In Marocco la monarchia si riprende tutto il banco

L’impressionante debacle del PJD (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) nel corso delle recenti elezioni politiche svoltesi in Marocco è la prova ineludibile dell’impossibilità per un partito d’ispirazione islamica di governare di fronte allo strapotere del Makhzen (il sistema di potere e controllo del sovrano) e della ricca borghesia che lo sostiene. 

Diversi analisti hanno fornito un quadro desolante della situazione nel Paese. Il sistema di potere secolare con al centro il Sovrano ed il suo apparato amministrativo, religioso, poliziesco e giudiziario è il vero detentore del potere e gestore dei fondi per attuare i suoi disegni. I suoi più solerti sostenitori sono i potenti tecnocrati, con relazioni in tutto il mondo, che si arricchiscono e fanno arricchire la famiglia reale assicurandole il pieno controllo dell’intera economia ufficiale, dalle miniere di fosfati alle rivendite di lievito per fare il pane.

I partiti sono relegati al ruolo di mero apparato clientelare al servizio della Monarchia e non possono fare pressoché nulla a favore del popolo senza l’assenso del Capo dello Stato. A più riprese il Partito della Giustizia e dello Sviluppo si è trovato in rotta di collisione con la monarchia su diverse questioni (non ultima quella sulla Palestina) ma si è dovuto sempre piegare. 

Alle elezioni vota appena il 30% degli aventi diritto, il che corrisponde grosso modo a quella medio-piccola e grande borghesia delle città ed ai proprietari terrieri delle campagne. Costoro sono gli unici ad avere un legame reale con la politica perché dai politici ricevono aiuti ed appoggi di varia natura. Il resto del Paese segue con scarso interesse o malcelato fastidio gli avvenimenti politici, mentre non mancano le testimonianze di voti comprati con appena 200 dirham. 

A differenza degli altri partiti (con la parziale eccezione dell’USFP) il PJD è stato un partito legato alle masse, in particolare agli impiegati ed ai lavoratori di quella piccola e media borghesia urbanizzata che non ha perso i legami con la propria identità culturale e religiosa, convinta che solo attraverso l’Islam si possa riformare il Paese.

A differenza dei membri dell’organizzazione Al ‘Adl wa-l-Ihsan (Giustizia e Spiritualità) – da tempo messa fuori legge pur se contraria alla violenza – questi elettori aspiravano ad islamizzare le istituzioni, nella prospettiva di una maggiore giustizia sociale e dell’educazione religiosa, soprattutto a favore dei giovani. Questi anni di governo hanno tuttavia dimostrato che lo Stato profondo non accetta un partito islamista all’opera, se non con funzione del tutto simbolica e servile.

Il partito islamico al governo è stato umiliato, costringendolo a dover quasi rinnegare la causa palestinese e dover riconoscere gli “Accordi di Abramo” caldeggiati dalla monarchia sempre più accondiscendente col sionismo. Deludente il bilancio della crescita economica i cui proventi sono comunque andati alle grandi famiglie, mentre tanti giovani continuano a morire nelle acque del  Mediterraneo, alla disperata ricerca di un futuro migliore.

In diverse zone del Regno, dai monti del Rif alla zona di confine con i territori occupati dalla Spagna, si sono susseguite manifestazioni popolari per reclamare migliori servizi sociali e lavoro. Inutile sottolineare come tali richieste siano rimaste quasi invariabilmente del tutto inevase.  

A fronte di uno sviluppo limitato alle zone utili alla monarchia ed alla borghesia che lo sostiene, intere regioni del paese sono abbandonate dallo Stato. Sono alcune organizzazioni caritatevoli a portare ancora coperte, indumenti e carbone alla gente delle montagne dell’Atlante. 

Le proteste dei giovani del Rif, che si erano ribellati chiedendo null’altro che strade, posti di lavoro ed ospedali, sono state represse e nessuna risposta credibile è stata data alle classi popolari. Certo, la luce elettrica è stata portata nelle campagne che fino a pochi anni fa ne erano ancora prive ed alcuni accordi sono stati siglati con cooperative di donne per favorire lo sviluppo dei villaggi più remoti. Ma i salari della massa restano vergognosamente bassi, mentre i prezzi dei generi alimentari di base sono uguali o simili a quelli italiani.

La riforma delle pensioni ed il licenziamento di migliaia di docenti sospettati di appartenere all’organizzazione di opposizione politica “Giustizia e Spiritualità” sono stati altri due provvedimenti assai impopolari 

Lo strapotere dell’apparato monarchico e del Ministero degli Interni si manifesta anche attraverso l’arresto di diversi giornalisti, che subiscono processi con motivazioni del tutto pretestuose; oppure platealmente graziati – come la figlia di Sheikh Al Rassouni – prima accusata di aborto illegale e poi graziata dal Sovrano stesso. 

Alcuni analisti hanno affermato che la monarchia stia attraversando un periodo di crisi. In realtà, sino a quando l’opposizione non sarà in grado di creare un’alternativa popolare credibile, la famiglia reale e l’oligarchia che la sostiene continueranno a mantenere la loro ferrea presa sul Marocco e sulla sua popolazione.