Parlando con il direttore del Middle East Eye David Hearst, Meshaal chiede ai Palestinesi di unirsi in una “rivolta globale” contro l’occupazione israeliana
Ora Hamas guida il popolo palestinese perché il ruolo primario della leadership sotto occupazione è guidare i Palestinesi verso l’uguaglianza e la libertà, ha detto a Middle East Eye Khaled Meshaal, che dirige l’organizzazione nella diaspora.
Nella prima intervista in inglese dell’organizzazione dopo il cessate il fuoco di venerdì scorso con Israele, Meshaal ha chiamato ad una rivolta globale in “tutte le città” del territorio storico palestinese – Gerusalemme e la Città Vecchia, la Cisgiordania e all’interno dello stesso Israele.
Meshaal, che è stato a capo dell’ufficio politico di Hamas fino al 2017, ha dichiarato inoltre che il movimento è pronto a parlare con gli Stati Uniti.
Ha detto che è strano che l’amministrazione del presidente Joe Biden continui ad avere colloqui coi Talebani, che combattono attivamente le truppe statunitensi in Afghanistan da almeno due decenni, mentre si rifiuta di parlare con Hamas, che non è impegnata in combattimenti contro gli Stati Uniti, ma è stata designata come organizzazione terroristica da Washington fin dal 1997.
In un messaggio diretto a Biden, Meshaal ha aggiunto: “Non vi consideriamo nostri nemici anche se ci opponiamo a molte delle vostre politiche di parte, a favore di Israele, e contro i nostri interessi arabi ed islamici. Ma non vi combattiamo. Quindi siamo pronti a dialogare con qualsiasi parte senza alcuna condizione”.
Ma ha avvertito che Hamas non cambierà la sua posizione a proposito di Israele. “Non importa quanto tempo ci vorrà, questo è il mio messaggio a Biden, agli Stati Uniti e a tutti gli stati occidentali che continuano ad inserire Hamas nelle liste del terrorismo. Dico loro: non importa quanto tempo ci vorrà, Hamas non cederà alle vostre condizioni”.
Meshaal ha affermato che i paesi arabi che hanno normalizzato le relazioni con Israele non solo hanno pugnalato i Palestinesi alla schiena, ma hanno anche danneggiato i loro propri interessi rischiando di fomentare una rivolta popolare.
“Quel che sperano di ottenere da Israele è pura illusione ed immaginazione”, ha messo in guardia Meshaal. “Se adesso non si vergognano, avranno comunque un tempo limitato perché l’opinione pubblica sarà contro di loro”.
In Palestina, Hamas ha constatato un incremento nel sostegno popolare in seguito alla sua decisione di lanciare missili contro Israele in risposta agli attacchi israeliani contro la moschea di Al-Aqsa e i residenti di Sheikh Jarrah.
Questo sostegno è giunto da zone che sono di solito al di fuori del suo controllo tradizionale e nelle quali i suoi membri sono stati soggetti a continui arresti, in Cisgiordania e tra i cittadini palestinesi di Israele.
Alla domanda se pensava che Mahmoud Abbas avesse ancora qualche autorità come presidente palestinese dopo l’ultima serie di combattimenti, Meshaal ha risposto: “Noi non escludiamo nessuno e non cancelliamo il ruolo di nessuno”.
“Tuttavia, indubbiamente tutti hanno potuto notare che le credenziali di Hamas e il suo status nella leadership palestinese si sono rafforzate perché ha guidato la lotta nelle recenti aggressioni e soprattutto nell’ultima serie di attacchi”.
Per la prima volta, dopo molti anni, le bandiere di Hamas hanno sventolato insieme a quelle di Fatah nelle manifestazioni e nelle proteste a Nablus, e venerdì un imam che si rifiutava di nominare Gaza nel suo sermone settimanale tenuto ad Al-Aqsa è stato cacciato dalla moschea dai fedeli infuriati.
A Gerusalemme e ad Umm al Fahm, nel nord di Israele, i manifestanti hanno gridato il nome di Mohamed ad-Deif, il leader dell’ala militare di Hamas, le Brigate al-Qassam, che Israele ha cercato di uccidere durante l’ultimo conflitto.
Meshaal ha detto che le funzioni primarie della leadership, in queste situazioni, sono state la lotta e la resistenza, e la guida dei Palestinesi verso l’indipendenza e la libertà.
Le elezioni non sono l’unica opzione
Solo poche settimane prima dello scoppio dei combattimenti, Hamas era pronta per partecipare alle elezioni insieme a Fatah e ad altri partiti palestinesi, prima che fossero rinviate da Abbas.
Meshaal ha detto che Hamas aveva fiducia in se stessa ed era pronta a ripresentarsi al voto, ma che le elezioni non erano l’unica opzione.
“Hamas non ha timore di proporsi alla sua gente tramite le urne. Forse altri hanno paura”, ha detto, in un apparente frecciatina lanciata ad Abbas.
Ha poi proseguito: “Eppure, ancora una volta, le elezioni sono l’unica opzione? E’ l’unica componente del sistema di riconciliazione e per rimettere in ordine la casa palestinese? No”.
Meshaal ha detto che i Palestinesi sono un popolo con una causa ed ha chiamato ad una “rivolta globale in tutti i luoghi”.
“A Gerusalemme, dove il pericolo incombe su al-Aqsa, su Sheikh Jarrah, sulla Città Vecchia e su tutta Gerusalemme; in Cisgiordania, dove ci sono occupazione, insediamenti, interruzione di ogni collegamento e confisca di terre; e nel 1948, dove c’è discriminazione razziale, tentativi di espellere e bandire il nostro popolo fin dal 1948 utilizzando le leggi; anche la resistenza a Gaza; e anche nella diaspora. Tutti condividono la responsabilità per la liberazione”.
Mentre Meshaal stava parlando, i coloni israeliani invadevano ancora una volta al-Aqsa, protetti dalla polizia.
Alla domanda su cosa potrebbe indurre Hamas a lanciare di nuovo i razzi, Meshaal ha detto che il cessate il fuoco non era condizionato soltanto alla fine degli attacchi israeliani su Gaza, ma anche alla fine delle incursioni delle forze di sicurezza israeliane ad al-Aqsa e alla fine dello sfollamento dei Palestinesi, residenti nei quartieri di Sheikh Jarrah e di Gerusalemme Est.
“La battaglia è iniziata per questi motivi. Fermi restando questi stessi motivi, i razzi della resistenza non partiranno da Gaza”, ha detto.
Ha però continuato dicendo che ogni area sotto occupazione può scegliere la propria forma di resistenza.
“Non esiste una forma di resistenza che vada bene per tutti e nello stesso momento”.
Israele ‘sta pagando il prezzo’
Meshaal ha detto che l’ultimo conflitto ha evidenziato il ruolo dei Palestinesi che vivono entro i confini della Palestina del 1948.
“Hanno veicolato il messaggio in base al quale siamo una parte genuina di questo popolo e che [loro] vengono in aiuto ad al-Aqsa, del quartiere di Sheikh Jarrah e di Gaza, proprio come farebbe ogni altro palestinese che viene in aiuto del suo fratello”, ha aggiunto.
Israele sta pagando anche il prezzo delle politiche razziste e delle violazioni dei diritti contro i suoi cittadini palestinesi che hanno messo a nudo la “fragilità” dello stato di Israele, ha detto.
E’ ormai chiaro a tutti i Palestinesi, agli arabi, ai popoli islamici e a tutte le persone libere del mondo che Israele sta contando i suoi ultimi giorni, e che questa occupazione, insediamenti ed entità coloniale non hanno nessun futuro in questa regione.
Middle East Eye ha chiesto a Meshaal di spiegare come Hamas fosse passata da una posizione in cui contestava le elezioni, anche se centinaia dei suoi membri venivano arrestati in Cisgiordania, al lancio dei missili.
All’epoca vi fu un vigoroso dibattito all’interno di Hamas su quanto fosse opportuno contestare le elezioni in una situazione nella quale non si poteva neanche operare liberamente come partito politico. Le elezioni sono state alla fine rinviate, molti ritengono annullate, da Abbas che ha usato come scusa il rifiuto di Israele di consentire ai gerosolimitani di votare.
Meshaal ha confermato che vi è stato un “dibattito interno” sull’opportunità o meno di partecipare alle elezioni in Cisgiordania. Ma ha insistito sul fatto che il principio di candidarsi alle elezioni non era in discussione.
Illustrando il passaggio dalle urne ai missili, Meshaal ha detto che la decisione di cancellare le elezioni ha creato “rabbia e frustrazione” ed un sentimento di stupore: “Perché questo passo?”.
Poi sono arrivate le violenze contro fedeli e manifestanti ad al-Aqsa e la minaccia di sfollamento dei residenti dalle loro case di Sheikh Jarrah.
Ha accusato Israele di aver dato l’avvio all’aggressione. Ha ricordato che Hamas aveva avvisato Israele, in modo che Israele non sarebbe stato sorpreso per il lancio dei razzi.
“Quando hanno invaso la moschea di al-Aqsa alla fine di Ramadan, la resistenza è stata obbligata a rispondere… e così la battaglia è cominciata”, ha continuato Meshaal.
“Non vi è alcuna contraddizione tra l’impegno nella lotta politica attraverso le elezioni e la compartecipazione, ed il sostenere la causa e mobilitarsi per essa nei forum internazionali ed impegnandosi nei combattimenti. I due tipi di lotta sono legati l’uno con l’altro”, ha specificato.
Alla domanda su chi abbia preso la decisione di lanciare i missili, Meshaal ha detto che il movimento aveva un’unica leadership, ma ciascun componente di esso prendeva le proprie decisioni.
“Quando la leadership di al-Qassam prende una decisione nello svolgimento della battaglia, decide in accordo con la strategia e la decisione generali del movimento. Lo stesso vale per coloro che lavorano nel campo della mobilitazione di massa o delle relazioni politiche. Queste sono decisioni approfondite lungo il percorso di lavoro. Scaturiscono dalla decisione centrale presa dalla direzione del movimento”.
‘Interessi reciproci’ con l’Egitto
Meshaal ha speso parole positive nei confronti dell’Egitto, anche se il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha organizzato un colpo di stato militare contro il presidente eletto sostenuto dai Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, ed ha massacrato i suoi sostenitori a Rabaa, oltre a rafforzare l’assedio contro Gaza, distruggendo i tunnel di Hamas e chiudendo il lato egiziano del valico di confine di Rafah.
Meshaal ha aggiunto che il ruolo dell’Egitto nelle questioni palestinesi è stato fondamentale, anche se vi sono stati dei disaccordi.
“Gli interessi reciproci richiedono che entrambe le parti lavorino insieme e che prevedano ruoli su cui entrambe le parti concordino e sui quali collaborino, nonostante le differenze, come lei ha detto, sulla questione della Fratellanza o su altre”.
Noi di Hamas, anche se siamo una parte essenziale della Fratellanza, siamo un movimento di resistenza e non interferiamo negli affari degli altri e trattiamo con i paesi islamici, e con gli altri, sulla base della nostra causa e dei suoi interessi, senza che noi interferiamo nei loro affari o che loro interferiscano nei nostri.
“Accogliamo pertanto con favore il ruolo egiziano, così come i ruoli di tutti gli stati arabi e islamici o di qualsiasi altro paese nel mondo, fintanto che sono intesi a lavorare per il nostro popolo, a fermare l’aggressione contro di esso e a servire la sua perseveranza e tenacia”.
Il leader di Hamas ha affermato che gli stati arabi hanno la responsabilità di elaborare una nuova strategia per riconquistare la Palestina, Gerusalemme e al-Aqsa, e per porre fine all’occupazione.
“Ritengo che ormai tutti abbiano capito l’inutilità dei negoziati, l’inutilità del processo di pace e degli accordi di pace con Israele, e l’inutilità della normalizzazione. Coloro che vedevano Israele come parte integrante e naturale della regione, si sbagliavano. Alcuni pensavano di ottenere maggior forza da Israele nell’affrontare i loro nemici, qui o là”.
“Tutti sono ormai certi che Israele è il vero nemico della regione e che Israele è un’entità fragile e che possiamo sconfiggerlo, invece di lamentarci delle sue politiche”.
Ha detto che l’Egitto è contrariato dalle politiche israeliane per quanto riguarda la diga Renaissance in Etiopia, che il Cairo vede come una minaccia alla sicurezza nazionale. L’Egitto è certamente scontento delle notizie sui presunti piani israeliani di scavare un canale di navigazione alternativo al Canale di Suez.
“Perciò, invece di sentirci impotenti di fronte alle violazioni e ai piani israeliani, questa è un’opportunità… la resistenza in Palestina e questa grande rivolta del nostro popolo stanno dicendo agli arabi: ‘Gente, siamo una sola Ummah e abbiamo gli stessi interessi, quindi cerchiamo di costruire qualcosa insieme su queste basi’”.
“Combattiamo un’unica battaglia, non solo per salvare e rivendicare la Palestina, ma anche per proteggere l’intera Ummah”.
Traduzione dell’intervista realizzata dal David Hearst, direttore di Middle East Eye