Nell’ Italia contemporanea, per ogni bambino ci sono cinque anziani. Negli anni cinquanta del secolo scorso, il rapporto era di un bambino per ogni anziano. L’Italia dei giorni nostri, l’Italia del Covid, di Conte, della gente con la mascherina anche quando cammina sola in cima a un monte, l’Italia che batte il record europeo e si piazza ai primissimi posti al mondo per i decessi dovuti a questa forma influenzale, questa nostra Italia è un paese di anziani; insieme al Giappone, è il paese più vecchio del mondo.
L’Italia è dunque un paese dove gli anziani sono tanti, tantissimi; un paese con un tasso di natalità fra i più bassi al mondo, forse il più basso in assoluto; un paese dove ogni donna ha in media 1,34 figli, e semplicemente per sostituire i decessi sarebbero necessari 2,1 figli a donna. Gli aborti, dal 1978 a oggi, cioè da quando è stato possibile tenerne ufficialmente il conto, hanno superato i 6.000.000. Sei milioni di persone mai nate, sei milioni di esseri umani che mancano all’appello. Anche senza voler entrare nel merito dell’interruzione della gravidanza, e della sua liceità, 6 milioni di aborti sono comunque un numero che fa impressione, che dovrebbe far riflettere.
Nonostante la classe politica italiana, e in misura particolare la coalizione governativa, abbia sposato senza riserve e rigidamente tutto quello che i “tecnici”, e cioè medici e specialisti del settore proponevano, sottoponendo l’Italia a una serie di chiusure e di misure draconiane volte a frenare il contagio, il nostro paese è tra i primi al mondo e il primo in Europa per numero di vittime. Si discute sulle cause che stanno dietro a questo non invidiabile primato, ma senza dubbio il grande numero di anziani presenti sul territorio italiano è fra le cause di questa mortalità da primato. Certo non l’unica, ma non la meno importante, l’età media delle persone decedute per Covid19 è di ottant’anni.
L’Italia è un paese affollato da persone che hanno superato, e da un pezzo, la sessantina. E se la senescenza della popolazione viene in qualche modo contrastata, lo si deve soprattutto ai migranti; lo si deve a quegli asiatici, a quegli arabi, a quei magrebini, a quegli africani, a quegli slavi, a quei sudamericani che negli ultimi decenni sono arrivati a casa nostra, e senza i quali il paese non sarebbe letteralmente più in grado di andare avanti, ma contro i quali, e basandosi sostanzialmente sul timore che lo straniero sempre ha generato nelle popolazioni autoctone, la destra ha cercato e cerca consenso.
I migranti provengono da mondi poveri, mondi dove rari sono coloro che hanno la vita garantita da previdenze, da un certo benessere e dalla carta di credito, eppure sono dotati d’istinto vitale; amano la vita, e forse senza farsi troppe domande procreano, mettono al mondo figli, perché hanno chiara una verità che il nostro mondo ha dimenticato: la prole è ricchezza, e per chi non ha altro, l’unica ricchezza possibile. Il proletario, colui che possiede solo la prole; ne parlava Karl Marx.
Eudemonismo è parola dotta, difficilmente la si sentirà pronunciare in una conversazione al bar, o in qualche talk show televisivo, forse neppure in quelli che hanno pretese culturali. Eppure eudemonismo è il termine che racchiude in sé la filosofia spicciola dominante del nostro tempo. Eudemonismo è quella dottrina secondo cui il senso della vita risiederebbe nella ricerca della felicità che in essa si può trovare; che la ricerca della felicità è lo scopo della vita; oltre a ciò, nessun piano trascendente, nessun mondo morale; al di là di ciò, non c’è nulla, non c’è altro.
Ovviamente la felicità è intesa come piacere, benessere fisico e mentale che una buona vita, buona perché si è indovinato il percorso giusto, può procurare. Che poi questo piacere derivi dal sesso, dal denaro, dal potere, dalla droga o da una passeggiata in montagna, o da tutte queste cose insieme, è tutto sommato secondario.
Ma se la vita non ha senso, o se il suo senso consiste solo nel piacere che in essa si può trovare, all’orizzonte resta solo un mondo piccino e ristretto, un mondo dove oltre al possesso e al consumo non c’è altro; un mondo dove, sposarsi, formare una famiglia, mettere al mondo dei figli, sacrificarsi per loro, diventa spesso un’opzione poco gradita e una gravidanza può diventare un peso intollerabile, uno spiacevole incidente che è meglio evitare, perché ci sono cose più importanti dei figli: la carriera, il benessere, lo status sociale, il proprio piacere, soprattutto.
Se poi un figlio lo si desidera, non importa se dopo i quarant’anni, quando ogni desiderio materiale e ogni ambizione sono stati soddisfatti, oppure se si è scelto di unirsi ad un partner dello stesso sesso, allora ci si potrà rivolgere alla tecno-scienza per ottenerlo ricorrendo all’utero in affitto e/o alla fecondazione artificiale, perché in questo nostro mondo, il mondo eudemonista, desideri e diritti tendono a confondersi e a fagocitarsi reciprocamente.