittime palestinesi hanno superato le 62.000 unità, con almeno 14.000 persone ancora disperse. Le operazioni militari israeliane hanno distrutto infrastrutture vitali, lasciando la popolazione senza accesso adeguato a cibo, acqua e assistenza sanitaria. La tregua, sebbene fragile, rappresentava una speranza di sollievo per la popolazione, ma le manovre di Trump e Netanyahu rischiano di trasformare questa speranza in un’illusione.

Anche in Cisgiordania, l’operazione militare israeliana “Muro di Ferro” continua a devastare città come Tulkarem e Jenin, provocando sfollamenti di massa e distruzione di infrastrutture civili. A Jenin, l’ospedale governativo è praticamente inaccessibile, e i civili feriti o uccisi rappresentano la stragrande maggioranza delle vittime del conflitto.

La pace ostaggio di due leader

Le azioni e le dichiarazioni di Trump e Netanyahu sembrano dirette a sabotare ogni tentativo di pace duratura. Entrambi i leader stanno utilizzando la crisi in Medio Oriente come strumento per rafforzare la propria posizione politica, a discapito della stabilità regionale e dei diritti del popolo palestinese.

La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione, ma senza un intervento deciso e coordinato, il rischio è che la tregua crolli e il conflitto riprenda con ancora maggiore intensità. La popolazione palestinese, già provata da anni di occupazione e violenze, continua a pagare il prezzo più alto, vittima di giochi di potere che ignorano la dignità e i diritti umani fondamentali.

Il futuro del Medio Oriente dipenderà dalla capacità dei leader mondiali di fermare le provocazioni di Trump e Netanyahu e di promuovere un dialogo autentico e rispettoso delle legittime aspirazioni di tutte le parti coinvolte. Se ciò non avverrà, la tregua rischia di trasformarsi in un breve interludio tra due capitoli di una guerra senza fine.