Il volto del sionismo: un milione di palestinesi arrestati e l’impunità dell’apartheid dal 1967 ad oggi

Nel silenzio assordante di gran parte della comunità internazionale, si consuma da decenni una delle più gravi violazioni dei diritti umani del nostro tempo. Dal 1967 alla fine del 2024, secondo i dati delle organizzazioni dei prigionieri palestinesi, il regime sionista israeliano ha arrestato circa un milione di palestinesi. Un milione. Dietro questa cifra impressionante si cela la sistematica persecuzione di un intero popolo, il popolo palestinese, sotto l’occupazione coloniale israeliana, mascherata da legittima difesa ma in realtà incarnazione concreta dell’ideologia sionista.

Questo dato raccapricciante include oltre 50.000 bambini di età inferiore ai 18 anni e più di 17.000 donne e ragazze, tra cui madri. Si tratta di numeri che parlano da soli: una repressione di massa, portata avanti con metodi che violano ogni principio del diritto internazionale e umanitario. È evidente che non si tratta di semplici “misure di sicurezza”, ma di una politica sistemica, intenzionale, il cui scopo è spezzare la resistenza palestinese e annientarne l’identità nazionale. Una strategia coerente con l’essenza stessa del sionismo, fondato sulla supremazia etnica, sull’esclusione e sulla pulizia etnica.

Un sistema di oppressione strutturata

Secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, i civili nei territori occupati devono essere protetti contro “la coercizione fisica o morale”, compresi arresti arbitrari e torture. Eppure, Israele ha fatto esattamente il contrario. Le detenzioni amministrative – senza processo né accusa formale – sono una pratica quotidiana. Bambini vengono strappati dai letti nel cuore della notte, interrogati senza avvocati o genitori, spesso torturati psicologicamente e fisicamente per estorcere confessioni o informazioni. Questa è una chiara violazione della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, che Israele ha ratificato ma sistematicamente ignora.

Il sistema carcerario israeliano, destinato ai palestinesi, è parte integrante dell’apparato coloniale. Non è semplicemente un “effetto collaterale” della guerra: è uno strumento deliberato di controllo e terrore. Il sionismo, in quanto ideologia, considera la presenza palestinese come un ostacolo all’egemonia demografica e territoriale ebraica. Di conseguenza, ogni espressione di identità palestinese – politica, culturale, sociale – viene trattata come una minaccia esistenziale da reprimere.

Il sionismo: un progetto coloniale incompatibile con i diritti umani

Il sionismo, nato come movimento nazionale ebraico, si è trasformato in un progetto coloniale moderno che ha imposto uno Stato su un territorio abitato da un altro popolo. Il risultato è stato la Nakba del 1948 – la catastrofe – e una continua catena di espropriazioni, espulsioni, demolizioni di case, e oggi, la brutale realtà dell’apartheid. Organizzazioni internazionali come Human Rights Watch, Amnesty International e persino rapporti dell’ONU hanno documentato chiaramente come Israele stia praticando l’apartheid nei confronti del popolo palestinese.

Il diritto internazionale proibisce la discriminazione razziale sistemica e l’oppressione di un gruppo etnico da parte di un altro. La Convenzione sull’Apartheid del 1973 definisce il crimine di apartheid come atti disumani commessi “con l’intento di stabilire e mantenere la dominazione di un gruppo razziale su un altro”. È esattamente ciò che Israele, in nome del sionismo, fa ogni giorno.

L’impunità e la responsabilità della comunità internazionale

Il problema non è solo ciò che Israele fa, ma ciò che il mondo permette che venga fatto. L’impunità con cui lo Stato sionista agisce è garantita dal silenzio complice delle grandi potenze e da un sistema mediatico che spesso criminalizza la vittima e umanizza il carnefice. Le condanne verbali non bastano. Le stesse norme che hanno processato criminali di guerra nei Balcani, in Ruanda e altrove, valgono anche per Israele. Il fatto che questo Stato non venga mai sottoposto a vere sanzioni, nonostante decenni di crimini documentati, è uno scandalo morale e politico.

L’arresto arbitrario di un milione di persone, tra cui bambini e madri, non può essere considerato una questione “di sicurezza”. È terrorismo di Stato. È colonialismo. È apartheid. Ed è, soprattutto, la diretta conseguenza di un’ideologia – il sionismo – che deve essere riconosciuta come incompatibile con i valori universali di giustizia, libertà e uguaglianza.

È tempo che la comunità internazionale smetta di nascondersi dietro la retorica della “complessità” e affronti la realtà: il sionismo ha prodotto uno Stato basato sull’oppressione, l’esclusione e la violenza. Finché non verrà smantellato questo sistema di apartheid, finché i criminali di guerra non saranno chiamati a rispondere davanti alla giustizia internazionale, la sofferenza del popolo palestinese continuerà.

E noi, come esseri umani, abbiamo il dovere di non restare in silenzio.

Crediti immagine copertina: AFP