La riunione di quattro ore del gabinetto di sicurezza israeliano ha portato a una decisione unanime: se lo scambio di ostaggi e prigionieri concordato non avverrà entro sabato, Israele scatenerà un’offensiva senza precedenti. Parole dure sono arrivate da vari esponenti del governo: il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha minacciato di “aprire le porte dell’inferno ad Hamas”, mentre il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi ha invocato l’interruzione totale degli aiuti umanitari e il ricorso a una “forza brutale e sproporzionata”.
Netanyahu stesso ha ordinato all’esercito di rafforzare la presenza dentro e intorno alla Striscia di Gaza. Tuttavia, permane un’ambiguità: mentre Trump ha chiesto la liberazione di tutti gli ostaggi, Netanyahu non ha chiarito se la liberazione dei tre ostaggi prevista per sabato sarà sufficiente a mantenere la tregua.
Hamas reagisce: accuse di violazioni e rinvio degli scambi
La reazione di Hamas alle recenti pressioni esercitate da Israele e dagli Stati Uniti si è manifestata con una fermezza che lascia pochi dubbi sull’intenzione di Hamas di mantenere una linea dura. Il portavoce di Hamas, Abu Obeida, ha annunciato il rinvio sine die del previsto scambio di ostaggi, inizialmente fissato per sabato, motivando questa decisione con quelle che il gruppo definisce “gravi e ripetute violazioni” del cessate il fuoco da parte israeliana. Secondo quanto dichiarato da Hamas, Israele avrebbe ostacolato il ritorno degli sfollati palestinesi verso le loro abitazioni nel nord della Striscia di Gaza, avrebbe limitato l’ingresso degli aiuti umanitari essenziali e, in più di un’occasione, avrebbe fatto ricorso alla violenza armata contro civili inermi, contravvenendo così ai termini dell’intesa raggiunta.
In questo contesto, appare del tutto improbabile che Hamas ceda alle pressioni o all’ultimatum imposto dal presidente statunitense Donald Trump, il quale ha preteso la liberazione di tutti gli ostaggi israeliani entro il termine perentorio di sabato. Per Hamas, infatti, tale richiesta rappresenta non solo un’ingerenza esterna, ma anche un affronto diretto, soprattutto dopo aver sopportato per oltre quindici mesi una campagna militare israeliana caratterizzata da bombardamenti incessanti e operazioni di terra devastanti, che hanno avuto come obiettivo principale quello di piegare la resistenza del movimento islamista.
Un esponente di spicco di Hamas ha ribadito con chiarezza che il rilascio degli ostaggi israeliani potrà avvenire esclusivamente qualora Israele rispetti scrupolosamente tutte le condizioni del cessate il fuoco. Per il movimento palestinese, il fatto di essere riuscito a costringere Israele a liberare un numero significativo di prigionieri palestinesi rappresenta non soltanto una vittoria sul piano politico e strategico, ma anche un trionfo simbolico e morale, che rafforza la propria legittimità agli occhi della popolazione palestinese e del mondo arabo. Rinunciare a tale conquista significherebbe, per Hamas, compromettere il proprio ruolo di attore principale nella lotta contro l’occupazione israeliana e perdere il consenso guadagnato all’interno della società palestinese. In serata, i vertici di Hamas hanno ulteriormente chiarito la propria posizione, dichiarando che nessun ulteriore ostaggio verrà rilasciato finché Israele continuerà a disattendere le condizioni stabilite nell’accordo di Gaza.
La situazione si fa dunque sempre più complessa e delicata, con il rischio concreto di un ritorno a un conflitto armato su larga scala che potrebbe avere conseguenze devastanti non solo per la popolazione civile della Striscia di Gaza, già duramente provata da mesi di assedio e bombardamenti, ma anche per l’intero equilibrio geopolitico della regione. Le ripetute violazioni degli accordi di tregua, unite alla retorica incendiaria proveniente sia da Tel Aviv che da Washington, sembrano aver ridotto al minimo le possibilità di una soluzione diplomatica.
Mentre la comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione l’evolversi degli eventi, i mediatori regionali, come il Qatar e l’Egitto, si trovano in una posizione sempre più difficile, con margini di manovra ridotti e una crescente sfiducia da parte delle fazioni coinvolte. Le famiglie degli ostaggi israeliani, consapevoli della fragilità della situazione, hanno lanciato appelli accorati affinché si faccia tutto il possibile per preservare la tregua e proseguire il processo di negoziazione, ma le pressioni interne al governo israeliano, soprattutto da parte delle frange più estremiste, sembrano spingere in direzione opposta.
Un contesto regionale sempre più teso
Se la guerra riprenderà, accadrà in un contesto regionale profondamente mutato. L’amministrazione Trump sta portando avanti un piano che mira alla deportazione dei palestinesi di Gaza in Egitto e Giordania, minacciando di tagliare gli aiuti economici e militari a questi due paesi se non collaboreranno. Il re di Giordania Abdallah II ha mostrato una cauta apertura, dichiarando di “aspettare che gli egiziani presentino delle idee”. Il Cairo, invece, ha già respinto più volte il piano, arrivando a rinviare la visita del presidente Abdel Fattah Al Sisi a Washington.
Trump ha inoltre ribadito la sua intenzione di trasformare Gaza in un polo turistico internazionale, senza la presenza palestinese. Dichiarazioni che hanno alimentato la rabbia del mondo arabo e complicato ulteriormente le trattative.
Le famiglie degli ostaggi e la pressione interna su Netanyahu
Intanto, in Israele cresce la pressione interna. Le famiglie degli ostaggi hanno contattato i mediatori israeliani chiedendo di non rompere la tregua, mentre centinaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv per protestare contro la gestione della crisi da parte del governo. Finora, in cinque scambi, sono stati liberati 16 ostaggi israeliani, ma ne restano ancora 17 per completare la prima fase dell’accordo.
La possibilità di un’escalation
Se Hamas non rilascerà gli ostaggi entro il termine stabilito, l’offensiva israeliana potrebbe essere brutale. Smotrich ha minacciato di prendere “il 5% di Gaza per ogni ostaggio non liberato”, mentre altri esponenti del governo parlano apertamente di una campagna militare senza precedenti.
Dall’altra parte, Hamas continua a opporsi con fermezza, ritenendo che Israele stia cercando di sfruttare la tregua per ottenere vantaggi senza rispettare i termini dell’accordo. La situazione potrebbe degenerare rapidamente, lasciando i civili palestinesi ancora una volta intrappolati tra le ambizioni geopolitiche delle potenze coinvolte.
Crediti immagine copertina: Omar Al-qattaa/AFP