Salute, salus, salvezza. Una volta la salute era una piccola parola, timida tra mille accidenti e grandi salvezze. C’era e a se stessa bastava, senza bisogno di nominarsi né pensarsi.
Automatica scorreva finché la sua faccia capovolta, la nemica di sempre, la temuta malattia non si presentava in compagnia di cura, dolore e rimpianto. Allora lei balzava fuori, per un po’ lottava prima di ritornare nelle retrovie dell’implicito. Accadde che a poco a poco accidenti e salvezze perdessero slancio. Tanti concetti, enormi come monumenti, andavano tramutandosi in scatole vuote. Dio, progresso, libertà, morte, fratellanza, evoluzione e tante altri compagni si videro costretti a traslocare nella storia.
Così lo spazio intorno al presente dei monumenti restava vuoto; faticoso diventava trovare slanci nuovi e pretese efficaci per erigere il sacrificio. Ecco che la Salute si ricordò della sua infanzia, dei suoi giochi etimologici, così vicini alla salvezza, a due passi dall’assoluto e dall’universale.
Per prima cosa la Salute si scoprì idolo, si assiepò nelle pubblicità, nei talk show e in programmi televisivi costruiti ad hoc. In poco tempo riuscì a trovare spazio nelle variegate forme del dibattito pubblico, incluse le pagine di strani inserti settimanali accoppiati ai principali quotidiani del paese. Venti pagine e più a lei sola consacrate, la Salute, senza che le ragioni di una tale attenzione fossero realmente chiare. I lettori pensavano: passi il lunedì dedicato all’economia, il venerdì alla cultura, il sabato agli spettacoli e la domenica allo sport. Un riassunto perfetto della settimana lavorativa: prima produrre, poi svagarsi fino al più ozioso dei divertimenti. Ma perché dedicare un intero giorno a stampare discorsi sulla Salute? E va bene che la saggezza popolare la mette sempre al primo posto, scalzando i soldi e perfino l’amore. Ma perché?
Pagine e pagine spese a indicare la dieta perfetta, i metodi tecnologici e le misure alimentari per prevenire tumori e altri brutti malanni, con infine lunghe monografie dedicate a organi e patologie particolari. Il lettore annoiato si lasciava di tanto in tanto catturare da questioni così banali da apparire fondamentali: ma il caffè fa male o fa bene? E la dieta mediterranea? Le risposte di eminenti esperti si dividevano lungo i binari dei pro e dei contro, lasciando apparire verità dapprima sconosciute, come le magiche facoltà della curcuma e il maligno nascosto nell’olio di palma. Molti lettori finivano spesso col deporre il superfluo inserto tra le pareti del bagno, buttando distratti l’occhio tra una riga e l’altra, scoprendo a volte l’esistenza di fenomeni corporali mai immaginati prima.
Fu così che, tra un’apparizione e l’altra, la Salute si affermò come inconscia presenza; si fece infine valore. Ossia stile di vita con cui modellare l’esistenza intorno all’orizzonte di felicità e bellezza, finalmente ricongiunte. All’uomo non parve vero di aver trovato finalmente una risposta al suo antico dilemma: se non credo nel divino che trascende l’umano o nel progresso che sublima il presente, come salvarmi?
Attraverso la Salute, finalmente libera di abbracciare la sua origine, la radice su cui si era innestata l’intera sua insignificanza: la salvezza. Fu così che si vestì da perfetta divinità dell’io, fagocitò l’intero dominio della ragione e delle religioni, le vivisezionò per assumerne i frammenti, così utili al principio dello star bene: la meditazione, lo yoga, un senso di fratellanza individuale e perfino la preghiera, che fatta in un certo modo, pare non nuoccia troppo al benessere.
Gli adoratori, assiepati sotto il tempio di Salute, gioirono nell’avvicinarsi alla perfezione del regno vegetale. Mantenersi in vita come unica e fondamentale via. La salvezza così non fu più un affare riservato al sogno della morte o al segno della collettività. Prevenire la malattia, analisi e controlli periodici, proprietà e facoltà dei cibi, l’eterna gioventù, un’infinita tassonomia attraverso cui tenere a bada gli imprevedibili moti del corpo. Il monumento, da anni in costruzione, era oramai pronto.
Il legame con la nuova divinità raggiunse l’apice, il tempo passava felice e spensierato finché una misteriosa sventura accade. Il sacrificio si perverte man mano in carneficina. In nome della Salute gli uomini dichiarano guerra al buon senso, chiedono aiuto a vecchie divinità oramai stanche come la Scienza. Rinunciano a una vecchia dea così amata come la Libertà per preservare il nuovo culto.
Sull’altare finisce per esser sacrificata la vita e la crociata ha inizio. Gli uomini però iniziano ad ammalarsi di paura. I più esigono controlli, temono ogni manifestazione del loro corpo, domandano ai potenti di far qualsiasi cosa pur di mantenersi vicini alla loro divinità. Si testano in continuazione, s’isolano, si coprono il volto, contano e contano fino allo sfinimento, mortificano la morte e fanno della barella un’anticamera della bara, nascondendo i corpi sfatti dei vivi agli occhi dei sani. A un cento punto pensano di aver trovato il rimedio contro tutti i mali. I credenti si convincono di salvare il bene collettivo e difendere la patria; gli scettici credono invece di lottare contro l’oppressione di una nuova dittatura.
Blandi rivestimenti ideologici intorno alla magica pozione; la verità è che sia gli uni sia gli altri perseguono soltanto il proprio bene individuale, mossi dalla paura, dal terrore della vendetta di Salute.
Gli adoratori vogliono stare bene ma stanno sempre peggio. Si vogliono ottimisti ma si scoprono soltanto positivi. È così che nella provincia del conflitto inizia a farsi strada un’amara verità: solo la malattia potrà salvare i sani fedeli dalla loro stessa divinità, la Salute.