È in corso un rumoroso dibattito su una legge promulgata dal governo francese, attualmente in discussione al senato, teoricamente diretta a contrastare il “separatismo” islamico e il radicalismo violento, ma che i suoi critici accusano di essere un esempio evidente di come si possa incolpare indiscriminatamente i musulmani francesi di atti omicidi, di come si possano negare i diritti individuali, e di islamofobia promossa dallo Stato.
Ma quantomeno c’è in Francia, e non solo, un vivace dibattito circa la definizione della più grande comunità islamica europea. Una simile campagna è in atto contro la comunità musulmana in Austria, ma con una eco mediatica molto minore e una molto minore pubblica solidarietà.
Di fatto, sia Austria che Francia stanno creando i presupposti per limitare la vita dei loro cittadini musulmani. Per giustificare le loro azioni si appellano a una lotta contro un nebuloso “Islam politico” e un altrettanto nebuloso “separatismo islamico.” Ma ciò che in realtà stanno attaccando è il vecchio principio di uguaglianza di tutti i loro cittadini.
Per decenni si è pensato all’Austria come a un’isola felice, priva di violenza politica. Dopo l’undici settembre, l’élite politica austriaca ha mostrato al mondo la sua popolazione musulmana come un esempio di “musulmani ben addomesticati.” Nessuno scontro di civiltà qui.
Ma questa apparentemente armoniosa atmosfera nel tempo è cambiata, soprattutto con il sorgere del partito di estrema destra, il Partito austriaco della libertà, o FPÖ, la cui visione dell’Islam come minaccia per la società austriaca ha lentamente ma inesorabilmente preso il sopravvento nel contesto nazionale, ben al di là dell’ambito di estrema destra nel quale era sorto.
Quando il 2 novembre del 2020, un ex simpatizzante dell’ISIS uccise quattro persone nel cuore di Vienna, la prima reazione del cancelliere Sebastian Kurz è stata quella di calmare le acque. Ma in meno di 24 ore, ha cambiato atteggiamento.
Il governo avrebbe dovuto essere messo sotto accusa quando è stato chiaro che l’autore della sparatoria era sotto il controllo dei servizi segreti nazionali. Ma il partito conservatore di Kurz, il Partito del Popolo Austriaco (o ÖVP) ha preso il toro per le corna: in meno di 24 ore, il governo a guida ÖVP ha deviato le critiche dando vita al dibattito sulla supposta minaccia dell’“Islam politico.”
Tutto ciò faceva parte di una strategia a lungo termine che metteva sotto accusa quello che chiamava “Islam politico,” ma che aveva tutta l’aria di essere l’“Islam” tout court.
Col pretesto di combattere l’”Islam politico,” l’ÖVP e il suo alleato nella coalizione nel biennio 2017-2019, il partito di estrema destra Partito Austriaco della Libertà, o FPÖ, aveva già chiuso le moschee e proibito l’hijab nelle scuole elementari.
In seguito alla sparatoria di novembre, l’attuale coalizione governativa, comprendente verdi e ÖVP, ha immediatamente chiuso una moschea, pur ammettendo apertamente che non c’erano ragioni legali o misure di prevenzione del crimine per farlo.
Come conseguenza, alcune iniziative come questa sono state annullate in sede legale. Il divieto delll’hijab è stato respinto dalla Corte Costituzionale. Le moschee sono state riaperte dalla Corte Amministrativa Viennese. E anche la chiusura della moschea avvenuta dopo la sparatoria di novembre è stata sospesa.
Ma per l’ÖVP di Kurz, la lotta contro l’”Islam politico” sembra essere diventata il pilastro ideologico del partito. Perfino nel mezzo della devastante pandemia di COVID-19, l’ÖVP ha dato avvio a quello che ha chiamato “progetto del faro europeo,” il Centro di Documentazione sull’Islam Politico, un centro per il controllo che traccia e sorveglia le ONG islamiche.
Dopo la sparatoria, il cancelliere Kurz ha proclamato che l’Austria e l’Europa stavano “affrontando due sfide,” mettendo sullo stesso piano la minaccia del coronavirus e la minaccia del terrorismo (islamista) e della radicalizzazione. Per Kurz, l’Islam politico (sempre indefinito) è un terreno fertile per il terrorismo, e per l’ideologia estremista che prepara la strada alla violenza.
Nel suo attacco alla sua comunità musulmana, privo di sfumature e punitivo, l’Austria è in “buona” compagnia. Anche la Francia ha proclamato la sua dedizione alla lotta al “separatismo islamico.” E come lei, il governo di Macron è rimasto sul vago riguardo al suo nemico, con ministri importanti del suo governo che lanciano aggressive e onnicomprensive campagne contro la minaccia “Islamo-gauchiste.”
In seguito alla sparatoria sia la Francia che l’Austria volevano mostrare il pugno di ferro contro la violenza. Ma invece di individuare persone e gruppi musulmani violenti, si sono rivolti contro appartenenti alla società civile musulmana e contro promotori di campagne anti-razziste. Sembra ovvio che queste iniziative non hanno minimamente danneggiato i musulmani violenti, ma sono state dirette a mutilare la società civile e le voci antirazziste che si ergevano contro politiche repressive striscianti.
La Francia di Macron ha chiuso 50 enti. Fra di loro c’era la più grande ONG che monitora i crimini d’odio antimusulmani, il collettivo contro l’islamofobia in Francia, il quale si è dovuto trasferire in Belgio per evitare di essere disciolto dallo Stato francese.
In Austria, le case di 30 persone, nessuna di loro imputabile in qualsiasi modo di simpatie pro ISIS, sono state perquisite ad inizio novembre, fra costoro vi erano alcuni leader di vecchia data della comunità islamica. Forse a causa del mio essere uno dei più accaniti critici della politica austriaca nei confronti dell’Islam e dei musulmani, io ero fra loro.
Tuttavia Austria e Francia rappresentano ancora delle eccezioni nella Unione Europea. Entrambi i paesi hanno presentato una bozza di documento sul terrorismo in seguito all’omicidio di Samuel Paty e all’attacco di Vienna, citando l’Islam più di una volta in relazione all’estremismo e alla violenza, ma gli altri Stati membri della UE hanno smorzato i toni del documento.
I ministri europei della giustizia e degli interni hanno infine sottoscritto una dichiarazione antiterrorismo che non menzionava l’Islam, e che evitava la retorica dello scontro di civiltà. La maggior parte dei governi ha rifiutato di collegare le proprie strategie antiterrorismo alla politica migratoria e hanno altresì rifiutato di mettere sullo stesso piano l’Islam e il terrorismo.
Tuttavia l’Austria sta pensando di rendere l’”Islam politico” un reato penale senza dare una definizione legale del termine; intende anche introdurre una legge antiterrorismo, modificare la legge sulla cittadinanza, la legge sui simboli nazionali, e la legge sull’Islam, che regola la comunità musulmana austriaca.
La sezione austriaca di Amnesty International ha definito queste leggi “quick shot” altamente problematiche dal punto di vista dei diritti umani, per la loro vaga formulazione, per la facilità con cui possono favorire l’abuso, per il loro prendere di mira “attività legali e affiliazioni islamiche,” per poter essere usate per “giustificare sorveglianza, arresto, espulsione, ritiro della cittadinanza” oltre che per altre sanzioni, e per il rischio che rappresentano per la libertà di parola e per i diritti civili.
Il governo Kurz sembra aver trovato il modo di sfruttare l’attacco del novembre 2020 ed espandere il potere delle autorità dello Stato, prendendo di mira specificamente i musulmani, nonostante che una commissione parlamentare abbia esplicitamente affermato che l’attacco avrebbe potuto essere prevenuto semplicemente basandosi sulle leggi esistenti.
Proprio come in Francia, la nuova legislazione austriaca, ora all’esame del parlamento, non servirà a rafforzare la sicurezza nazionale e neppure a promuovere una società democratica di cittadini uguali: otterrà esattamente l’opposto. Il principale ‘risultato’ di queste leggi consisterà in molta più frustrazione per i musulmani e, purtroppo, nel loro ulteriore estraniamento come cittadini da uno Stato che appare impegnato nel limitarli ed escluderli.
Farid Hafez è Senior Research Scholar presso la Bridge Initiative della Georgetown University e Senior Scholar presso l’università di Salisburgo nel dipartimento di Scienze politiche e Sociologia. È curatore degli Annali di studi sull’Islamofobia e coeditore dell’ European Islamophobia Report. Twitter: @ferithafez
Questo articolo è stato pubblicato su Haaretz