Una volta il nostro vocabolario era pieno di “francesismi”, poiché il francese, allora, era considerato la lingua colta, letteraria; poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, tramontò l’astro della Francia e il suo ruolo nella cultura (ormai assai più tecnologica che letteraria!) fu assunto dall’inglese. Leggete un giornale, un manifesto, ascoltate una trasmissione alla televisione o un contenuto sul web: dovunque troverete “inglesismi” a non finire! E certuni persino orribili a vedersi…
Nel Medio Evo, ai tempi di Dante, la lingua araba rivestì, in Europa, il medesimo ruolo che ha avuto il francese ieri e che ha l’inglese oggi e, da allora, molte parole arabe sono ancor vive nella nostra lingua odierna: si pensi, ad esempio, ai vocaboli della chimica – come “zucchero”, “soda”, “alambicco” e via dicendo –, a quelli della musica – come “liuto”, “ribeca”, “chitarra”, “trovatore” da trb = musica1 –, ecc., ecc…
Allora, infatti, la cultura araba appariva meravigliosa, quanto di meglio potesse esservi al mondo e principale centro di irradiamento di questa cultura (oltre alle Crociate, beninteso) fu la Spagna islamica.
Splendidi – a fronte delle cupe e rozze dimore europee – apparvero agli occhi dei viaggiatori i palazzi dei Califfi e l’Alhambra di Granada; e all’Università islamica di Toledo accorsero, per imparare, le più belle menti d’Europa; tale cultura penetrò poi profondamente nella Francia meridionale (specie in provenza), nella corte siciliana di Federico II, nella Toscana dei Medici e via dicendo; anche i monaci della celebre abbazia di Cluny si piegarono a studiare i testi sufici.
Ciò premesso, sorge spontanea una domanda: la cultura islamica ha influenzato Dante e, in particolare, la Divina Commedia?
I più, a tale quesito rispondono affermativamente; anzi alcuni giungono ad asserire che Dante avrebbe conosciuto l’arabo sì che il famoso e misterioso verso «Papé Satan, papé Satan aleppe» (Inferno VII, 1), altro non sarebbe che la trascrizione dell’arabo “Bāb ash-Shaytān, bāb ash-Shaytān, alabba”, che vuol dire: “È la Porta di Satana, è la Porta di Satana, fermati!” (ovvero: “allontanati, fuggi!”).2
Vi furono anche opere arabe – assai simili, nell’impostazione, alla Divina Commedia – che trovarono ampia diffusione in Europa in versioni latine e provenzali e quindi agevolente leggibili da Dante, anche se non avesse conosciuto l’arabo.
Al riguardo l’attenzione dei critici è appuntata soprattutto su “Il Libro della Scala” che descrive e commenta il famoso “viaggio notturno” (isrāʾ wa miʿrāj) compiuto dal Profeta Muḥammad (pbsl), sotto la guida dell’Arcangelo Gabriele, attraverso i tre Regni dell’Aldilà,3 fino a giungere ai piedi del Trono dell’Increato dove contemplò il Velo dello Sconosciuto Infinito.
Nel corso di questo viaggio mistico, che i più ritengono compiuto in stato di trance, Muḥammad, (pbsl), incontrò vari personaggi e profeti, da Adamo a Gesù e varie personificazioni di concetti e idee, dall’”Angelo delle Lacrime” alla “Perfezione”.
Le concordanze fra il suddetto “Libro della Scala” e la Divina Commedia sono davvero innumeri e riguardano non solamente l’impostazione generale dell’opera ma anche, assai spesso, singoli versi, concetti e simboli.
Altri influssi islamici, nella Commedia di Dante, si ritrovano:
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quanto al concetto generale, nel “Futūḥāt” (o “Libro delle conquiste spirituali”) di Ibn al-ʿArabī (nato in Andalusia nel 1165 e morto a Damasco nel 1240; fu uno dei più grandi teosofi mistici e visionari di tutti i tempi);
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quanto alla “legge del contrappasso”, su cui si basano castighi e premi del Poema dantesco, nelle opere di Avicenna (vissuto prevalentemente in Persia, tra il 990 ed il 1037).4
Pertanto: ove si voglia comprendere a fondo la Divina Commedia occorrerà non perdere mai di vista la cultura islamica di quei tempi, con particolare riguardo a quella praticata dai sufi, dai mistici e, più in generale, dai seguaci delle correnti sciite (vedasi in particolare la famosa setta degli Assassini – letteralmente: “i custodi, i guardiani”, guidata dal Vecchio della Montagna).
1Vedi Idries Shah, I Sufi: la tradizione spirituale del sufismo, Ed. Mediterranee, Roma 2004, p. 172.
2Armando Troni, “Un verso arabo nella Divina Commedia”, in Annali della Accademia del Mediterraneo, Vol. 2, (1954), pp. 97-100.
3Noti in arabo come Mulk, Malakūt e Jabarūt.
4In merito all’influenza di Ibn Arabi su Dante, il Guillaume (nel suo libro Islam, Penguin, Hammondsworth 1954) così dice: «enorme davvero fu tale influenza: il pensatore arabo fu il primo a descrivere l’Inferno, i cieli degli astronomi, il Paradiso dei beati, i cori degli Angeli moventisi intorno alla Luce divina, e la bella Donna che gli faceva da guida. Si l’Arabo che il Fiorentino dovettero scrivere un commento alle loro opere per dimostrare che i loro canti d’amore avevano un significato esoterico e non amatorio».