L’appello che ieri questa testata ha promosso, l’ “Appello alla comunità islamica italiana per una manifestazione nazionale contro il genocidio a Gaza”, non è soltanto un invito a superare, o almeno a mettere da parte, le divisioni, spesso meschine, che costellano e accompagnano da decenni l’associazionismo espressione della nostra comunità in nome di una causa tragicamente più grande e più urgente, la causa del popolo palestinese, che mai come ora è minacciato nella sua stessa sopravvivenza ed esistenza.
È l’occasione di mostrarsi realmente degni di questa pretesa di rappresentanza comunitaria, perché non è questa solo questa testata a chiedere unità ed azione, sono in primo luogo i nostri fratelli e sorelle in Italia a chiederlo, a chiedere che ogni sforzo, in ogni sua possibile sfumatura, converga, da sforzo individuale, in uno sforzo comunitario che trovi una guida che lo conduca alla produzione di risultati concreti nella società italiana di cui è ormai parte. Non v’è diritto né pretesa di rappresentanza se non si riesce a cogliere le istanze che provengono dalla comunità e dar loro voce. Quella non è rappresentanza, è autoreferenzialità. Sottoscrivere questo “Appello” non è una cessione di potere, non é una cessione di rappresentanza, é un atto di coraggio per andare oltre le divisioni in nome del bene superiore della nostra collettività e della nostra fede. Non è più il tempo di trincerarsi dietro letture geo-politiche, che pure hanno avuto, ma non hanno più, le loro ragioni.
La storia dell’Islam, sin dalle sue origini, non è stata scevra di pavidi silenzi, di vergognose inerzie, di ipocrite connivenze. Quindici secoli dopo la Rivelazione, a che punto siamo? Dove stiamo andando? Chi ha il potere e gli strumenti per influire sui mass media, lo faccia, i principali esponenti dell’associazionismo islamico in Italia e delle sue rappresentanze istituzionali si ritrovino sullo stesso palco finalmente non per dissociarsi, come da altri preteso, da un terrorismo islamico cui non si sono mai associati ma per condannare il terrorismo scellerato, coperto dal manto del beneplacito internazionale, di cui sono vittima i loro stessi fratelli e le loro stesse sorelle. Ne guadagneranno in credibilità e ne guadagneranno davanti a Dio, Che d’ogni azione tiene conto. Scandiscano una volta ancora l’ormai abusato “NON IN MIO NOME”, ma lo scandiscano, in nome di Dio, per una causa autentica.
Se, inshAllah, la manifestazione che questa testata sta cercando di promuovere si concretizzerà, quel giorno, per i musulmani italiani, segnerà un giro di boa nella nostra storia. Ognuno si guarderà allo specchio. A nessuno sono chiesti atti di eroismo, ma sapremo chi avrà superato la condanna silente, se almeno questa alberga nel suo cuore, per almeno un gesto palese di condanna e di sostegno al popolo palestinese. Il popolo martire della nostra Ummah. Ogni maschera, davanti allo specchio, cadrà. E chi avrà almeno mosso un passo potrà camminare senza vergogna e senza ipocrisia tra i suoi fratelli e le sue sorelle. E chi sarà rimasto indifferente, per disinteresse o per calcolo, potrà anche egli camminare senza vergogna e senza ipocrisia. Perché tutto sarà ormai chiaro.
Assomigliano a chi accende un fuoco; poi, quando il fuoco ha illuminato i suoi dintorni, Allah sottrae loro la luce e li abbandona nelle tenebre in cui non vedono nulla (Corano, La Giovenca, 17).