Impantanato in tensioni tribali e in lotte regionali per il potere, il Sudan è l’ultimo di una serie di paesi coinvolti nella lotta per il Corno d’Africa.
Il colpo di stato in Sudan ha offerto un nuovo sbocco agli stati del Golfo e alle altre potenze regionali in competizione per il controllo nella regione, fortemente contesa, del Mar Rosso, rendendo più complicati gli sforzi occidentali e internazionali che vogliono invece spingere i militari alla transizione del paese verso un governo civile.
Il già precario futuro politico ed economico del Sudan è ritornato nel caos da quando i militari hanno sciolto il governo e dichiarato lo stato d’emergenza.
Durante l’annuncio del colpo di stato, il leader militare più importante del Sudan, generale Abdel Fattah al-Burhan, presidente del consiglio sovrano che sovrintende alla presunta transizione del governo verso la democrazia, ha promesso di creare un nuovo governo tecnocratico che dovrebbe guidare il paese verso le libere elezioni da tenersi nel 2023.
Nel 2019 l’esercito cavalcando l’ondata delle manifestazioni popolari ha fatto un colpo di Stato mettendo fine a 30 anni di regime di Omar al-Bashir.
Le tensioni tra i leader civili e i militari che sovrintendevano al governo erano in aumento da settimane, mentre il loro fragile accordo di condivisione del potere iniziava a sgretolarsi di fronte all’avvicinarsi del momento, per le forze armate, di cedere il potere alle loro controparti.
L’esercito sostiene che le sue azioni si sono rese necessarie per “evitare una guerra civile” ed ha aggiunto che nel governo vuole più rappresentanti non politici. I sudanesi sono scesi in piazza per protestare, scontrandosi violentemente con le forze di sicurezza. I critici, tra cui gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’Unione Africana, hanno condannato i militari.
Molti affermano che i generali sono riluttanti a cedere il potere e a rischiare che i crimini che si presume abbiano commesso durante il periodo di Bashir vengano esposti. Inoltre, i militari hanno messo un cappio al collo alle industrie chiave del paese, allo scopo di mantenere vaste reti commerciali e clientelari che sarebbero compromesse se perdessero un posto al tavolo del governo.
Comunque vadano a finire le cose, i capi militari stanno guardando verso le potenze regionali, vale a dire l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto, i quali a loro volta, secondo gli analisti, preferiscono avere nel loro giardino un regime militare affidabile e familiare piuttosto che un governo civile instabile.
“Il golpe è stato diretto dall’interno del paese, ma non ritengo che [i militari] lo avrebbero fatto senza sapere che avrebbero avuto un appoggio esterno”, ha dichiarato a Middle East Eye Jacqueline Burns, esperta analista politica della RAND Corporation ed ex-consulente strategico per il Sudan presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.
Porti, elezioni cancellate e droni
Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita vedono il Sudan come un’opportunità, un paese nel quale hanno notevoli legami con i generali, per dare un duro colpo ai rivali regionali, tra cui Turchia e Qatar, che stanno cercando di farsi strada nella zona del Corno d’Africa.
“In Sudan si è applicato direttamente il copione della Tunisia”, ha affermato Theodore Karasik, consulente della società di consulenza Gulf State Analytics, riferendosi al paese nordafricano nel quale il governo è stato recentemente estromesso in quello che i critici denunciano essere un colpo di Stato.
“Alcuni altri paesi considerano il governo militare in Sudan come un tassello della trasformazione che contribuisce a spazzare via gli elementi dei Fratelli Musulmani alleati del Qatar e della Turchia”, ha aggiunto.
Karasik ha detto che l’interesse dei paesi del Golfo nei confronti del Sudan dimostra che “nonostante l’allentamento delle tensioni tra Doha e Abu Dhabi”, la battaglia ideologica è ancora in corso.
Il Sudan non è l’unico paese instabile lungo il Mar Rosso al quale mirano paesi in competizione tra loro e con una rivalità mediocre, che stanno consumando questa zona così strategica attraverso la quale passa almeno il 10% del commercio globale.
Il presidente della Somalia ha recentemente annullato le elezioni e sta mantenendo il potere grazie all’appoggio del Qatar.
La vicina Etiopia, dilaniata dal conflitto civile e coinvolta in un’accesa disputa con il Sudan e l’Egitto per la diga sul Nilo, sta cercando alleati e acquistando droni dalla Turchia.
Gli stati del Golfo, insieme a Cina e Russia, hanno tutti cercato di sviluppare i porti e le basi militari in Sudan.
Recentemente Doha ha presentato un’offerta contro le aziende degli Emirati e cinesi per l’espansione delle strutture nel porto sudanese di Suakin, mentre la Russia ha cercato di creare una base logistica navale nel paese.
Il piano della Turchia di affittare da Khartoum l’isola di Suakin, sul Mar Rosso, per stabilirvi una presenza militare e civile, a breve distanza dalla costa dell’Arabia Saudita, si è arenato dopo il rovesciamento di Bashir e l’ascesa al potere dei generali, più vicini a Riad e Abu Dhabi.
Nel periodo precedente la presa di potere militare di Khartoum, il fulcro delle crescenti tensioni era stato Port Sudan, la principale arteria commerciale del paese, che è di proprietà della Sudan Sea Ports Corporation, controllata dai militari.
Rivalità locali
I manifestanti che bloccano il porto provengono dalla tribù Beja del Sudan orientale. I loro membri sostengono di essere stati trascurati dal regime di transizione e chiedono che il governo si dimetta. Impedendo l’esportazione di petrolio dal sud Sudan e il flusso di beni di prima necessità nel paese, hanno inferto un duro colpo all’economia, già paralizzata, del Sudan.
E mentre nei giorni scorsi l’esercito ha mostrato di avere pochi scrupoli nello sparare contro i manifestanti, si è invece fatto da parte durante il blocco dei Beja, durato un mese, del porto controllato dall’esercito. I leader tribali hanno dichiarato lunedì al canale televisivo Al-Arabiya, di proprietà saudita, di sostenere i militari e hanno promesso di revocare il blocco.
“I Beja giocheranno ora un importante ruolo politico”, ha detto a MEE Guled Wiliq, uno studioso non residente presso il Middle East Institute. “E credo che riceveranno il sostegno dell’Arabia Saudita”.
Le rimostranze espresse dai Beja sono soltanto uno degli elementi di una complessa rete di rivalità tribali e di clan legate agli interessi delle potenze regionali concorrenti in Sudan che, secondo gli esperti, raggiungono i vertici del comando militare.
Burhan, il comandante militare più esperto del Sudan e capo del Consiglio sovrano di governo prima che lo sospendesse lunedì scorso, ha profondi legami con il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, essendosi formato nella stessa scuola militare dell’ex-generale.
Il giorno dopo l’annuncio del colpo di Stato, il Sudan e l’Egitto hanno iniziato esercitazioni militari congiunte lungo il confine condiviso.
Marina Ottaway, una collega del Woodrow Wilson Center, ha riferito che la presa di potere da parte dei militari è considerata come una grande vittoria per l’Egitto nella sua lunga disputa con l’Etiopia sulla diga del Nilo.
“Il colpo di stato mette il Sudan saldamente sullo stesso fronte dell’Egitto, per quanto riguarda la diga sul Nilo, ed elimina qualsiasi voce della parte civile del governo che avrebbe potuto essere più accomodante nei confronti dell’Etiopia”, ha detto.
Il ruolo del Darfur
Sebbene Burhan sia emerso come il volto pubblico del colpo di Stato, alcuni affermano che il vero potere è riservato ai comandanti militari e agli ex-ribelli delle terre di confine del paese, in particolare nella regione del Darfur, che sono ancora più strettamente allineati con i potenti stati del Golfo.
Provincia occidentale apparentemente senza legge, al confine con il Ciad e la Libia, per decenni il Darfur è stato governato da un insieme di membri della tribù, signori della guerra e ribelli che per anni hanno combattuto tra di loro e contro il governo di Khartoum, in un conflitto che è costato la vita a più di 300.000 persone.
Dopo la cacciata di Bashir, nel 2020 alcuni di questi comandanti sono stati portati al governo da un accordo di condivisione del potere che ha cercato di porre fine alla miriade di conflitti che infuriavano lungo le zone di confine del Sudan, e di incorporare nell’esercito le forze ribelli di un tempo.
Una fonte sudanese, a diretto contatto coi capi militari nella zona occidentale del Darfur, ha riferito al Middle East Eye che ora questi generali sono preparati per avere un ruolo maggiore nel nuovo governo.
“I Darfurini hanno già alcune forze a Khartoum grazie alla condivisione del potere. Si sono aggiunti all’esercito sudanese per ottenere una migliore disciplina”, ha detto la fonte. “Queste forze appoggiano Burhan”.
Due ex-ribelli di spicco, a favore del colpo di stato, sono Minni Minawi, che era al comando dell’Esercito di Liberazione del Sudan prima di diventare governatore del Darfur, e Jibril Ibrahim, l’attuale ministro delle finanze del paese.
“Le relazioni che i leader del Darfur hanno con il Golfo sono piuttosto forti. Vi erano molte persone intelligenti in Darfur che hanno compreso l’immenso valore di queste relazioni”, ha detto Burns.
Forse il migliore esempio tra questi è quello del generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto col nome di Hemeti. Di etnia araba, proveniente dal confine vicino al Ciad, Hemeti è un ex-commerciante di cammelli che ha migliorato la propria posizione fino a diventare comandante della temuta milizia a cavallo Janjaweed, cresciuta tra le fila delle Rapid Support Forces del Sudan.
Ha stabilito il controllo delle redditizie miniere d’oro nel nord del Darfur e, attraverso la sua società commerciale Al-Junaid, ha inviato l’oro estratto negli Emirati Arabi Uniti per essere raffinato e venduto all’estero.
I legami di Hemeti col Golfo si sono ulteriormente rafforzati quando ha svolto un ruolo chiave nel fornire combattenti alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita che conduce la guerra contro i ribelli Houthi allineati all’Iran, nello Yemen.
“Questo non è un colpo di stato incentrato su Burhan”, ha continuato Burns. “Non lo sta portando avanti da solo e forse sta anche facendo da prestanome a Hemeti”.
Wiliq ha fatto da eco a queste affermazioni, dichiarando di ritenere che le potenze del Golfo non abbiano fiducia in Burhan, considerato una figura sacrificabile e inaffidabile. “Altrimenti, perché i Darfuri starebbero arrivando?”, ha dichiarato Wiliq. “Burhan sa che, dopo aver cacciato il governo civile, ha bisogno di portare le tribù e i paramilitari dalle zone di confine per soddisfare il Golfo”.
Il porto
Se i militari riusciranno a sopravvivere alle proteste in patria e alle pressioni dall’estero, il sostegno del Golfo, sia economico che diplomatico, sarà probabilmente fondamentale.
Mercoledì, l’Unione Africana ha annunciato che avrebbe sospeso il Sudan a causa del golpe e, batosta forse ancor più grave per la sua economia in difficoltà, la Banca Mondiale ha detto che fermerà gli stanziamenti a favore del paese.
“E’ quasi certo che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti dovranno fornire denaro”, ha detto Ottaway. “Il motivo per cui i militari possono permettersi di fare ciò è perché sanno che riceveranno aiuti dal Golfo”.
Con le pressioni internazionali in aumento e con i manifestanti pro-democrazia che continuano a scendere in piazza a Khartoum, l’amministrazione Biden ha affermato che si sta impegnando con gli alleati del Golfo per cercare di risolvere la crisi all’interno del paese.
Il livello di influenza esercitato dai paesi occidentali rimane una questione aperta. Allo scopo di mantenere su una buona via la transizione verso un governo civile, il Fondo Monetario Internazionale e i creditori internazionali avevano acconsentito alla cancellazione di circa 50 miliardi di dollari del debito del Sudan; ma ora questo è stato messo in dubbio e il FMI dice che sta monitorando la situazione.
Quel che irrita ancor di più Washington, è il fatto che gli appelli in extremis dell’amministrazione Biden per mantenere la transizione ad un governo civile, sono stati snobbati dai generali al potere nel paese che hanno iniziato ad arrestare i leader civili solo poche ore dopo aver incontrato l’inviato del Corno d’Africa a Washington.
Wiliq afferma che il destino del Sudan è probabilmente legato alle potenze regionali e ai loro alleati sudanesi locali, tutti coinvolti nella lotta per il Mar Rosso.
“Guardate Port Sudan”, dice. “Questo vi dirà chi ha il controllo”.