Spesso è difficile comprendere il nuovo panorama politico e le alleanze strategiche apparentemente del tutto illogiche che vediamo oggi. Partiti, politiche e attivisti opposti ora collaborano e difendono cause comuni. Attivisti di estrema destra, laicisti di sinistra, sionisti, antisionisti (e anche famigerati antisemiti) e femministe dimenticano improvvisamente le loro differenze più profonde e si impegnano tutti insieme prendendo di mira il loro nemico comune, percepito come il pericolo ultimo nel futuro.
Per comprendere questo paradosso, non bisogna seguire la logica del confronto tra i rispettivi programmi politici, ma invertire la prospettiva dell’analisi partendo dall’individuazione del loro obiettivo comune, il nemico percepito come tanto pericoloso da poter relativizzare, per un po’, le differenze essenziali che separano questi attori politici e intellettuali.
Ora sembra che l’Occidente (includendo qui gli Stati Uniti, l’Europa, l’Asia fino all’Australia e persino il Giappone), stia affrontando due grandi sfide: da un lato, l’aumento dell’immigrazione e, dall’altro, l’Islam, con la significativa presenza di immigrati e cittadini musulmani. Le forze sopracitate possono essere in completo disaccordo sull’economia, sul ruolo dello Stato o più specificamente sulla questione dell’immigrazione, ma quando entra in gioco il fattore “Islam” le posizioni si avvicinano e si formano alleanze. L’estrema destra non ha mai nascosto il suo rifiuto dell’immigrazione e la sua percezione negativa dell’Islam, visto come un pericolo. I partiti laici della sinistra hanno una posizione molto più aperta sulla questione dell’immigrazione, ma sviluppano una reazione istintiva a qualsiasi manifestazione di religione negli spazi sociali e culturali.
L’Islam, in sé e/o attraverso i segni visibili della pratica di alcuni (a cui vanno aggiunte tutte le “varianti” prodotte dall’attuale confusione terminologica: “Islam politico”, “Islamismo”, “Radicalizzati”, “Terroristi” , ecc.), esprimerebbe un ritorno alla camicia di forza religiosa, una regressione, rispetto alle lotte sociali di emancipazione che hanno scandito decenni di lotta per l’uguaglianza e la libertà.
Ciò è condiviso dai movimenti femministi occidentali (ai quali si aggiungono le organizzazioni LGBT), che vedono in ogni religione la naturale promozione di una lettura patriarcale e moralistica della società e del mondo. In questo senso l’Islam, ancor più dell’ebraismo e del cristianesimo, rappresenterebbe un pericolo, prima di tutto, per quanto si dice e si ripete sul ruolo subordinato che vi troverebbero le donne poi, e soprattutto, per il numero dei suoi fedeli e il risveglio della pratica che si registra ovunque.
Infine, i difensori dello Stato di Israele (dall’estrema destra israeliana agli attivisti di sinistra), e alcuni dei suoi oppositori antisionisti (dagli occidentali di estrema destra, da alcuni attivisti di sinistra, ai comunisti e all’ estrema sinistra) a volte finiscono per fare causa comune quando si tratta di Islam in Occidente. Sviluppano approcci simili per tutte le ragioni sopra menzionate, a cui si aggiungono – per i sostenitori dello Stato di Israele – il timore che le nuove popolazioni musulmane occidentali possano assumere, in considerazione del loro numero elevato, un peso politico aggiuntivo nelle scadenze democratiche ed elettorali e possano avere, di fatto, un impatto sulla politica mediorientale dei paesi occidentali.
Come si vede, le due sfide del tempo stanno ridistribuendo il panorama ideologico e le alleanze politiche in Occidente. I pensatori musulmani e/o le organizzazioni musulmane che lavorano per il rispetto dell’Islam, la sua pratica, e difendono l’idea che l’Islam debba ora essere considerato una religione occidentale, si troveranno inevitabilmente al centro di critiche e saranno il bersaglio di tutte le tendenze ideologiche e tutte le parti sopra menzionate.
Le società occidentali hanno così stabilito due grandi categorie di musulmani. I musulmani che sono apprezzati in Occidente devono offrire una delle seguenti tre caratteristiche (riunendo le tre, si assicurano un successo e un futuro politico-mediatico): non mostrare alcun segno di visibilità nella loro pratica (o addirittura non essere praticanti), non esprimere alcun pensiero politico non consensuale (o largamente accettato dalla società), mantenere un basso profilo su alcune questioni delicate di politica internazionale (devono inevitabilmente tacere sulla questione palestinese).
Al contrario, l’Islam testimoniato e i pensatori musulmani impegnati sono sospetti, necessariamente divisivi e inquietanti, al punto da spingere certi movimenti e attori politici, che si sono sempre considerati universalisti, umanisti e progressisti, a difendere improvvisamente posizioni sicure, liberticide e discriminatorie e ad accettare alleanze, informali o di circostanza, con i partiti di estrema destra (occidentali o israeliani), i più pericolosi e i più retrogradi, con il pretesto che avrebbero lo stesso nemico.
La situazione è grave e porta l’Occidente verso un pericolo ancora maggiore della continua immigrazione o della presenza di cittadini musulmani, ovvero la normalizzazione di un pensiero xenofobo e razzista che autorizza un’applicazione discriminatoria della legge nei confronti di coloro che sono visti come il supremo pericolo per l’Occidente.
In definitiva queste alleanze, questo matrimonio, tra forze politiche eppure così opposte, sanciscono il divorzio tra l’Occidente e i valori umanisti che pretende di difendere e, inevitabilmente questa deriva avrà gravi conseguenze sulla libertà e sui diritti di tutti i cittadini occidentali, nessuno escluso.