Esitazione vaccinale, green pass e democrazia

In un articolo pubblicato nel 2018 – e quindi prima dell’inizio della pandemia del Covid-19 – in cui Gary Finnegan intervista la dottoressa Heidi Larson nel giornale della Commissione Europea del programma di ricerca Horizon, si analizzano i fattori che determinano l’esitazione a vaccinarsi nel contesto di un’Europa che secondo gli stessi studi di Larson è la regione più vaccino-scettica del mondo. 

Tralasciando le fake news su chip inseriti nei vaccini e quant’altro, Larson ricorda che la decisione di vaccinarsi o no è in larga parte dettata dalla politica, dalla filosofia e dalla religione, ma come?

“I vaccini sono regolamentati, raccomandati e talvolta imposti dal governo o dalle autorità pubbliche.” Commenta Larson “Negli Stati Uniti, i ricercatori hanno esaminato il rifiuto del vaccino basato sui valori. Si possono vedere due valori principali: la purezza e la libertà. Per alcuni, l’idea di un’influenza del governo sulla salute è inaccettabile.”

La pandemia sembra aver esacerbato questi elementi ma è utile ricordare che le riflessioni sull’esitazione rispetto alla vaccinazione risalgono a ben prima del periodo dell’inizio della pandemia nel 2019. Oggi infatti gli interessi economici e politici hanno in un certo modo inquinato la narrazione pubblica polarizzando l’andamento del dibattito ed inquadrando in modo semplicistico i critici del vaccino anti-Covid o del Green Pass implementato in Italia. 

La rappresentazione data è quella di no-vax di destra da un lato dello spettro ed greenpassisti dall’altro questi ultimi descritti invece come cittadini istruiti e responsabili. 

Se da un lato risulta da vari studi che vi sia in effetti una correlazione positiva fra tasso di istruzione e tasso di vaccinazione questo dato non è interpretabile in modo generalista ed indiscriminato. Alcuni gruppi etnici come gli asiatici ad esempio presentano un tasso di vaccinazione più alto a prescindere dal livello di educazione. In Italia inoltre i critici delle politiche pamdemiche, ben diverse dalle critiche contro i vaccini a prescindere, sono state sollevate da intellettuali e pensatori di spicco come Alessandro Barbero, Massimo Cacciari, Ugo Mattei, Giorgio Agamben, Carlo Freccero, Franco Cardini e più di recente persino il comico Maurizio Crozza ha lanciato alcune frecciatine in un recente monologo concentrandosi non tanto sul vaccino ma sulle politiche greenpassiste.

È risaputo che le crisi rappresentano un momento negativo ma anche di opportunità in politica ed economia. Tramite le crisi si possono implementare azioni altrimenti poco giustificabili come la restrizioni di diritti e si può in generale rimescolare le carte.

È in quest’ottica che diventa più semplice interpretare l’aumento della visibilità di figure come quella di Gianluigi Paragone, candidato sindaco a Milano ed aspro critico delle politiche pandemiche e degli elementi fortemente politici all’interno del PNRR Draghi, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Piano che definisce come l’Italia dovrà spendere l’enorme quantità di denaro preso in prestito dall’UE e di cui solo una parte è a fondo perduto con obiettivi di transizione ecologica e digitale, ma anche di gender in modo orizzontale. Piano nel quale la salute e la ricerca rappresentano solo 2 dei 6 obiettivi.

Un chiarimento utile è quello di distinguere il Green Pass a livello Europeo dal modo in cui viene utilizzato dall’Italia a livello nazionale. Il regolamento comunemente definito del “Green Pass” è quello Europeo Regulation (EU) 2021/953 per il “rilascio, verifica e accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, test e recupero COVID-19 (certificato digitale COVID-19 dell’UE) per facilitare la libera circolazione durante la pandemia di COVID-19”.

Insomma, il Green Pass di fondo è un certificato di vaccinazione o di non infezione Covid Europeo per facilitare gli spostamenti fra Stati membri. In nessun modo il regolamento detta agli Stati Membri dell’UE di utilizzare il Green Pass a livello nazionale nel modo in cui ad esempio viene utilizzato in Italia come passaporto intra-nazionale tale da vietare a chi non lo esibisce di andare a lavorare, di entrare nelle scuole a prendere i figli e così via.

Se da un lato la critica scientifica all’affidabilità del vaccino anti-Covid sembra perdere forza (ebbe più forza nel periodo in cui i vaccini AstraZeneca e J&J furono al centro di un infuriato dibattito in seguito ai vari casi di trombosi),  l’argomentazione sulla discriminazione in base alla libera scelta e sulla valutazione in merito di costi e benefici legati alla vaccinazione per l’individuo ha oggi molta più forza.

Questo punto sui diritti, analisi costi-benefici e libertà è il punto più acceso del dibattito ad oggi e che in parte si manifesta nella dialettica fra obbligo vaccinale diretto da un lato ed obbligo vaccinale indiretto tramite le politiche greenpassiste in Italia dall’altro. 

È interessante notare che i critici di queste politiche sembrano preferire nel discorso pubblico l’obbligo vaccinale diretto forti del fatto che i criteri per la sua applicazione non ci sarebbero costituzionalmente parlando o comunque sarebbero difficile da realizzare rispetto ad una politica tacciata di essere “subdola” che obbliga alla vaccinazione in modo indiretto con la minaccia dell’esclusione dalle libertà fondamentali e dall’accesso a luoghi pubblici e non culminando con l’esclusione dal lavoro e dunque dal proprio sostentamento previa esibizione di Green Pass. 

In una recente intervista ad Ugo Mattei sulle pagine di questo giornale il giurista ha affermato: 

“Non è possibile imporre trattamenti sanitari obbligatori se non in quelle condizioni stabilite dalla Costituzione. Quindi l‘obbligo è possibile esclusivamente nella situazione in cui ci sia un chiaro vantaggio per il vaccinato e per la salute pubblica, questo non lo dico io, lo ha stabilito la Corte Costituzionale,  siccome questo vaccino non protegge dall’infezione il singolo e nemmeno la società e non si conoscono con certezza gli effetti collaterali l’obbligo non è sostenibile.”

Una simile tensione si è osservata nel recente dibattito fra Formigli e Paragone a Piazza Pulita in cui alla denuncia di Paragone delle politiche greenpassiste come opprimenti rispetto invece ad un obbligo vaccinale diretto – se legittimo – Formigli risponde che al contrario la politica italiana del Green Pass nell’essere indiretta è più tutelante dei diritti perché non obbliga formalmente.

L’argomentazione di Formigli è però molto fallace per ovvie ragioni. Come ha sottolineato Mattei e gli altri critici, l’obbligo vaccinale deve passare per un vaglio che l’attuale politica greenpassista evita. Il divieto indiretto arrivato oggi a tal punto dall’escludere anche nel settore privato dal lavoro chi non reputa di doversi vaccinare dopo una valutazione individuale e personale dei costi e dei benefici si mostra come lesiva ed appare agli occhi dell’opinione pubblica come un “sotterfugio” poco trasparente. 

Su questo giornale, dai primi giorni di pandemia e di politiche di restrizione, l’analisi è stata legata alla questione dei diritti e dell’equilibrio fra questi e la sicurezza degli individui. Allora denunciai il rischio che un mancato dibattito sulla questione avrebbe creato un problema di democrazia ed oggi quella “profezia” si è realizzata appieno con una società fortemente polarizzata ed una grande  strumentalizzazione politica della pandemia

Le proteste e le critiche di pensatori di spicco sembrano poco a poco cambiare la narrazione dominante ma i sacrifici che i critici stanno facendo in termini di danno economico e di immagine pubblica sono esagerati rispetto alla semplice richiesta di chiarezza e di equilibrio che stan facendo. 

Se da un lato le critiche di chi si contrappone alle politiche greenpassiste sono in principio facilmente risolvibili se affrontate, dall’altro lato è l’assenza quasi totale di spirito critico da parte di chi le appoggia, principalmente a sinistra, a preoccupare. Ci sono persone che giustificano le politiche più ingiuste con l’assenza di alternative. 

Questa inquietante giustificazione troppo frequente ricorda le giustificazioni date a brutalità del secolo scorso. 

Riporto dunque ciò che dissi nell’articolo di circa un anno fa intitolato “Covidocrazia inglese: immunità legale a Pfizer per gli effetti collaterali del vaccino”:

“Certo, l’emergenza e la praticità possono giustificare secondo il buon senso la restrizione di libertà come quelle di movimento e assembramento. Ma il minimo che si sarebbe dovuto fare, e che è venuto pericolosamente a mancare, è un dibattito serio sulle conseguenze di queste restrizioni. Si è parlato tanto di mascherine, coprifuoco, e zone rosse, gialle e arancioni. Non si è parlato, escludendo qualche timido commento, di cosa comporti il sacrificio di queste libertà. Vae Victis?”