Nel nostro tempo profondamente segnato dall’incertezza, dalla frammentazione e dal ritorno della violenza su larga scala (a re-innescare quel fenomeno che Lucio Caracciolo ha definito in una recente pubblicazione “ritorno della Storia”) si acuisce la necessità della Testimonianza, ovvero del racconto pregno di significato, della narrazione simbolica, dell’esempio.
La vicenda di Giuliano Delnevo, giovane italiano convertitosi all’islam e caduto combattendo contro le truppe di Bashar al-Assad nel 2013 in Siria, ha sicuramente i crismi di tale Testimonianza. Non tanto e non solo per il credente musulmano, che pure la storia di Delnevo interroga direttamente, quanto perché sfida apertamente il canone etico del suo tempo, che è poi il nostro (credenti e non, musulmani e cristiani).
Il Giuliano “Ibrahim” disegnato dalle pagine che il padre Carlo, con lucido affetto e profonda consapevolezza, dedica a suo ricordo ne “Mio Figlio Musulmano. Martire in Siria” (2024), recentemente edito da Editori della Luce è infatti profondamente cosciente della sua epoca e, al contempo, radicalmente distante da essa; la sua storia ci è comprensibile ma ci supera; nel racconto, estremamente fruibile, che Carlo Delnevo dedica ad alcuni episodi puntuali ma significativi della loro vita insieme, si scopre tanto e poco di Giuliano. Attraverso tali significative impressioni la sua storia si dipana a sprazzi, senza esaurire così la propria carica poetica. Il ritratto del ragazzo non coincide con la caricatura che il sistema mediatico italiano ne ha fatto, anche se in fondo questo non stupisce, essendo la religione islamica raramente oggetto di serio dibattito su piattaforme (soprattutto quella televisiva) che si prestano costitutivamente alla strumentalizzazione. Il tempo e la fatica della lettura restituiscono in effetti la complessità, la poesia, la tragedia della vita umana come difficilmente la televisione o un roboante editoriale possono fare.
In ogni caso, al netto della legittima riabilitazione della figura di un giovane “controcorrente” da parte di suo padre, “Mio figlio musulmano. Martire in Siria” non è una agiografia. Giuliano Delnevo è insomma un ragazzo (genovese) all’apparenza come altri. Non fa miracoli, non è un genio né un intellettuale. Tuttavia ha in dono una profonda, intransigente sincerità: come scrive Carlo, “Giuliano è stato uno di quegli uomini, pochi, che, conoscendo il proprio destino, non vi si sottraggono”. La sua ribellione, se così si può chiamare, contro l’aspettativa borghese del padre, non è mai sopra le righe, chiassosa, volgare: Giuliano si è limitato a comprendere quale fosse “la sua via” e a ridimensionare (in ciò sta forse la sua grandezza) gli ostacoli contingenti (il contesto culturale d’origine, uno stile di vita confortevole, la sicurezza economica e fisica). Con sereno coraggio Giuliano ha abbracciato l’islam; con altrettanto coraggio ha combattuto per la causa della rivoluzione siriana ed è morto per essa. Lo ha fatto senza protagonismo né clamore, privo di quella cassa di risonanza che contraddistingue invece buona parte delle scelte dei giovani suoi coetanei, più mondani ma meno autentici; più compiacenti e meno virili. Il padre Carlo descrive un ragazzo introverso, affettuoso e sensibile, capace di comprendere ed empatizzare con i suoi simili. Senza voler fare della critica sociale spiccia, è però giocoforza notare che Giuliano doveva necessariamente faticare nel rispondere al modello che la vita gli aveva preparato.
Pur attenendosi quanto più possibile alla logica della recensione di un testo, è comunque lecito affermare per chi scrive di poter cogliere nella scelta spirituale di Giuliano e nella sua chiamata alla lotta armata in Siria i tratti dell’ideale, del dramma romantico, dell’episodio che si fa Storia; ha ragione dunque Carlo a ribattere ai denigratori del figlio che, se in fondo la società contemporanea taccia Giuliano di violenza o fanatismo, è perché essa ha abolito dal suo lessico parole come coerenza, coraggio, lealtà e fede. Questa la duplice ragione per cui si consiglia a tutti (musulmani e cristiani, credenti e atei) questa lettura provocante: onorare la memoria di un combattente la cui vicenda, immediatamente strumentalizzata, è caduta poi nell’oblio, all’indomani del trionfo della rivoluzione siriana (in occasione della quale “Il figlio musulmano” è riedito in questa seconda edizione); riflettere sulla nostra contemporaneità frammentata, e prendere coscienza che una vita pregna di valore è possibile, come la Testimonianza di Giuliano afferma.