Il sud del Libano si trova nuovamente al centro di una crisi che minaccia di innescare una nuova escalation militare nella regione. Nonostante l’accordo di tregua tra Israele e Hezbollah firmato nel novembre 2024 prevedesse il ritiro completo delle forze israeliane dal territorio libanese entro il 18 febbraio 2025, Tel Aviv ha annunciato che manterrà cinque postazioni strategiche oltre la scadenza prevista. Una decisione che, di fatto, crea una zona cuscinetto lungo il confine, con il sostegno degli Stati Uniti.
Israele non si ritira: una violazione degli accordi
La mancata fine dell’occupazione israeliana sta causando gravi tensioni sul campo. Molti sfollati libanesi, desiderosi di tornare alle proprie abitazioni dopo mesi di bombardamenti, si trovano a dover affrontare la resistenza dell’esercito israeliano. Già lo scorso 27 gennaio, un tentativo di rientro nei villaggi occupati si è concluso in tragedia: le forze israeliane hanno aperto il fuoco, uccidendo oltre 20 civili. Solo due giorni fa, un nuovo episodio di violenza ha causato la morte di una donna e il ferimento di altre persone nei pressi di Houla.
Hezbollah ha reagito duramente alle violazioni dell’accordo. Il leader Naim Qassem ha dichiarato che Israele “deve ritirarsi da tutto il territorio libanese occupato entro il 18 febbraio, senza scuse o pretesti” e ha sollecitato lo Stato libanese a prendere una posizione ferma sulla questione. Tuttavia, la leadership libanese, sotto la presidenza di Joseph Aoun, sembra essere sotto pressione internazionale, con gli Stati Uniti che continuano a esercitare un’influenza determinante sulle decisioni del governo.
Inoltre, secondo fonti locali, Israele ha ulteriormente rafforzato le proprie postazioni con nuove strutture difensive e ha intensificato le operazioni di pattugliamento, dimostrando la volontà di consolidare la sua presenza nel sud del Libano. Questo rafforzamento, accompagnato da nuove incursioni aeree e operazioni di sorveglianza con droni, ha alimentato il timore che Israele intenda stabilire una presenza militare permanente, in violazione diretta dell’accordo di cessate il fuoco.
La situazione appare particolarmente critica alla luce delle dichiarazioni di alcuni funzionari israeliani, secondo cui il ritiro completo non avverrà finché non saranno garantite “condizioni di sicurezza adeguate”. Tuttavia, questa giustificazione viene respinta dalle autorità libanesi e da Hezbollah, che vedono nella permanenza israeliana un chiaro tentativo di controllo del territorio. L’ONU e diversi osservatori internazionali hanno espresso preoccupazione per l’instabilità generata da questa situazione, sollecitando il rispetto degli accordi firmati.
Pressioni internazionali e interferenze politiche
La tensione tra Israele e il Libano non si limita al fronte meridionale. Recentemente, il governo libanese ha revocato l’autorizzazione a un volo da Teheran a Beirut, una mossa che molti interpretano come il risultato delle minacce israeliane di bloccare con la forza presunti trasferimenti di fondi iraniani a Hezbollah tramite voli civili. La decisione ha scatenato proteste a Beirut, con accuse al governo di agire sotto dettami stranieri e di compromettere la sovranità nazionale.
Le pressioni internazionali sul Libano non si limitano solo alla questione della sicurezza. Gli Stati Uniti e diversi attori occidentali hanno condizionato il sostegno economico e finanziario del paese alla riduzione dell’influenza di Hezbollah all’interno del governo. Washington ha minacciato sanzioni contro funzionari libanesi e istituzioni finanziarie che intrattengono rapporti con il movimento sciita, aumentando le difficoltà di un paese già gravemente colpito dalla crisi economica.
L’Unione Europea, pur mantenendo una posizione più sfumata, ha espresso preoccupazione per la crescente dipendenza economica del Libano da finanziamenti iraniani e russi. Le istituzioni europee hanno chiesto una maggiore trasparenza nei flussi finanziari del paese e riforme strutturali che possano ridurre l’influenza delle fazioni armate nella politica nazionale.
Parallelamente, Israele continua a esercitare forti pressioni sulla comunità internazionale affinché Hezbollah venga dichiarato un’organizzazione terroristica in modo unanime, rendendo più difficile per il movimento accedere a risorse finanziarie e logistiche. La recente visita in Libano di Morgan Ortagus, vice inviato speciale per il Medio Oriente sotto l’amministrazione Trump, ha rafforzato la narrativa secondo cui il Libano deve “liberarsi” della presenza di Hezbollah per poter ricevere aiuti economici e militari dall’Occidente.
Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno giocando un ruolo chiave nelle pressioni sul Libano, cercando di limitare l’influenza iraniana nella regione. Riyadh ha ridotto drasticamente gli aiuti finanziari al Libano, condizionandoli a una presa di distanza più netta dal blocco Iran-Hezbollah. Questa strategia, se da un lato mira a isolare il movimento sciita, dall’altro sta aggravando le difficoltà economiche della popolazione libanese, che si trova intrappolata in una crisi senza precedenti.
Escalation militare e instabilità politica
Secondo fonti israeliane, Tel Aviv intende triplicare il numero di truppe schierate lungo il confine con il Libano rispetto all’inizio della guerra, mantenendo la “libertà d’azione” per attaccare obiettivi a sua discrezione. Gli attacchi con droni e i raid aerei su obiettivi strategici di Hezbollah e Hamas dimostrano come Israele voglia mantenere la superiorità militare nella regione. Tuttavia, la continua violazione della tregua e l’uccisione di civili stanno aumentando il rischio di un’escalation su vasta scala.
Il rischio di un conflitto aperto è amplificato dalla crescente instabilità politica interna del Libano. Il sistema politico frammentato e confessionale rende difficile una risposta unitaria alle azioni israeliane, mentre le pressioni internazionali per escludere Hezbollah dal governo stanno alimentando nuove tensioni tra le diverse fazioni politiche.
Il malcontento popolare cresce, con proteste in diverse città libanesi contro la crisi economica e le ingerenze straniere. Nel frattempo, l’esercito libanese si trova in una posizione delicata, diviso tra il dovere di proteggere la sovranità nazionale e le pressioni esterne che ne limitano il margine di manovra.
Il futuro del Libano: tra diplomazia e conflitto
Mentre il rischio di una nuova escalation tra Israele e Hezbollah appare sempre più concreto, l’occupazione israeliana di cinque postazioni strategiche nel sud del Libano rappresenta una chiara violazione degli accordi e alimenta la tensione tra le parti.
Le prossime settimane saranno decisive per comprendere se la crisi potrà essere risolta attraverso la diplomazia o se il Libano sarà nuovamente teatro di un conflitto su vasta scala. Nel frattempo, migliaia di civili continuano a pagare il prezzo più alto di questa situazione instabile, tra bombardamenti, sfollamenti e violazioni della loro sovranità nazionale.
Crediti immagine copertina: WAEL HAMZEH