Il liberismo occidentale, il sionismo e le velleità dell’eurocentrismo storico della sinistra

A seguito dei recenti fatti di Roma che hanno visto l’annullamento della presentazione del libro di Yahya Sinwar, Le Spine il Garofano, a seguito degli attacchi rivolti al nostro direttore, Davide Piccardo, da più fronti, pubblichiamo questa importante riflessione a firma Alessio Galluppi e Michele Castaldo pubblicata sul blog La casualità del moto

« Fuori il terrorismo dall’Università », a invocarlo nei primi giorni di marzo era stata l’Unione dei Giovani Ebrei Italianiin un appello immediatamente sottoscritto dai Radicali Italiani, da Sinistra per Israele, dalle Comunità Ebraiche in Italia, da giovani socialisti, da Giovani di Forza Italia, da altre associazioni cattoliche e associazioni dell’Hasbara sionista, affinché l’Università la Sapienza di Roma revocasse i permessi concessi al Movimento degli Studenti Palestinesi, di realizzare il 5 marzo, in Italia, presso l’Ateneo di Fisica, la presentazione del libro autobiografico di Yahya Sinwar “Le spine e il garofano” con la partecipazione dell’editore Davide Piccardo della casa editrice Editori della Luce, di ispirazione islamica, che cura la pubblicazione del libro in Italia.

   L’appello « Fuori il terrorismo dall’Università » in cui si legge che « La Sapienza, una delle poche università ad aver contrastato i boicottaggi contro Israele e a essersi posta come baluardo della libertà accademica, ha ancora l’opportunità di impedire che si trasformi in una cassa di risonanza per il terrorismo », è divenuto da subito un caso politico nazionale la cui istanza è stata immediatamente sostenuta per giorni dalle principali testate dei quotidiani della liberal democrazia italiana – da la Repubblica, il Corriere della Sera, il Giornale e Il Messaggero – nel sostenerne le ragioni, riportando le richieste di Giovanni Donzelli e di Noemi Di Segni affinché la Facoltà di Fisica tornasse indietro sui propri passi e vietasse l’iniziativa.

   Il libro autobiografico di Sinwar, scritto durante i ventidue anni di prigionia nelle carceri israeliane, è attualmente censurato e vietata la sua pubblicazione in moltissimi paesi occidentali e dell’Unione Europea, così non è appunto in Italia grazie a un editore italiano che si è convertito all’islamismo, e in Irlanda, la cui edizione in quarta di copertina riporta « poiché Al-Sinwar è stato martirizzato mentre combatteva coraggiosamente contro il genocidio israeliano a Gaza, il romanzo emerge come un pezzo di letteratura vitale per chi cerca di comprendere le tensioni in corso in Medio Oriente. È più di una semplice storia… Con il martirio di Al-Sinwar, il suo romanzo rappresenta sia una riflessione sul passato che una visione profetica sul futuro della regione ».

   Di fatto il libro avanza la ragione degli oppressi che si fa resistenza per necessità, trovando testamento scritto nella persona Yahya Sinwar, morto combattendo, che diviene eredità dei vivi che non si possono e non si vogliono arrendere.

   Intorno alla iniziativa promossa dagli studenti palestinesi dentro l’università si coagula il riflesso di una sfida storica, teorica e politica nei confronti delle nazioni occidentali, per cui anche la parola scritta di un morto fa paura. L’università è appunto il luogo, come scrive la propaganda occidentale, ben interpretata dal liberismo sionista, che deve onorare i valori dell’ideologia occidentale di democrazia e libertà il cui mito scricchiola, causa, una profonda crisi che sta attanagliando l’Occidente e conducendo l’Europa verso la sua dissolvenza.

   E’ evidente che l’operazione editoriale intrapresa dall’editore italiano sia influenzata da un punto vista di quell’islamismo che cerca faticosamente di porsi in competizione con l’Occidente circa l’ordine attuale in Medio Oriente. Mentre per gli studenti palestinesi è il riflesso della necessità della resistenza che non si è piegata davanti al genocidio di Gaza e cerca di non piegarsi ora dinanzi a una ancora più cruenta pulizia etnica in Cisgiordania. Pertanto, mentre era scontata la revoca dei permessi a tenere l’iniziativa da parte delle istituzioni universitarie, perché solo gli illusi non comprendono che in questa fase per le speranze della democrazia occidentale il genocidio del popolo palestinese è un male necessario, come scrive gran parte della stampa, e dunque la censura è una ragione vitale della democrazia, gli studenti palestinesi, nonostante il fuoco politico dell’establishment e le minacce fisiche ricevute da parte di gruppi sionisti, ribadivano la volontà di mantenere l’iniziativa,.

   Gli studenti palestinesi, dalla loro parte, oltre una usuale retorica circa gli spazi democratici negati, hanno trovato in larga misura silenzio e indifferenza dalla larga parte della sinistra e gruppi di attivisti che in un primo momento si erano attivati in solidarietà con la Palestina. Un silenzio rotto solo dal boicottaggio realizzato da parte di aree cosiddette antagoniste di “estrema” sinistra, con la motivazione che l’editore – appunto un italiano che si è convertito all’Islam – non è persona gradita alle stesse, andando così a rafforzare le condizioni politiche per le quali i Collettivi degli studenti universitari hanno revocato il loro appoggio all’iniziativa che il Movimento degli Studenti Palestinesi stava a quel punto organizzando nonostante i divieti in una delle aule “autogestite” della Facoltà di Lettere.

   Dalla retorica condanna verso la censura imposta e la rinnovata solidarietà alla resistenza palestinese, i collettivi degli studenti di “estrema” sinistra sono passati a ribadire che: « ci teniamo a specificare, che nonostante il divieto annunciato dall’Ateneo, la decisione del rinvio è stata frutto di considerazioni politiche legate alla scelta, per noi inadeguata, di invitare il relatore di cui prima ».

   In sostanza chi col silenzio e chi con l’aperto sabotaggio gli ultimi epigoni dell’”estremismo” di sinistra, fuori e dentro l’Università, si sono piegati al volere di sua maestà dell’establishment. Quale il motivo? perché Davide Piccardo fu invitato a partecipare a fine novembre 2024 a una conferenza su “Palestina e Libano, dallo scontro di civiltà alla guerra civile globale” promossa dall’organizzazione di destra neo fascista CasaPound, che essendo appunto uomo di convinta fede islamica, si illude di far breccia nei cuori e democraticamente salvar le anime, mentre la destra neo fascista prova a giocare carte che non ha nel tentativo di strumentalizzare a fini nazionalisti di un paese imperialista, quale è l’Italia, il punto di vista in competizione di certe correnti islamiche nei confronti del liberismo occidentale.

   Ora noi non conosciamo Davide Piccardo, tantomeno ci interessano le sue ragioni politiche e ideologiche, perché non è di questo che si tratta. Semmai bisognerebbe riflettere come mai in tutta Europa solo una casa editrice di ispirazione islamista abbia pubblicato l’autobiografia di Sinwar, guadagnandosi fin da subito la messa al bando da parte del mondo della cultura e dell’editoria che conta, mentre sempre in Europa la stessa pubblicazione non ha trovato alcuno sponsor nella cosiddetta editoria underground e di sinistra e in Irlanda il libro è stato pubblicato mediante le piattaforme free press internet e on-demand. Ci appare evidente che non è per un incidente di percorso del Piccardo che si è ritenuta inadeguata l’iniziativa che gli studenti palestinesi intendevano organizzare. Sicuramente più di un sospiro di sollievo c’è stato a sinistra quando ha trovato “inappuntabili” motivazioni – contro il fascista di turno –  e ha estratto dalle mani la spinosa questione gettando via tutto il garofano.

   Tirando le somme per noi è chiaro che si sia trattato e si tratta del voler esser ciechi, muti e sordi di fronte a una resistenza reale che non si esprime come “piace a noi” da parte dell’”estremismo” di sinistra e che abbiamo sostenuto e argomentato in questi  mesi in più articoli, una necessità di resistenza che trova in Hamas la sua espressione e sintesi unitaria, che attrae in contrapposizione alla rassegnazione e alla collaborazione con Israele anche quel che rimane delle forze politiche palestinesi delle vecchie formazioni laiche di sinistra.

   Il fatto, già di per sé grave se considerato all’interno del contesto di aggressione politica generale e verbale subita da una organizzazione di giovani palestinesi da parte delle forze politiche e istituzionali filosioniste, non è circoscritto alla sola dialettica politica di basso rango cui la sinistra cosiddetta antagonista continua a dar prova di sé. Richiama fattori storici, materiali e politici ben più generali, senza i quali risulta incomprensibile tanta cretineria politica, che comunque abbonda. Ci troviamo in presenza di come di fronte alla crisi dell’Occidente in maniera composita e articolata in Europa e in Italia le ragioni della democrazia, dell’antifascismo ideale e delle libertà individuali raggiunte, valgono di più delle ragioni della resistenza dei palestinesi chiamati dalla sinistra a rivedere le loro priorità.

   Questa è una dinamica generale che si dà in ogni paese dell’Occidente a seconda dei casi specifici e in maniera differenziata nei confronti della mobilitazione composita e internazionale a sostegno della causa palestinese. Lo è stato negli Stati Uniti d’America, per cui le comunità degli arabi e palestinesi negli USA, così come degli afroamericani, avrebbero dovuto soprassedere e votare per Kamala Harris contro il “male peggiore” Trump, che prometteva e promette di portare l’inferno in Palestina per annientare Hamas, annichilirne la resistenza e completare l’opera di pulizia etnica – che è l’obiettivo condiviso di Israele e in solido di tutti i paesi occidentali. Lo sta divenendo in maniera più pressante in Italia e in Europa che si trova alle prese con l’esaurirsi di un ciclo storico ascendente che l’ha vista dominare il mondo per 500 anni, per cui si tratta di sostenere tutte le forze politiche “non sovraniste” e la resistenza in Ucraina contro la Russia, difendere la democrazia in Europa contro il “neo populismo” trumpiano che l’attacca dall’esterno e i sovranismi europei dall’interno, contrastare la propria dissolvenza e continuare a mantenere il dividendo del bottino coloniale e imperialista. In sostanza lo scricchiolio dell’Europa, messa alle strette, dà impulso a un’onda che si propaga anche a sinistra in cerchi concentrici, anzi eurocentrici.

Esageriamo?

Guardiamo i fatti: è un fatto incontestabile che il Collettivo degli studenti universitari di sinistra, ben istruito da una composita area cosiddetta antagonista, dentro e fuori l’università, ha deciso di non concedere agli studenti palestinesi l’uso dell’aula “autogestita” della facoltà di Lettere, dunque uno spazio che da decenni i comitati degli studenti di sinistra utilizzano grazie a un patto informale che si rinnova di generazione in generazione tra  l’università e i gruppi di estrema sinistra universitaria, motivando la decisione per motivi di “inadeguatezza”.  

   Il risultato finale richiama una domanda schietta la cui risposta svela uno storico rapporto materiale: in virtù di quale prerogativa un collettivo di studenti universitari di sinistra può usare uno spazio per sé dentro l’università e in virtù di quale prerogativa, però, lo stesso collettivo può non concederlo per propria scelta ad una organizzazione di giovani studenti e militanti palestinesi, se non proprio per il rapporto diseguale e di dominazione che l’Occidente ha sul Medio Oriente e sulla Palestina? Se abbiamo onestà intellettuale non possiamo che ammettere che il giudizio di inadeguatezza sintetizza proprio bene un intero ciclo della storia e il rapporto che un modo di produzione ha determinato tra il movimento di classe dei lavoratori in Occidente verso i movimenti di lotta anticoloniali, il rapporto tra le nazioni imperialiste dell’Europa e degli Stati Uniti e il resto del mondo colonizzato, rapporto di cui, siamo sicuri, la storia presenterà (lo sta già presentando) il conto definitivo e la Palestina è solo la punta dell’iceberg di questo moto storico.

   Per farla breve: siamo a un cambio storico di fase del moto-modo di produzione capitalistico dove lo sviluppo generale dell’accumulazione, anche se in modo combinato e diseguale, cresceva e manteneva un rapporto tra paesi dominanti e paesi ancora dominati, e di riflesso nei paesi dominanti tendeva a consolidare la contraddizione tra paesi cosiddetti democratici e paesi cosiddetti non democratici. Ragion per cui tutte le classi dei paesi cosiddetti democratici, allevate a cascata grazie a un rapporto di dominio, potevano a buon diritto difendere la “democrazia” contro i paesi cosiddetti non democratici da sfruttare.

   Oggi quel tipo di rapporto è messo in discussione.

   Sicché la resistenza palestinese non può avere gli stessi canoni, dunque non è quella che piace a “noi”, non si conforma secondo le condizioni materiali che hanno determinato il movimento operaio e la sinistra in Occidente il cui proprio punto di vista – come classe sociale che si riproduce nelle relazioni conflittuali della società determinata dal mercato – si dà attraverso la difesa delle condizioni materiali della democrazia delle più potenti nazioni che col resto del mondo hanno scambiato ricchezza e risorse dando in cambio schiavitù, razzismo e guerra.

   Condizioni materiali che hanno definito la soggezione delle classi lavoratrici e dei partiti che le rappresentavano, in Occidente, nei confronti proprio dei 500 anni di colonialismo e in particolar modo nei confronti degli ultimi 200 anni di tumultuoso sviluppo delle civiltà liberali e democratiche delle nazioni europee e occidentali, che proprio nel solco di tale processo storico ascendente avevano potuto conquistare spazi di agibilità politica e di “libertà di lottare”, in sostanza di sviluppare un antagonismo dei lavoratori nell’ambito democratico.

    Mentre oggi la resistenza palestinese, punta dell’iceberg, come anche la ribellione dei popoli del Sahel, mettono in seria discussione il futuro di pace, di libertà e di prosperità colonialista dell’Europa, perché si va concludendo un ciclo storico, vengono messe in discussione anche le condizioni materiali delle classi lavoratrici e dei partiti di sinistra che le rappresentavano in Europa e in tutto l’Occidente.  

   Chi in Occidente si rifà al comunismo, come movimento ideale, deve sottrarsi dal rappresentarsi una visione che poteva avere delle ragioni materiali prima ma che oggi svaniscono. È questa la verità storica, di conseguenza teorica, politica e, dunque, pratica. È questa la ragione per cui si moltiplicano i partiti corporativi, perciò nazionalisti e di destra in tutto l’Occidente e la sinistra, per come si era sviluppata, si liquefà. Ed è la stessa ragione per cui chi oggi in Occidente non è capace di fare un bilancio chiaro e definitivo sulla fase storica che è altra cosa dal passato, è costretto a rincorrere le classi lavoratrici in Occidente su un terreno nazionalista come una Sahra Wagenknecht, tanto per citarne una che sembrava in voga solo fino a qualche mese fa mentre proprio in Germania alla brutta copia di “sinistra” gli operai hanno preferito l’originale di destra della AFD.

   Sia chiaro: non si tratta di condannare la volontà politica di gruppi, associazioni, singoli militanti per certi comportamenti, come purtroppo la sinistra sul piano storico era abituata a fare, ma di cogliere nelle ragioni materiali i comportamenti delle persone che vengono coinvolte in fatti come l’episodio di cui stiamo trattando in questa sede. Siamo costretti perciò a registrare che  mentre la mobilitazione a sostegno della Palestina per ribaltare il corso del genocidio sconta una evidente difficoltà, prendiamo atto che la cancellazione della presentazione della autobiografia di Sinwar dall’università è il primo vero successo politico che l’establishment occidentale può vantare nei confronti di 15 mesi di resistenza in Palestina e di mobilitazione internazionale. Dopo che le mobilitazioni nei campus universitari non sono riuscite a mettere in difficoltà la collaborazione delle università con Israele e fermare la collaborazione col genocidio. E pazienza  se le ragioni della resistenza sono state silenziate e temporaneamente messe al bando dentro una delle più importanti università italiane. Vuol dire che sono prevalse ancora le ragioni della democrazia liberista che hanno imposto anche a giovani volenterosi di sinistra di retrocedere.

   Ovviamente esprimiamo ai compagni e alle compagne del Movimento Studenti Palestinesi, come alla Casa Editrice, la nostra totale solidarietà contro la campagna politica filo sionista che ha poi favorito anche le condizioni del loro isolamento politico tra le varie compagnerie di certa sinistra. Sappiamo ben distinguere la forza dei dominatori e la debolezza dei dominati come il dominio del corruttore nei confronti del corrotto. Speriamo che il Movimento Studenti Palestinesi possa realizzare l’iniziativa di presentazione del libro autobiografico Le spine e il garofano di Yahya Sinwar, esattamente per come originariamente pianificato con la casa editrice e l’editore stesso, in qualsiasi luogo se non dentro l’università, almeno nei suoi pressi. Per quanto ci compete e nelle nostre misere possibilità siamo pronti a fare la nostra parte. Non lo facciamo per motivi di democrazia o di libertà di pensiero critico e di dialogo verso chiunque, ma perché il confronto con il punto di vista islamista che si esprime nella lotta di resistenza contro il colonialismo e la verifica degli obiettivi storici generali che sono posti dalla crisi di un modo di produzione generale e dunque dell’impianto colonialista che lo alimenta, richiede l’adesione senza condizioni alle necessità di cui questa resistenza è espressione, per come essa le esprime e le rappresenta.

   Dunque tutto il contrario di una opportunistica presa di distanza adducendo motivi di idealità, affinché l’essere al fianco della resistenza palestinese fino alla vittoria non rimanga solo una vuota retorica e anche figlia di un dio minore.

Algamica (Alessio Galluppi, Michele Castaldo)