La civiltà numerica e l’impossibilità del dubbio 

Se esprimi un dubbio sulla gestione pandemica sei un negazionista; se conservi una minima reticenza nei confronti del vaccino sei un no-vax; se critichi le politiche governative sei un complottista…E così via finché lo scettico si ritrova a vestire i panni del nichilista. Non ci sono più dubbi: impossibile oggi sostare tra il sì e il no. 

Nessuna continuità, nessuno stato intermedio tra l’affermazione e la negazione. Se non appoggi una tesi, un’idea o una scelta sei automaticamente condannato a far parte del suo esatto contrario. Nel mezzo abita un deserto di idee e immagini, oramai inadatto alla semina di qualunque parentesi critica. Il bipolarismo perfetto finalmente! Peccato che senza slittamenti critici sia l’una che l’altra parte diventino un coagulo di idiozie, rappreso intorno al segno più o al segno meno. Due bambini, l’uno di fronte all’altro, che pretendono d’aver ragione pescando nel mare contraddittorio del web, dimenticando però la più infantile delle domande: perché? 

Basti pensare al più triste degli esempi nostrani: due intellettuali (Cacciari e Agamben) hanno criticato le recenti politiche sanitarie. La giusta occasione per una controcritica, magari buona a rafforzare la tesi principale; ecco finalmente la miccia per un dibattito costruttivo…macché! La risposta del sì, del potere della maggioranza, si è limitata a una banale demonizzazione sarcastica, sublimata intorno al no: complottisti, rincoglioniti e addirittura filosofi (il peggiore degli italici insulti).

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito ma è sufficiente restare alla fonte e origine di quest’infantilismo acritico: il web. Lì, nell’empireo digitale, qualunque forma di confronto si riduce ad una contrapposizione tra sette opposte, che procedono parallele. Linguaggio del Mi piace/Non mi piace, Pollice su/Pollice giù. D’altronde la logica binaria e parallela è connaturata alla stessa civiltà digitale, che in francese non a caso viene definita numerica.

Il mondo eretto dal sistema digitale/numerico, che ormai ha superato quello analogico. Ma di che si tratta? Immaginate uno srotolarsi di numeri che procedono su un binario, una catena di 0 e di 1 messi uno dietro l’altro, che permettono di catturare la realtà, masticarla e restituirla. Nascono il segnale digitale, l’universo virtuale, il mondo attuale. Ti intrattieni, ci lavori, ti informi, ci scrivi. La vita dietro lo zero e l’uno, il nulla e il tutto. Una fila infinita di due numeri capaci di creare una rappresentazione discreta, non più continua del reale.

Certo, una spiegazione ancora poco chiara. Passiamo allora alla recente finale dei cento metri alle Olimpiadi. Il segnale numerico a un certo punto non arriva più. L’immagine sparisce. Non c’è alcun grado di avvicinamento all’originale. O c’è o non c’è. Non si può più spostare l’antenna nella speranza che riesca a captare un po’ di realtà e restituircela come un’ombra. Stessa sorte legata alla versione del calcio secondo dazn. Durante la partita il segnale s’indebolisce, l’immagine in movimento si blocca, si ferma, sparisce.

Ecco cosa significa la traduzione numerica del reale rispetto alla sua rappresentazione analogica. Nel momento in cui la realtà viene riprodotta, attraverso un infinito binario di numeri (il segnale digitale), non c’è alternativa al binomio: esistere/sparire, affermare/negare. Nessuna antenna, nessun pensiero è più capace di captare gli scarti, le impurità del reale.

C’era una volta invece l’analogico…Pellicola, penna, voce o pennello, tanti come capaci di instaurare una relazione tra due cose: la realtà e la sua rappresentazione. La perfetta identità impossibile per definizione, non restava allora che l’umile riproduzione capace di avvicinarsi per successivi gradi all’originale. Nel numerico il come svanisce e con lui sfumano tutte le analogie fiorite intorno. Cose, eventi e comunicazioni non vengono riprodotte ma autonomamente prodotte. Ancora degli esempi: scrittura e fotografia. Nella loro veste digitale non esiste più correzione. L’ultima parola o l’ultima immagine vincono, quindi esistono; tutto il processo di graduali ritocchi è sparito, tornato nello zero del binario. 

E così oggi, nella rappresentazione spartita tra lo zero e l’uno, chi voglia comprendere l’attualità azzardando paragoni (analogie) storici o filosofici, a quale sorte è destinato? Pubblico ludibrio. Almeno che non impieghi la parola guerra a caso, per comodità o per inconfessabile nostalgia.  

Fatto sta che senza i come, i se e tutte le vie secondarie del pensiero, resta soltanto il numero che per sua natura è controllabile. Perché non dovrebbe essere controllabile, quindi manipolabile un linguaggio e una civiltà intera che su esso si basa? Esser diventati dei telepass ambulanti ne è già un primo evidente segno…

Eppure Due più due fa cinque: scrisse Dostoevskij in piena epoca di fede nella scienza. E noi, dopo un Novecento che ha messo in discussione le fondamenta dell’intero edificio scientifico, ci troviamo stancamente costretti ad affermare che due più due fa quattro.

In fondo non ci crediamo più ma è l’ultima stampella a cui aggrappare il presente e soprattutto il numerico futuro. Ora c’è ancora bisogno dei resti stanchi del potere per obbligare all’affermazione, dopo il binario procederà da solo.

Cosicché chi non starà nel sì, sprofonderà dritto dritto nell’abisso del no. Nel mezzo soltanto passività e indifferenza. Invece proprio ora, tra la superbia dei sì e il grottesco dei no, sono necessarie, decisive le parentesi del dubbio. Perché il grande russo aveva davvero ragione: due più due fa cinque. Non una cifra in più, non una cifra in meno.